Quanta ipocrisia sulla scarcerazione di Paolo Rosario De Stefano

destefanopaolorosariodi Claudio Cordova - Alzi la mano chi, in questi sei anni di detenzione di Paolo Rosario Caponera De Stefano, abbia notato un indebolimento della 'ndrangheta reggina e, nella fattispecie, del potente clan di Archi, quello capace di modernizzare la 'ndrangheta grazie ai rapporti con massoneria, destra eversiva, servizi segreti, quello capace di entrare in stanze dove sembrerebbe impensabile entrare.

La polemica sulla scarcerazione anticipata del figlio naturale del defunto boss Giorgio De Stefano per motivi legati allo studio è stucchevole.

Stucchevole perché coinvolge, in arzigogolate analisi, persone che la 'ndrangheta non sanno neanche cosa sia e che sono convinti che solo tramite l'azione muscolare dello Stato la più potente criminalità organizzata possa essere indebolita e sconfitta. Paolo Rosario Caponera De Stefano ha usufruito di uno "sconto" di pena previsto dalla legge, questo è e questo resta.

Tranne i familiari dell'interessato, nessuno – e men che meno chi scrive – fa i salti di gioia rispetto alla liberazione anticipata di un soggetto che, stando alle carte giudiziarie, avrebbe rivestito un ruolo importante nella 'ndrangheta prima di essere arrestato in Sicilia dove si trovava "in vacanza" (da cosa?).

Detto questo, ciò che, ancora una volta, si rileva in maniera preoccupante è l'approccio sbagliato, sbagliatissimo, con cui si affronta il dramma 'ndrangheta.

Sociologi, politici di vario schieramento, figli di questo o di quello. Tutti a indignarsi per una liberazione che modifica davvero di poco gli equilibri, ma, soprattutto, la forza della 'ndrangheta. E però si alimentano falsi miti, false vittorie o sconfitte, all'insegna di un messaggio nazionalpopolare che studia il fenomeno mafioso in maniera manichea – con la logica del buono/cattivo – senza neanche tentare di cogliere le innumerevoli sfumature che esso racchiude in sé.

Perché le cosche – e in primis i De Stefano – sono capaci di rigenerarsi, di cambiare, di evolversi, ancor prima dei progressi e dei successi investigativi o delle modifiche giurisprudenziali. Ecco perché i sei anni di galera scontati da Paolo Rosario Caponera De Stefano non hanno rappresentato una battuta d'arresto per la 'ndrangheta e per la stessa cosca di Archi: che hanno continuato a crescere, ad arricchirsi, a stringere nuove alleanze e connivenze e a sfruttare quelle già esistenti.

Questo perché l'approccio repressivo dello Stato si è rivelato, nonostante gli sforzi, assolutamente inefficace. La 'ndrangheta è viva ed è fortissima nonostante negli scorsi anni siano stati assicurati alla giustizia (molti dei quali con condanne all'ergastolo) i principali capimafia: da Pasquale Condello a Giovanni Tegano, passando per Peppe De Stefano, Giuseppe Morabito "il Tiradritto" e molti altri. E continua a essere la criminalità organizzata più ricca nonostante la nuova frontiera dell'investigazione abbia scelto di puntare sull'aggressione ai patrimoni, disseminati in tutte le parti del mondo.

Tralasciando il fondamentale aspetto culturale, che però, non spetta agli organi investigativi, entrambe le strategie repressive, per quanto nobili negli intenti e necessarie nella pratica, si sono rivelate inefficaci. E con questo non si sostiene che i latitanti debbano essere lasciati liberi o che i beni non vadano sequestrati, confiscati e, in tempi brevi, restituiti alla collettività. La ' ndrangheta, però, ha dimostrato di essere un'organizzazione fin troppo raffinata da poter essere abbattuta con la caduta dei propri simboli visibili (che siano esseri umani o edifici).

Il tema è diverso e più profondo: non è dalla liberazione anticipata di Paolo Rosario Caponera De Stefano che passa la vittoria/sconfitta della 'ndrangheta.

La differenza, invece, può essere fatta dalla capacità dello Stato di andare a investigare e a scardinare i sistemi criminali (finanziari, istituzionali, ecc.) che, da almeno 50 anni, garantiscono alla 'ndrangheta di accedere a quel terzo livello fondamentale per comandare. Quei sistemi criminali che, a partire dagli anni '70, sono sopravvissuti, rinnovandosi parzialmente o totalmente, alla scomparsa di boss del calibro di 'Ntoni Macrì, Mico Tripodo, Paolo De Stefano, Mommo Piromalli, ecc. ecc.. Per questo, nessuno dotato di senno può sostenere come i sei anni di detenzione scontati da Paolo Rosario Caponera De Stefano possano aver inciso in qualche modo sull'indebolimento della 'ndrangheta.

Se non si va a intaccare la forza di quei soggetti "puliti" e, spesso, istituzionali, che, da decenni garantiscono la salvaguardia della 'ndrangheta, nessun passo in avanti potrà essere fatto nella lotta alle 'ndrine. Non esiste categoria che non sia stata contaminata e inglobata – anche con figure di grande importanza – dalla 'ndrangheta: istituzioni come politica, magistratura e forze dell'ordine, economia come imprenditori e banche, mondo delle professioni e del terzo settore. Solo dalla distruzione di quei comitati d'affari che garantiscono le cosche e di quei convitati di pietra che, nell'ombra, reggono e orientano i fili del potere economico e politico la 'ndrangheta potrà essere sconfitta.

Comitati d'affari e convitati di pietra sono vivi e vegeti. E lo saranno a prescindere da una scarcerazione anticipata o posticipata.