di Claudio Cordova - Dichiarazioni di fedeltà, smancerie, affettuosità, cui – evidentemente – il boss Giovanni De Stefano teneva molto, tanto da conservare gelosamente in casa. I sostituti procuratori della Dda di Reggio Calabria, Stefano Musolino e Rosario Ferracane, hanno depositato numerosissime lettere rinvenute nel corso della perquisizione del 22 dicembre scorso nell'abitazione di Giovanni De Stefano, "Il Principe", membro di spicco dell'omonimo clan di Archi, ammanettato con le accuse di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni ed estorsione alla ditta impegnata nei lavori di ristrutturazione del Museo Nazionale della Magna Graecia di Reggio Calabria.
In almeno quattro occasioni, i De Stefano – su input proprio di Giovanni De Stefano – avrebbero preteso la "mazzetta" dalla CO.BAR. per un totale di quasi 200mila euro. Ruolo di primissimo livello sarebbe stato rivestito da Giovanni De Stefano detto "Il Principe", rampollo della famiglia perché figlio del defunto Giorgio De Stefano e scarcerato nel settembre 2009: in quel periodo, complice la concomitante detenzione dei maggiori esponenti della famiglia, "Il Principe" avrebbe retto le sorti del clan. Lo stesso De Stefano insieme e un altro degli indagati Fabio Salvatore Arecchi è indagato per il reato di intestazione fittizia di beni: Arecchi sarebbe stato il prestanome del boss nella titolarità dell'impresa individuale G.D.C DISTRIBUZIONI avente ad oggetto il commercio all'ingrosso di caffè, zucchero, bevande e alimenti vari. Nel corso dell'udienza, i pm Musolino e Ferracane hanno depositato un ulteriore verbale del collaboratore di giustizia Enrico De Rosa, l'uomo che sta raccontando ai pm i dettagli sui rapporti tra 'ndrangheta e zona grigia: De Rosa identificherà con estrema precisione un magazzino che sarebbe stato nella disponibilità degli indagati.
Ma l'elemento più indiziante è rappresentato proprio dalle "lettere d'amore" ricevute e custodite gelosamente in casa da De Stefano. Si tratta delle missive che un soggetto intraneo alla 'ndrangheta, Sebastiano Musarella, avrebbe scritto e spedito a Giovanni De Stefano, nel periodo in cui questi sarà detenuto. Lettere che, nell'ottica dell'accusa, dovrebbero mettere un ulteriore mattoncino nella ricostruzione investigativa che vede "Il Principe" a capo della storica cosca De Stefano, dopo la sua scarcerazione e la contemporanea detenzione di membri di spicco del clan come Giuseppe De Stefano e Paolo Rosario Caponera De Stefano.
Il deposito è stato effettuato dai pm antimafia nell'udienza davanti al Tribunale della Libertà: dopo aver risposto alle domande del Gip Domenico Santoro, "Il Principe" infatti chiede ora la scarcerazione, a due settimane circa dall'arresto. E quando i pm Musolino e Ferracane espongono in aula il contenuto delle missive è lo stesso Giovanni De Stefano – forse per rabbia o per imbarazzo – a chiedere di rinunciare a seguire il prosieguo dell'udienza. Lettere ricche di affettuosità. Un'affettuosità che – secondo quanto lasciato intendere dai pm – potrebbe andare ben oltre il rapporto di amicizia o di contiguità criminale. Tante, infatti, le affermazioni utilizzate da Musarella che dimostrerebbero una vicinanza "particolare" tra i due: più volte, infatti, Musarella (sposato e con figli) avrà modo di mettere nero su bianco il proprio smisurato affetto - e forse qualcosa in più - nei confronti del "Principe". E il fatto che – a distanza di anni dalla scarcerazione – De Stefano conservasse tali scritti, lascia intuire che questi avessero, effettivamente, un'importanza (anche affettiva) non di poco conto. Così come è indicativa la scelta dell'indagato di rinunciare all'udienza quando i pm antimafia rimarcheranno più volte la vicinanza emotiva tra i due uomini.
Sotto il profilo criminale, invece, i pm Musolino e Ferracane valorizzano i contenuti delle missive perché Musarella, uomo ritenuto intraneo agli ambienti mafiosi di Archi, più volte si sarebbe messo a disposizione del presunto boss De Stefano. E, in tal senso, si inquadra anche il deposito dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere con cui Musarella è finito in carcere. Condotte estorsive che l'uomo (già coinvolto nel procedimento "Araba Fenice") avrebbe messo in atto proprio facendo espliciti riferimenti agli ambienti di "Archi". Il rione di cui sono originari i De Stefano sarebbe dunque quello da cui partirebbero tutti gli input per il controllo della città. Una ricostruzione già dimostrata nel procedimento "Meta", che ricostruirà l'esistenza di un direttorio composto dalle famiglie De Stefano-Tegano-Condello-Libri che controllerebbe proprio il centro storico, dove insistono le principali attività economiche e i palazzi del potere. E l'inchiesta che ha portato in carcere Giovanni De Stefano testimonierebbe l'egemonia dei De Stefano anche su un appalto importantissimo come quello del Museo di Reggio Calabria. Per questo, quindi, le missive depositate davanti al Tdl acquisiscono peso ancor più significativo nel dimostrare l'ipotesi accusatoria di associazione per delinquere di stampo mafioso. Nelle lettere rinvenute, De Stefano verrà appellato proprio con il nominativo di "Principe", un soprannome chiave nelle intercettazioni, che però l'indagato ha sempre negato fosse riferibile a lui. Negli scritti, Musarella arriverà persino a definirsi il "pitbull" di Giovanni De Stefano, pronto evidentemente a ringhiare e a mordere, quando "Il Principe" sarebbe uscito di galera.
Insomma, dai baci ai morsi il passo sembra essere molto breve...