di Vincenzo Mulè* - Una nuova stagione delle stragi. Pianificata da una nuova cupola mafiosa, composta dalla 'ndrangheta e da quello che rimane di Cosa Nostra. "So per certo che presto ci saranno attentati che mirano a creare un clima di terrore. La 'ndrangheta sta lavorando per una nuova stagione delle stragi. Non mi stupirebbe presto un nuovo Falcone". Luigi Bonaventura è il collaboratore di giustizia ed ex reggente della cosca Vrenna-Bonaventura che dal 2007 collabora con lo Stato riempiendo pagine e pagine di verbali per raccontare quello che sa sulla criminalità organizzata. Le sue dichiarazioni sono ritenute molto attendibili dai magistrati. Tanto che il pm di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, alla fine di aprile lo ha convocato come persona informata dei fatti. In una lunga intervista concessa al settimanale Il Punto nella scorse settimane, Bonaventura rivela la i particolari di quello che, se confermato, sarebbe un piano di attacco allo Stato. Ai suoi rappresentanti più alti e in vista. Il collaboratore di giustizia ha fatto anche i nomi di politici e magistrati finiti nel mirino della criminalità organizzata. Un lungo elenco, nel quale figurano i nomi di Berlusconi, Maroni e Alfano tra i politici e quelli di Lombardo, Gratteri, Boccassini, Curcio e Bruni tra gli esponenti della magistratura. Un piano elaborato fin dal 2008: "In verità venni avvicinato una prima volta nel 2007 e già in quell'occasione mi venne prospettata questa situazione, alla quale però non diedi molto peso», racconta il pentito che un anno dopo si sentì ripetere il medesimo piano, ma con qualche dettaglio in più. Un disegno al quale l'ex boss non pensò più. Fino alla fine dello scorso anno, quando "finti pentiti emissari della cosca De Stefano mi aggiornarono sullo stato di avanzamento dei preparativi sulle azioni criminali".
Il 2008 è un anno cruciale per capire il susseguirsi degli eventi. Già nei mesi scorsi, Bonaventura riferì di una trattativa tra alcuni apparati dello Stato e membri della 'ndrangheta seguita alla strage di Duisburg. L'obiettivo era quello di far cessare una guerra di mafia che, oltrepassando i confini nazionali, metteva in pericolo l'immagine del paese. La copertura di alcuni latitanti storici era l'offerta delle istituzioni. Una trattativa interrotta in maniera brusca proprio nel 2008, quando lo Stato o chi per esso, non rispettò gli accordi presi. Ebbero così inizio, una serie di azioni e ritorsioni nei confronti delle istituzioni, come la scoperta di arsenali e le bombe messe in Procura a Reggio Calabria.
Bonaventura ha fissato questi eventi su un memoriale, che il collaboratore di giustizia aveva con sé quando è stato ascoltato dal pm Lombardo a Milano. Il Punto ha potuto leggere queste pagine, ricche di spunti investigativi e condite da riflessioni personali. Sono dei flash che si susseguono, a volte senza alcun collegamento, nell'arco dei cinque anni della collaborazione. L'undici novembre 2011, Bonaventura scrive: "Voglio distruggere le Procure. Cercano accordi. Vogliono distruggere le indagini prima che arrivano nei tribunali. Chi è la Boccassini?". Qualche giorno prima l'uomo era stato avvicinato da emissari del clan dei De Stefano che lo avevano messo al corrente di questi piani. "Era la terza volta che riuscivano a raggiungermi. Ho dovuto far finta di essere ancora uno di loro. E allora hanno cominciato nel racconto". In un'altra pagina, quella del primo dicembre, si legge: "Ricostruire tutto il 2007 e il 2008 alla luce dei nuovi elementi". Quelli, appunto, che sarebbero emersi nel corso dell'ultimo incontro con i De Stefano. Nello stesso giorno si legge: «'Ndrangheta, Cosa Nostra e Br: attacco allo Stato. Dove colpiranno?». L'accostamento non è casuale. Secondo il racconto del pentito, infatti, la nuova strategia della 'ndrangheta sarebbe quella di cavalcare il malessere sociale attraverso il finanziamento di gruppi eversivi come le vecchie brigate rosse, i Nar, gli anarchici e schegge della banda della Magliana.
