di Giuseppe Calandruccio* - Il Disturbo di Panico è uno dei problemi più diffusi e, per fortuna, anche meglio conosciuti. Ad avere sperimentato il disturbo da attacco di panico (Dap) è, oggi, un milione di italiani, soprattutto donne, con un rapporto di 2-3 a uno rispetto agli uomini. Si manifesta verso i 22-24 anni, ma l'età della prima crisi si sta abbassando a 15-17. Anzi, oggi non è infrequente in età pediatrica. E infatti, ricerche americane sostengono che il 10% degli adolescenti Usa soffre di crisi di ansia, panico incluso. Il fenomeno Dap è dilagante: Dei disturbi di ansia è la manifestazione più imponente: Interessa il 70% dei pazienti.
Alcuni studi hanno evidenziato una maggior frequenza di disturbo di panico tra gli individui separati o divorziati rispetto a quelli sposati. È risultata inoltre significativa l'associazione tra disturbo di panico e residenza in città, che indica una maggior probabilità di sviluppare questo tipo di disturbo negli individui che vivono in zone urbane rispetto a quelli che risiedono in campagna.
COS'È UN ATTACCO DI PANICO
Un terremoto improvviso, che devasta corpo e anima.
La descrizione di un attacco di panico da parte di un paziente di ogni età, segue un modello costante: "Mi sento morire...mi manca l'aria...il cuore batte all'impazzata...ho paura di perdere il controllo...chi non l'ha provato non può capire quanto si soffra".
L'attacco di panico è fondamentalmente la paura di aver paura, la paura di morire, la paura di impazzire, in genere monta lentamente da un disagio fisico ad una condizione marcata di malessere fisico, Spesso uno stato di panico insorge in pieno benessere ...come fulmine a ciel sereno, e si accompagna ad intensi sintomi come palpitazioni, tremori, senso di fame d'aria o di soffocamento, costipazione toracica, vertigini, sensazione di vuoto alla testa, intensa paura, o terrore, collegata a pensieri catastrofici, la paura di morire, di avere un grave malore, di perdere il controllo, oppure di impazzire.
Tutti questi sintomi non sono altro che manifestazioni naturali della paura, ma spesso vengono interpretati come la conferma che stia accadendo qualcosa di catastrofico, con l'unica conseguenza di aumentare ancora di più l'ansia.
Cosa è successo? Perché è avvenuto? Inizia così il calvario di chi soffre di un disturbo da attacchi di panico. Iniziamo ad avere paura a temere che si possa ripresentare improvvisamente. E se ci trovassimo in auto, e se capitasse in un luogo affollato dove non può arrivare facilmente un soccorso, e se succedesse in un posto isolato dal quale può essere difficili o imbarazzante allontanarsi, e se... Le paure sono pressoché infinite. Le prime cose a cui si rinuncia in genere sono i mezzi di trasporto pubblici soprattutto la metropolitana, ovvero tutti quei luoghi in cui può essere difficile allontanarsi in caso di crisi d'ansia. La paura aumenta lo stato di tensione e la sensazione d'ansia e, ad un certo punto, arriva il secondo attacco.
Paura generalizzata di una fine, di un epilogo, differisce dall'angoscia di morte in quanto è una sensazione molto più estroflessa e rivolta all'esterno, come se tutto il proprio mondo (intorno) implodesse. Questo punto è molto presente nella fase di "ansia anticipatoria", si crea una sorta di angoscia, di aspettativa come se qualcosa (o tutto) debba finire per un pericolo imminente.
"Arousal"(attivazione-eccitamento): è una condizione funzionale ben sviluppata nei mammiferi superiori, atta a gestire situazioni di pericolo, in modo da avere risposte comportamentali rapide ed efficaci (attacco-fuga). Il nostro Arousal perde la sua specificità contestuale nei DAP perché il pericolo esiste solo nella fenomenologia interna dell'individuo .
Situazione di "No way out": frequente percezione di non avere scampo, di non avere vie di uscita anche se non si sa bene da che cosa...
L'EVITAMENTO FOBICO
Chi ne soffre, tende ad associare e a spiegare il panico con il luogo e le condizioni in cui questo si verifica: "ero in macchina, da allora ho paura di guidare ...ho bevuto un bicchiere di acqua fredda, si è bloccata la digestione e sono andata al pronto soccorso, ma non avevo nulla, mi hanno fatto una puntura di Valium, da allora bevo solo acqua tiepida anche se ogni volta mi sale l'ansia".
