"Occhio di bue" (Marna), licenziato da Claudio Sottocornola alla vigilia di Natale 2021, è un corposo volume di 628 pagine di testo, 96 pagine di foto e un Dvd-Rom, allegato in omaggio, con 435 tracce MP3, stralci musicali delle sue lezioni-concerto con gli studenti e il pubblico più vario. Si presenta dunque come un vero e proprio "testamento spirituale" che l'autore ha voluto donare ai suoi lettori, un compendio della sua attività di "filosofo del pop", impegnato ad analizzare, interpretare e divulgare i contenuti di quella cultura di massa che da una vita Sottocornola ha eletto a suo campo d'indagine privilegiato, insieme all'autobiografia e alla contemporanea crisi del sacro. In controtendenza rispetto all'uso della brevità e dell'estrema sintesi oggi dominanti nella comunicazione pubblica, l'autore ci propone una sorta di archivio da cui estrarre, a piacere, contenuti diversi e variegati, pur nella ripetizione rituale di leitmotiv che costellano questa raccolta di conversazioni, perlopiù trascritte dall'oralità di incontri pubblici lungo la penisola oltre che nella sua Bergamo, un vero e proprio viaggio on the road, in cui l'autore ci chiede di accompagnarlo, avvertendoci che repetita iuvant, e che stimolato da un pubblico sempre diverso egli ci regalerà "con le ripetizioni, ciò che le accompagnava in forma di variazione, diversa focalizzazione, a volte, lampo e illuminazione...".
Questo libro consta infatti di una raccolta di interventi pubblici, in genere presentazioni di due sillogi recenti, "Varietà" (Marna, 2016) e "Saggi pop" (Marna, 2018), corpose raccolte di interviste e, appunto, saggi, relativi al mondo della canzone e dello spettacolo, ma più in generale connessi alla cosiddetta popular culture, ambito che Claudio Sottocornola indaga da anni, anche attraverso l'ausilio di quelle lezioni-concerto sulla canzone pop, rock e d'autore, di cui in appendice compaiono due esemplificazioni trascritte, insieme a riflessioni critiche dell'autore stesso e di altri, interviste e una lunga play list che illustra i contenuti musicali e poetici del Dvd-Rom allegato in omaggio. Se a ciò si aggiunge la possibilità di accedere, mediante QR code in quarta di copertina, all'archivio integrale delle lezioni-concerto e delle presentazioni on line dello stesso Sottocornola, ne abbiamo anche qui, come nei precedenti "Saggi Pop", un'opera transmediale che non può che sollecitare la domanda e stimolare la curiosità del pubblico contemporaneo.
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Ma perché "Occhio di bue"? L'autore ci spiega nella sua Introduzione ("Assolutamente da capire"): "L''occhio di bue' è quella potente lampada che si usa in ambito teatrale, e soprattutto musicale, per proiettare un fascio di luce concentrato e altamente definito sul performer in scena, cantante, ballerino o attore, che viene costantemente seguito da un operatore che ne illumina la presenza e i movimenti sul palco. È una sorta di immagine-metafora della sua centralità, del suo essere in quel momento manifestazione, cassa di risonanza dell'essere, suo microcosmo e monade. E dunque l''occhio di bue', in quanto ritaglia e definisce un soggetto come paradigmatico rispetto ad altro, sta a rappresentare efficacemente quel fenomeno che nel contesto della contemporanea cultura di massa noi chiamiamo successo, equivalente della gloria nello scenario postmoderno".Si capisce allora, anche grazie a questa metafora, come il filosofo del pop intenda proporre, a partire dagli ambiti della contemporanea cultura di massa, una riflessione che, dai contenuti giornalistici a quelli storico-sociologici, si va focalizzando man mano come una pratica linguistica e teoretica che è prima di tutto filosofica.
"'Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta' – ricorda Sottocornola citando il Platone della "Apologia di Socrate" –, e poiché ogni ricerca si svolge a partire da un ambiente, da un contesto storico, da una condizione determinata... ne segue che studiare le modalità di espressione e comunicazione dell'uomo contemporaneo... vuol dire proprio indagare quegli ambiti, come la musica, il cinema, la televisione, i giornali, la pubblicità e il web, che tale contemporaneità attraversano e caratterizzano". E continua: "Il pop è stato dunque la finestra, l'habitat, il luogo da cui far partire una riflessione, per me senz'altro più stimolante perché più legata alla attualità della vita...".
E a sancire in forma ancor più radicale tale connubio fra indagine pop e approccio filosofico, l'autore conclude. "Il pop è stato per me anche un po' un espediente per parlare di ciò che mi interessa davvero, la vita e il suo senso, e l'occasione del pop, esattamente come una partita di calcio fa parlare di gioco di squadra, amicizia, rispetto e collaborazione, mi ha permesso di dire la mia, per esempio su valori, disvalori e ricerca di senso, con grande libertà, laddove senza l'ambiente pop forse sarei stato censurato o inascoltato".
