30 anni fa il referendum popolare nella Piana di Gioia Tauro che respinse la centrale a carbone

GioiaTauro Portodi Nuccio Barillà* - Fu la prima battaglia ambientalista a carattere popolare combattuta sul territorio italiano ed europeo, in assoluto una delle pagine più belle e significative, di partecipazione democratica del Mezzogiorno. Fu anche una straordinaria vittoria. Per questo, tra i miei ricordi di tanti straordinari momenti, quello della lotta contro la centrale a carbone di Gioia Tauro rimane il più intenso e indimenticabile.

La vicenda prese avvio agli inizi degli anni ottanta. Proprio mentre si andavano organizzando i primi nuclei della Lega per l'Ambiente, si materializzò, nel PEN, la decisione scriteriata, dell'Enel e del Governo, di costruire, nel "deserto artificiale" della Piana calabrese, una megacentrale a carbone di 2640 megawatt e impiegare il porto come grande terminal carbonifero. Fu quello per noi il "battesimo di fuoco", che ci avrebbe fatto maturare in fretta. Lo scenario era lo stesso dove, circa dieci anni prima, si era infranto miseramente il miraggio del V Centro Siderurgico, mai realizzato. Con il grosso giro di miliardi finiti, tra mazzette, espropri e subappalti, nelle tasche della 'ndrangheta. Ora dal cappello a cilindro era spuntata la Centrale a carbone. Si dava per scontato che neanche stavolta la Calabria - costretta dalla sua disperata condizione economica e sociale - avrebbe opposto resistenza. Invece, sorprendentemente, allo "schiaffo" del Governo, reagì, mobilitandosi, quasi l'intera regione. Di quella lunga lotta, durata tredici anni, il referendum autogestito - tenuto il 22 dicembre 1985 in ben dodici comuni, nel segno di una straordinaria partecipazione popolare – fu il momento più memorabile ed esaltante. La molla che spinse i cittadini calabresi fu certo la paura del "mostro inquinante", ma anche la graduale presa di coscienza sulla necessità di una diversa via di sviluppo per i propri territori. In questa direzione particolarmente noi ci spendemmo con passione e tenacia, diventando asse portante di un movimento maturo, che fu negli anni capace di misurarsi sul terreno scientifico, saldando la protesta con la proposta, le ragioni dell'ambiente con quelle del lavoro. Ne scaturì uno spaccato di meridionalismo intelligente, non più etichettabile come "ribellista".

Il pronunciamento, corale e democratico, dei calabresi non bastò a infrangere, subito e da solo, il muro dello Stato centrale. Il tira e molla durò ancora lunghi anni. Una storia infinita che attraversò anche momenti difficili, qualche volta drammatici. Di quegli anni riaffiorano e si mescolano nei miei ricordi le pressioni e le minacce soffocanti, i variopinti cortei. Fa capolino curiosamente l'immagine della bandiera della Lega per l'Ambiente rimasta piantata a presidiare il sito predestinato dopo l'occupazione simbolica da parte di centinaia di manifestanti. Ricordo i laboratori territoriali nei quali fiorivano le idee per un nuovo sviluppo, il porta a porta nei paesi della Piana, gli improvvisati comizi, le assemblee con gli studenti. Ma anche gli scontri violenti, il sequestro dei cantieri, le testimonianze in Tribunale, la miscela esplosiva di rabbia operaia, su cui soffiava la 'ndrangheta. Poi finalmente l'incubo svanì, il ricatto occupazionale fu respinto: la Magistratura raccolse le nostre denunce e scoperchiò l'intreccio politico-affaristico- mafioso che attorno alla centrale si era cementato. L'Enel, travolto da tangentopoli, fu costretto ad archiviare definitivamente la "pratica".

Oggi a Gioia Tauro è attivo uno dei porti più importanti del Mediterraneo. Guardando le enormi navi container che partono e arrivano, è per me naturale pensare, con orgoglio, come questo "miracolo" non ci sarebbe stato senza quella tenace resistenza e quella diversa scommessa di futuro.

C'è però anche un forte rammarico. A distanza di tanti anni il miracolo Gioia Tauro resta un miracolo incompiuto e un sogno in parte tradito. Le potenzialità-che ne farebbero una carta strategica irrinunciabile per l'Italia e l'Europa - restano potenzialità in gran parte deluse e appese alle nuvole. Il transhipment, senza un sistema di convenienze e agevolazioni adeguate, è entrato in crisi, trascinandovi l'angoscia operaia; i collegamenti via terra, attraverso una rete ferroviaria adeguata come sarebbe indispensabile, ancora è solo annunciata; la valorizzazione della immensa risorsa del retro-porto, nonostante le immancabili promesse, è ancora al di là da venire. Si sono accumulate solo montagne di parole. Intanto, in questo tempo, nell'area di Gioia Tauro si sono installati impianti velenosi, come il termovalorizzatore; altri, come il rigassificatore pensati proprio al centro di un'area sismica, fortunatamente sono stati, speriamo per sempre, bloccati.

In questi giorni il Ministro Del Rio e un Assessore regionale finalmente affidabile, Francesco Russo, hanno annunciato misure oculate e investimenti sostanziosi, addirittura eccezionali, per segnare la svolta tanto attesa.

Non vogliamo dubitare, anche se l'esperienza ci spingerebbe a farlo. Vogliamo crederci, sicuri che il ruolo del Governo e della Regione Calabria siano importantissimi.

Riteniamo però che decisiva -oggi come trent'anni fa- sarà la spinta che dovrà venire dal territorio.

Da qui l'invito a costruire, come al tempo del referendum, una nuova stagione unitaria di lotta e una nuova alleanza che veda in prima linea i sindaci (ci sono tanti volti nuovi e credibili che la lezione del referendum non l'hanno dimenticata) insieme agli imprenditori, ai sindacati, alle associazioni ambientaliste, alle organizzazioni professionali, ai singoli cittadini. Per spingere, vigilare, contrastare, avanzare proposte. E' una rete democratica alla cui intessitura bisogna da subito cominciare a lavorare, dandole organizzazione, testa, gambe e cuore.

Oggi, come trent'anni fa, noi ci saremo.

*Direzione Nazionale di Legambiente