di Claudio Cordova - I giudici della Corte di Cassazione hanno depositato le motivazioni della sentenza con cui, nello scorso febbraio, hanno avvalorato l'impianto accusatorio del procedimento "Meta", statuendo un primo punto definitivo sull'inchiesta curata dal pm Giuseppe Lombardo e mirata a dimostrare giudiziariamente l'esistenza di una super-associazione, un direttorio composto dalle principali famiglie mafiose di Reggio Calabria – le cosche De Stefano, Tegano, Condello e Libri - unite, dopo gli anni della guerra di mafia, per spartire ogni provento e settore della vita pubblica cittadina.
A essere reso definitivo dalla Suprema Corte è lo stralcio degli abbreviati. Il gotha della malavita reggina, invece, ha scelto di essere giudicato con il rito ordinario, per il quale si è ancora in attesa dell'avvio del procedimento d'appello dopo le dure condanne emesse in primo grado. Nello stralcio degli abbreviati, dunque, la Cassazione condannò quasi tutti gli imputati tranne Giovanni Canale (prescritto) e Vitaliano Grillo Brancati, per il quale la condanna d'appello verrà annullata con rinvio. 6 anni di reclusione verranno quindi disposti per Demetrio Condello, 6 ad Antonino Cianci, 5 anni e 10 mesi a Domenico Barbieri, 6 anni a Domenico Corsaro, 7 anni a Santo Le Pera, 7 anni a Francesco Priore, 7 anni a Domenico Cambareri, 1 anno e 8 mesi a Francesco Condello (pena sospesa), 1 anno e 8 mesi a Domenico Francesco Condello (pena sospesa), 4 anni a Giuseppe Greco classe 1960, 6 anni a Giandomenico Condello. 10 anni e 2 mesi a furono inflitti a Pasquale Buda, boss dell'omonima cosca.
Sebbene i boss principali abbiano scelto l'ordinario, alcune righe dei giudici del Palazzaccio sono assai significative per la dimostrazione dell'esistenza della super-associazione ipotizzata dal pm Lombardo: "Nel mandamento di centro della 'ndrangheta vi è una supercosca. La pace mafiosa intercorsa anche fra le famiglie Condello, De Stefano, ha prodotto i suoi effetti nei territori limitrofi. Come quello di Villa San Giovanni e zone adiacenti, dove il clan Buda -Imerti era stato tradizionalmente referente dei Condello, e la cosca Zito-Bertuca aveva costituito emanazione di quella riconducibile ai De Stefano".
Le 83 pagine messe nero su bianco dalla Cassazione analizzano quindi le singole posizioni degli imputati: "Buda- scrive la Cassazione ha una caratura apicale all'interno dell'associazione. Nei colloqui l'imputato stabilisce quali "locali" debbono essere privilegiati da una data iniziativa o manifesta aperte critiche verso la gestione del clan da parte del boss del momento Antonino Imerti, o ancora rivendica a se stesso la possibilità di fare opposizione ad un "avanzamento di grado" nell'organizzazione criminale da parte di altri soggetti con tanto di uso di espressione inequivoche quali "locale di ndrangheta" e di riferimento all'intero cursus honorum nelle gerarchie criminali calabresi" si legge per esempio.
Affossanti le valutazioni della Suprema Corte sul conto di Domenico Barbieri, definito, senza mezzi termini, "imprenditore colluso". La famiglia Barbieri diventerà piuttosto nota in città, sia per il ruolo centrale nell'inchiesta, sia per l'ormai noto ricevimento cui parteciperanno diversi esponenti politici reggini, tra cui l'ex sindaco di Reggio Calabria, ed ex governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti. Per Barbieri, come per quasi tutti gli altri gli imputati, a nulla sono valsi gli sforzi degli avvocati ricorrenti: "Le censure difensive non valgono a superare la lineare ricostruzione operata dalla Corte d'appello, indicativa del resto di un chiaro ruolo rivestito dal'imputato all'interno del sodalizio criminoso di appartenenza". Condivise, quindi, le argomentazioni delle sentenze di primo e secondo grado, nei punti in cui sostengono come Barbieri assurge "a collettore economico [...] della struttura criminale di riferimento" così come emerge dalle stesse intercettazioni che l'uomo si rivolgeva ai principali esponenti della consorteria mafiosa "per ogni forma di assistenza, non omettendo di elargire anche sostanziose somme di denaro ai componenti del sodalizio criminale per i favori ricevuti ed instaurando un rapporto simbiotico, basato sulla completa reciprocità di interessi".
Nessuna chance anche per l'imprenditore Salvatore Mazzitelli, il "Barone" proprietario del lido "Calajunco" e del ristorante "Le Palme", condannato a un anno e 8 mesi di carcere. Mazzitelli paga la vicinanza al boss di Sinopoli Cosimo Alvaro, venuto a Reggio per tessere rapporti economici e politici (celeberrime le sue conversazioni con il consigliere provinciale Michele Marcianò). Per Mazzitelli, nonostante tutto, è caduta l'aggravante mafiosa. Ma per la Suprema Corte, questi "aveva consapevolezza- è scritto in sentenza- della prospettiva di sottoposizione dell'Alvaro a misure di prevenzione patrimoniale. Assume infine, pregnanza la deposizione di Rocco Esposito riportata in sintesi dalla Corte di Appello il quale riferì di aver frequentato l'Alvaro nel periodo i cui questi era a Reggio Calabria e di aver notato talora la presenza del Mazzitelli a casa dello stesso Alvaro e che a quest'ultimo- in quel medesimo frangente temporale- era preclusa la guida di veicoli a causa di una misura di prevenzione in atto a suo carico tanto da dover richiedere all'Esposito di prestarsi saltuariamente a fargli da autista. L'Alvaro dunque, agli occhi del Mazzitelli poteva anche non essere notoriamente un esponente di spicco di consorterie criminale, il che secondo la Corte esclude la possibilità di ravvisare l'aggravante delle modalità mafiose, ma era pacificamente sottoposto a misure di prevenzione di carattere personale; situazione che rendeva quanto meno ragionevole l'evenienza di analoghe misure sul piano patrimoniale".