di Claudio Cordova - Alla fine, molto alla fine, don Nuccio Cannizzaro avrebbe scelto di farsi da parte, abbandonando i propri incarichi pastorali ricoperti in città. Quello che è accaduto e sta accadendo al parroco (o ex parroco?) del rione Condera di Reggio Calabria, attualmente imputato per false dichiarazioni al difensore in un processo contro la criminalità organizzata, è probabilmente lo specchio del contesto umano e morale dell'attuale Italia e – in maniera ancora più acuta – di Reggio Calabria.
Innanzitutto per il fatto in sé.
Che un sacerdote, un parroco, un uomo di Dio, cerimoniere dell'Arcivescovo e cappellano dei Vigili Urbani, finisca imputato per false dichiarazioni al difensore, rese, secondo l'accusa, per favorire alcuni soggetti più che equivochi della zona di Condera e Pietrastorta, è già in assoluto un fatto gravissimo. Soprattutto perché – e ciò va specificato, dato che il protagonista della nostra storia è un prete – uno dei dieci comandamenti, colonne portanti della dottrina cattolica e cristiana, ammonisce proprio dal rendere falsa testimonianza.
Sulla ribalta (per qualcuno troppo), don Nuccio lo è sempre stato. Il suo carattere, i suoi incarichi, la sua capacità di relazionarsi con figure istituzionali (alcune citate in aula proprio dal suo avvocato, Giacomo Iaria) lo hanno spesso portato a partecipare a incontri a rendere interviste agli organi di stampa.
Insomma, don Nuccio è sempre stato tutto, tranne che un prete "all'antica".
Don Nuccio, già da mesi però, è finito sulle prime pagine di tutti i giornali per le proprie intercettazioni "utili all'indagine", quelle che proverebbero il suo intento di "mandarla buona" ad alcuni presunti affiliati, nella vicenda che ha per vittima l'imprenditore Tiberio Bentivoglio, cui il presunto boss Santo Crucitti avrebbe, di fatto, impedito di operare con la propria associazione culturale nel rione Condera, proprio dove il parroco, da anni, esercita la propria opera pastorale.
"Non utili al capo d'imputazione", ma confluite nel fascicolo d'indagine, le frasi intercettate in cui don Nuccio Cannizzaro manifesterebbe il proprio pensiero: "A noi sacerdoti dovrebbe essere concesso, almeno una volta nella vita, di mettere incinta una donna, per sapere cosa si prova". Frasi pronunciate in aula dal Capitano dei Carabinieri Valerio Palmieri e pubblicate poi, integralmente, da Peppe Baldessarro sul Quotidiano della Calabria.
Frasi che hanno fatto rumore e che, diventate pubbliche, avrebbero spinto il parroco a fare la propria scelta.
Don Nuccio si sarebbe "dimesso" nel corso della Santa Messa della domenica, passaggio cruciale della settimana del cristiano. Una messa officiata proprio all'interno della chiesa di Condera, la "sua" parrocchia". In quell'occasione, il prete si sarebbe dimesso da tutti i propri incarichi. E c'è un ulteriore fattore che aggiunge gravità alla gravità: don Nuccio sapeva (forse poteva non ricordare, ma sicuramente sapeva) di aver pronunciato quelle parole, non edificanti per un parroco, il prete ha deciso di dimettersi dai propri incarichi solo dopo essere stato sbattuto in prima pagina, come il "mostro" del film di Marco Bellocchio.
E se, tutto ciò, lo si potrebbe aspettare da un'altra figura "istituzionale", magari un politico, visto che i politici, ormai, spesso giustamente, sono diventati il simbolo, l'emblema, dell'illegalità, disposti ad abbandonare la poltrona solo se colti con le "mani nella marmellata", se è un prete a prendere decisioni gravi solo dopo il pubblico ludibrio dei giornali, questo, sicuramente, fa ancora più male.
Una decisione, quella di don Nuccio, che ha innescato anche una sorta di mobilitazione da parte dei fedeli e dei parrocchiani che, evidentemente soddisfatti dell'opera del proprio sacerdote, hanno cercato e cercheranno, in queste ore, di farlo recedere dalla scelta. E se, nel frattempo, si ipotizzano anche nuove destinazioni per il prete, che potrebbe continuare la propria attività nella provincia di Reggio Calabria, la presa di posizione del parroco, probabilmente, appare oggi, alla luce della "discovery" delle conversazioni contenute nelle indagini, abbastanza tardiva. Senza voler infierire sulla figura dell'uomo, su cui, come si è detto, esistono peraltro posizioni molto discordanti, don Nuccio avrebbe potuto (o dovuto?) fare un passo indietro già diversi mesi fa, allorquando la sua situazione, con le prime intercettazioni sui giornali e, soprattutto, sotto il punto di vista penale, con gli interrogatori e il rinvio a giudizio, si era fatta a dir poco imbarazzante.
Ha invece continuato, don Nuccio. Ha continuato a operare a Condera, ha continuato a coadiuvare l'Arcivescovo Vittorio Mondello, che mai, in questi mesi, ha preso una posizione netta sull'accaduto.
Ma talvolta a sfidare la sorte si resta scottati.
Una storia di Chiesa. Una brutta storia di Chiesa, a prescindere da quale sarà l'esito del processo che vede don Nuccio alla sbarra. Sì perché, soprattutto per i credenti, gli uomini di Dio dovrebbero, a voler fare un discorso "romantico", alzare un muro, rappresentare un baluardo tra il Bene e il Male. E non solo con i discorsi, magari belli, appassionati, nei giorni di festa, all'interno della Cattedrale. In questa storia, infatti, nessuno fa una bella figura. E' il caso di don Nuccio, è il caso della Chiesa reggina che, in una vicenda che, piaccia o no, è finita alla ribalta dell'opinione pubblica, nulla ha fatto, se non ignorare ciò che stava accadendo. Se, come abbiamo scritto più volte, commentando l'operato e, più spesso, le malefatte dei politici, la gente, soprattutto in un territorio difficile come quello reggino e calabrese, ha bisogno di esempi, di simboli cui potersi appigliare, dal canto suo, la Chiesa reggina si è dimostrata inadeguata (sicuramente poco attenta) per porsi in una posizione di estrema chiarezza.
Ci ha pensato don Nuccio a togliere tutti dagli impicci. Tardi, troppo tardi.