di Lavinia Romeo - E' stato un grande attore ed un intellettuale raffinato, istrionico caratterista del cinema dalla vastissima filmografia, ma anche apprezzato drammaturgo. "Il mito" di Leopoldo Trieste inizia nel 1917 a Reggio Calabria, nel modesto rione Ferrovieri, oltre il torrente Calopinace, dove il giovane Leopoldo conduce un'infanzia serena, segnata però dalla prematura morte del padre.
E' con estremo trasporto che Gaetano Pizzonia racconta la vita di Leopoldo Trieste.
La sua giovinezza reggina, il trasferimento a Roma, i suoi primi successi, sono evocati con una memoria lucidissima, i cui ricordi non si lasciano ingannare dal tempo. Nel saggio "Il mito di Leopoldo Trieste" edito da Laruffa Editore, Pizzonia, fraterno amico di Trieste, fornisce un ritratto variegato dell'attore. L'indole geniale di Trieste viene narrata in tutta la sua duttilità, l'autore si sofferma sul notevole estro culturale dell'artista e sulla sua personalità, rimasta, nonostante il successo e i riconoscimenti, estremamente umile e sensibile, "un uomo - scrive Pizzonia - che ha conservato fino alla fine una straordinaria innocenza nell'approcciarsi alla vita".
Allievo brillante del Liceo-ginnasio "Tommaso Campanella" di Reggio Calabria, Trieste matura sin dall'adolescenza un estro artistico e un grande interesse per il mondo del cinema e del teatro, l'autore racconta infatti, che il giovane Leopoldo si recava spesso a Messina per assistere alle rappresentazioni teatrali, poiché Reggio era priva di teatri. Trieste riesce a mettere in pratica la sua vocazione artistica soltanto dopo il trasferimento a Roma, dove si iscrive alla Facoltà di Lettere classiche dell'Università "La Sapienza" e contemporaneamente al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove ottiene il diploma di regista cinematografico, attestato che gli permette di non partire per il Montenegro, ma di fare l'operatore cinematografico di guerra nel corso del secondo conflitto mondiale.
Durante l'occupazione tedesca nella capitale, Trieste vive un periodo di clandestinità per le sue origine ebraiche, questa esperienza lo porta a scrivere, dopo pochi anni, diversi testi teatrali dove si affronta il tema dell'antisemitismo, tra questi il dramma "Cronaca" del 1946, che insieme a "La Frontiera" ed "N.N", consacrano la fama di drammaturgo di Leopoldo Trieste, venendo rappresentati con successo nei teatri di tutta Italia.
Ma la straordinaria fantasia dell'artista non si ferma al teatro, infatti Trieste scrive anche soggetti e sceneggiature cinematografiche, ed è in quest'ambiente che conosce il grande regista Federico Fellini, con cui nasce un sodalizio decennale, Fellini considerava Trieste il suo "stralunato e coltissimo mentore mediterraneo", all'interno del saggio sono narrati divertenti aneddoti di una solida amicizia, che si concluderà solo con la morte del regista riminese.
Dopo la parte ne "Lo sceicco bianco" di Fellini, la maschera attoriale di Trieste viene riconosciuta ed apprezzata da tantissimi registi, tra cui Rossellini. Da quel momento l'attore comincia a lavorare con i più grande artisti del panorama cinematografico italiano, tra cui Totò, il cui rapporto di stima e amicizia con Trieste viene narrato da Pizzonia, che racconta delle numerevoli serate trascorse dall'attore nella villa romana del principe De Curtis.
La svolta per Leopoldo Trieste e la sua consacrazione nell'immaginario collettivo, è dovuta certamente alla grandissima interpretazione data nei due capolavori di Pietro Germi "Divorzio all'italiana" e "Sedotta e Abbandonata". Pizzonia evidenzia come in entrambe le pellicole, l'attore è stato capace di calarsi nella parte a tal punto da annullare la dicotomia, presente anche in molti bravi attori, interprete – personaggio, una capacità che Trieste mantiene anche in altre eccellenti prove d'attore, come l'interpretazione di frate Michele da Cesena ne "Il nome della rosa", del signor Roberto ne "Il padrino II" e la parte del prete bigotto e retrivo in "Nuovo Cinema Paradiso" di Giuseppe Tornatore.
Ormai protagonista affermato e vincitore del "Nastro d'argento", Leopoldo Trieste viene convocato da registi internazionali come Francis Ford Coppola e Jean Jaques Annaud, che ammirano lo straordinario talento di Trieste nell'interpretare ruoli drammatici. Pizzonia ricorda come il grande attore riuscisse a recitare con estrema disinvoltura in lingua straniera, e di come, lavorando negli sceneggiati televisivi, riuscisse ad interpretare i caratteri più variegati dall'umoristico al tragico, con grande duttilità interpretativa.
Il lato privato dell'artista viene narrato dall'autore-amico con estrema delicatezza, Pizzonia racconta un privato perfettamente in linea con la personalità di Trieste, un uomo discreto e riservato, rimasto celibe per scelta, per poca vocazione al matrimonio, per un attaccamento viscerale alla libertà individuale.
Ne viene fuori un ritratto delicato dell'attore calabrese, una personalità discreta, sempre "pronto a fuggire per non disturbare" ricorda l'autore. Un'amicizia duratura e ricca di avvenimenti, l'autore ha seguito passo passo il cammino dell'artista, ed è riuscito a raccontarlo come un romanzo avventuroso, persino un evento tragico come la morte, avvenuta il 27 gennaio 2003, assume nel ricordo dell'autore il sapore del mito.
Leopoldo Trieste scompare a Roma all'età di 85, la morte lo raggiunge ma non lo vince, poiché per Pizzonia, il grande attore è riuscito a vivere la sua esistenza coerentemente con i suoi ideali, ha saputo rappresentare personaggi umiliati, offesi dalla vita, mantenendo la leggerezza e la libertà di un sognatore.