Già cinque anni fa, quasi agli inizi della sua collaborazione, Bonaventura aveva raccontato di un pranzo avvenuto nel ristorante di Crotone Antico Borgo, quando era ancora reggente della cosca Vrenna-Bonaventura. Al tavolo erano seduti Pasquale Nicoscia, omonimo del capo assoluto della cosca, e diversi personaggi della 'ndrangheta. Molti di questi erano in Veneto. "Di questo pranzo ricordo che fu molto lungo. Pasquale Nicoscia si vantava di avere in mano anche il partito che odiava i terroni. Nello stesso tempo gli fece eco Leo Russelli vantandosi che in Emilia Romagna la cosca Grande Arachi era messa meglio di prima. Fu uno degli ultimi incontri che ebbi con gli alti esponenti delle cosche crotonesi". Era la consacrazione dell'avvenuta conquista del Nord, un percorso che lo stesso Bonaventura ha ricostruito nel corso del suo incontro con il pm Lombardo. Un percorso fatto di guerre, tradimenti e nuove alleanze. Che portarono i De Stefano al controllo del nord Italia. "E' da oltre 30 anni che i De Stefano hanno interessi in Liguria", ricorda Bonaventura. Sono gli stessi anni in cui suo zio Gianni vive in soggiorno obbligato in quei territori. Presenza poi rafforzata da un matrimonio. Quello tra la figlia di Franco Coco Trovato, boss della Lombardia, e Carmine De Stefano, primogenito del boss Paolo De Stefano, capocosca reggino ucciso il 13 ottobre 1985. L'alleanza tra i Coco e i De Stefano, aumenta notevolmente la potenza di queste famiglie nell'ambito degli interessi malavitosi. Ma soprattutto vengono lanciate le prime basi per fare di Milano il vero centro degli interessi economici della 'ndrangheta. "Franco Coco era "la famiglia" – ricorda Bonaventura - ma non una famiglia qualsiasi, bensì la famiglia che costituisce la mamma, i De Stefano".
Tra gli uomini legati ai De Stefano, ma anche ai servizi, secondo Bonaventura ci sarebbe anche Romolo Girardelli, l'ormai famoso ammiraglio. Personaggio considerato centrale dalla Dia, già indagato dal Pm Alberto Cisterna nel 1999 come presunto esponente di un variegato e pericoloso gruppo di esperti maghi della finanza "atipica", in grado di trasformare secondo le indagini dell'epoca, richiamate nelle carte processuali dell'attuale indagine sulla Lega, sofisticati strumenti finanziari in moneta sonante. Nelle carte dell'epoca si legge anche come lo stesso Girardelli si fosse attivato per "mediare la dazione di denaro necessaria alla latitanza di Salvatore Fazzari, dando a quest'ultimo supporto logistico". L'inchiesta non ebbe esito favorevole, ma portò gli investigatori sulle tracce di Girardelli con l'accusa di aver espatriato soldi dei De Stefano.
Inchiesta che arrivò fino in Svizzera, dove si incrociano le strade di dirigenti della Lega Nord e degli uomini dei De Stefano.
Ripresa in mano dieci anni dopo dal pm Giuseppe Lombardo, quall'inchiesta getta altra luce su quei rapporti. Francesco Belsito e Romolo Girardelli si conoscevano da tempo, almeno dieci anni, come loro stessi ammettono nelle telefonate intercettate dai magistrati di Reggio Calabria. Hanno in comune la città di Genova, vero centro della bufera che ha travolto la Lega. Nelle carte dell'inchiesta avviata nel 1999 troviamo Romolo Girardelli e Bruno Lorenzi, entrambi esponenti della Lega nord. Del primo abbiamo detto circa i suoi legami con Belsito. Lorenzi, invece, fu tra i fondatori della Lega a Ventimiglia, ovvero quel Comune dove, come a Bordighera, il Carroccio governava con le amministrazioni di centrodestra poi finite sciolte per condizionamenti mafiosi della 'ndrangheta.
*Giornalista del settimanale Il Punto