Alcune persone avvertono l'attacco in situazioni tipiche quali in luoghi chiusi (ristorante, cinema, teatro, aula, sala di riunioni, ecc...), autobus, metropolitana, treno, aereo, alla guida in mezzo al traffico o in autostrada, su ponti, tangenziali, in ascensore, luoghi con aria viziata (di fronte al camino, in una baita), a letto di notte. In genere dopo alcuni attacchi la persona impara ad evitare le situazioni (sopra descritte) dove gli attacchi si sono verificati. Subentra così l'evitamento fobico, parte integrante del disturbo. Spesso la persona ha bisogno di qualcuno fidato che la accompagni, le stia accanto e non esce o non va in quei luoghi se non accompagnata.
LE DINAMICHE MENTALI CORRELATE
Perdita di senso e vissuti di insensatezza "a freddo", a differenza dell'insensatezza che può essere vissuta durante un DAP, qui si tratta di "vuoti d'aria" dell'aspetto motivazionale del vivere e dell'agire che si verificano a distanza degli attacchi di Panico ma sono in qualche modo ad essi correlati. Mi riferisco anche al vivere le emozioni in maniera molto più tenue ed "anestetizzata". Individui sensibili "all'aspetto ontologico del vivere" spesso vengono attraversati da questo vissuti.
Perdita di senso, tutto ciò che circonda il fare e l'essere dell'individuo acquista un connotato di insensatezza globale, quindi perdita di prospettiva anche nel futuro, si differenzia nettamente dallo stato depressivo per l'intensità assoluta e totalizzante dell'insensatezza che per fortuna arriva a picchi, e si attenua dopo l'attacco.
Alterazione del piano di relazione con l'altro: E' una conseguenza del punto precedente ed è forse una delle cause di maggiore reticenza a parlare di DAP alle persone che abbiamo intorno. Il Piano della relazione si altera quasi a portare a non riconoscersi più (e a non riconoscere quindi l'altro); questo avviene nel provare sentimenti distorti, soprattutto nel percepire le persone molto distanti da noi, come "altre da noi". Quindi un vero e proprio senso di alienazione relazionale (temporanea), in cui è impossibile comunicare sensazioni profonde (da cui si è squassati) rimanendo su un piano di superficie ("sto bene"- "sto male"). Questa alienazione profonda porta ad una situazione di isolamento (anche durante l'attacco) per cui alcune persone sono addirittura restie a farsi soccorrere.
IL CENTRO E LA TERAPIA
Il "Centro Anti Panico" del situato a Reggio Calabria in via Zecca n. 15 (tel. 3804531698) si propone di trattare il problema con modalità di approccio, diagnostico e sopratutto terapeutico, moderne ed efficaci, utilizzando tecniche psicoterapeutiche di nuova generazione:
Alcune persone non chiederanno mai un aiuto psicologico perché ritengono che chiedere aiuto ad uno psichiatra, anche sapendo l'efficacia delle nuove metodologie come quelle proposte dalla psicologia cognitivo-comportamentale, sia dichiarare di non farcela da soli. Anche se farcela da soli spesso significa decidere "da soli" di chiedere l'intervento di un professionista.
Il recupero ed il miglioramento sono possibili con un'altissima aspettativa di efficacia terapeutica ed è per questo necessario informare sia chi soffre di attacchi di panico che coloro che vivono insieme ad una persona che ne soffre. Il rischio è quello di intraprendere terapie non efficaci, lunghe o energicamente troppo onerose.
Le vecchie terapia focalizzavano l'attenzione sul passato, sul conoscere se stessi e sui contenuti simbolici. Questi trattamenti sono oggi superati.
Le innovazioni teoriche prodotte dalla psicologia cognitivo-comportamentale e dalle tecniche di "decentramento" mirate ad insegnare al paziente a mantenere il contatto con la realtà (Mindfulness) sottraendosi così ad una rappresentazione allarmistica e catastrofica della stessa, hanno reso l'intervento psicologico estremamente breve ed orientato sui processi psicologici che mantengono il sintomo ed il disturbo. Ciò su cui basiamo l'intervento è non più legato a capire "la causa inconscia del problema" ma valutare "ciò che il problema sta causando, cosa lo mantiene e cosa lo potrebbe aggravare".
Lo stesso farmaco è nella maggior parte dei casi un palliativo (significa che non cura ma, quando funziona, attenua per poco tempo i sintomi). Il problema del farmaco è legato all'azione psicologica che, anziché risolvere il sintomo, in realtà lo mantiene.
Spesso diventiamo dipendenti dal farmaco. Lo portiamo sempre con noi (in borsa, nella tasca della giacca); diviene la nostra ancora di salvezza, ci da sicurezza. Ma anche questa pseudo-sicurezza non ci aiuta a risolvere il problema, anzi, ne crea un altro: la dipendenza psicologica. Di fatto portare il farmaco non aiuta a risolvere il problema in quanto conferma la percezione psicofisiologica di essere malati.
*Dr. Giuseppe Calandruccio, Psichiatra e Psicoterapeuta