Un esempio eloquente di tale metodologia si ha nella prima conversazione proposta in "Occhio di bue", "Gloria e divismo...", dalla Fondazione Romano di Telese Terme, ove Sottocornola si addentra in una interessante disamina che, a partire dalla osservazione della attuale, spasmodica ricerca del successo fra talent, reality e social, confinato alla superficie dell'apparire fine a se stesso, approda ad una illuminante analisi del concetto di gloria dell'antichità classica, ove il successo o riconoscimento pubblico era sempre correlato alla sua funzione e dimensione comunitaria, il bene della polis, e poi della escatologia cristiana, ove il termine certifica una dimensione ontologica profonda, o interiore, che non ha alcun bisogno del riconoscimento pubblico, che anzi può ignorarla, a fronte del suo intrinseco rapporto con il divino, e dunque della santità. Capite che allora la stessa immagine dell' 'occhio di bue', che dà il titolo all'opera, è in realtà metafora della buona fama entro la polis, dell' aureola di luce del santo o illuminato, della realizzazione personale, ecc., anche se il pop è – nel contesto della riflessione di Sottocornola – un'occasione per la elaborazione di tali riflessioni.
Il docente bergamasco tiene poi a sottolineare che indagare il pop non vuol dire diventarne degli apologeti, ma semplicemente indagare il proprio tempo, quella popular culture caratterizzata da produzione industriale e committenza di massa, che designa il nostro tempo esattamente come il barocco designava il '600 e il romanticismo una parte dell' '800, movimenti anch'essi ambivalenti, con manifestazioni alte e basse, e che inoltre partire dall'attualità di musica, cinema, mass e social media piuttosto che "dalla teoresi della teoresi" sia probabilmente "l'approccio filosofico più fecondo e dirompente che possiamo immaginare".
C'è poi da sottolineare che, nel passaggio dalle conversazioni relative a "Varietà" a quelle relative ai "Saggi Pop", si avverte nell'autore una sempre più netta consapevolezza del declino del pop che diventa degrado, a fronte di una nostalgia sempre più pervasiva nei confronti di quello che Sottocornola chiama il paleo pop degli anni '50-'60-'70, che diviene mythos fondativo e ideale paradigma di confronto, apertura ermeneutica su un mondo lontano e ormai scomparso ma antropologicamente migliore.
Per questo il filosofo del pop ha sentito l'esigenza di "consegnare a chi vorrà leggerle le considerazioni di questo 'Occhio di bue', che rispetto al pop è un po' un mio testamento, un lascito, un'eredità, una testimonianza dell'itinerario seguito che potrebbe essere d'aiuto ad altri. Con tutta la musica che l'ha accompagnato e che vorrei consegnare al suo silenzio. E cioè, a un vero ascolto".
Sorprende che riflessioni spesso ardue e teoreticamente impegnative si accompagnino nel libro a un approccio apparentemente leggero, con frequenti riferimenti, specie nella parte dedicata alle interviste di "Varietà", ad aneddoti relativi agli incontri che l'autore ha avuto negli anni con i più significativi personaggi della canzone, della televisione e dello spettacolo in Italia, da Gianni Morandi a Rita Pavone, da Carla Fracci a Nino Manfredi, da Vittorio Sgarbi a Beppe Grillo, da Ivano Fossati a Paolo Conte, da Amanda Lear a Gianna Nannini, da Mara Venier a Enzo Jannacci. Un incontro mancato e rimpianto invece, causa un veto redazionale del lontano 1989, è quello con Raffaella Carrà, recentemente scomparsa, cui l'autore dedica una commossa lettera a ricordo, una ghost track, stampata con un delicato inchiostro grigio, che a lui serve anche per fare il punto sulla questione del pop, altrove affrontata in modo più icastico e corrosivo (vedi il congedo dedicato a "Maradona, il Covid e l'Apocalisse del pop"), e qui ripresa con un atteggiamento più empatico ed emozionale. Su queste esperienze narrate si articola sempre una serrata riflessione che diviene spesso occasione per parlare di senso e valore, qualità e resilienza in tempi difficili come quelli pandemici. In ultimo, a rafforzare l'impressione testamentaria ed esistenziale del volume, 96 pagine di foto on the road dell'autore e dei contesti in cui si è mosso ci regalano un viaggio fra infanzia, adolescenza, musica, studi, incontri, viaggi, libri, cd, lezioni-concerto, famiglia, scuola e territorio, che ancor più testimonia la cifra stilistica di Claudio Sottocornola, un connubio tra cultura e vita, tra musica e filosofia, tra esistenza e pensiero che in questi tempi così settorializzati tende del tutto a mancare e che in "Occhio di bue" si fa invece sintesi, visione, memoria e proiezione sul futuro. Per chiudere, un Dvd-Rom assolutamente inedito, con 435 tracce, archivio musicale delle lezioni-concerto di Sottocornola riprese dal pubblico con un inconfondibile sapore live e ruvido, ci permette di familiarizzare meglio con il suo ruolo di performer, interprete e animatore culturale che ne fa un unicum nel panorama della cultura italiana. A impreziosire il lavoro, diversi sono i contributi di addetti ai lavori che introducono o commentano il volume, da Paolo Tocco ad Athos Enrile, da Fortunato Mannino a Maurizio Gusso, testimoniando una stima e un riconoscimento ormai condivisi della lunga attività esegetica e performativa di Sottocornola nel mondo del pop.