di Claudio Cordova - Un ambiente che avrebbe frequentato assiduamente, sia per gli affari, soprattutto con riferimento al settore edilizio e immobiliare, sia per il "vizietto" riguardante il consumo di cocaina. Il neocollaboratore di giustizia Enrico De Rosa riversa il proprio patrimonio conoscitivo riguardante la cosca Zindato e le dinamiche 'ndranghetiste dei rioni Modena e Ciccarello a disposizione del sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Stefano Musolino che, a sua volta, ha depositato alcuni verbali del collaboratore nel procedimento "Crypto", che vede proprio alla sbarra i membri del clan Zindato. Nel corso di diversi interrogatori sostenuti negli scorsi mesi, De Rosa, immobiliarista del clan Caridi, ripercorrerà il proprio rapporto, intrattenuto soprattutto con Checco Zindato, ritenuto il capo della famiglia egemone in quei territori: ""Nell'anno 2007/2008 ero titolare di un'agenzia immobiliare. In quel periodo sono entrato in contatto con alcuni soggetti tra cui Francesco Zindato. In quel periodo avevo interessi professionali nel quartiere Modena di Reggio Calabria. Un giorno, mentre mi trovavo presso un salone da barba, sono stato avvicinato dal Zindato Francesco che ha voluto iniziare un rapporto di conoscenza che poi è durata nel tempo".
LA DROGA
A seguito di tale conoscenza, De Rosa inizierà a consumare cocaina che Zindato deteneva presso la propria abitazione ovvero il condominio "La Polveriera" in via Ciccarello terzo piano: "Fino ad allora io ero benestante da un punto di vista economico ma successivamente sono praticamente caduto in disgrazia che sebbene non possa ricondurre allo Zindato, di fatto i miei problemi sono coincisi con la sua presenza" spiega De Rosa.
La costante, a Modena-Ciccarello, sarebbe stata dunque la compravendita di droga: "Zindato Francesco ha sempre ottenuto i propri introiti illeciti solo a seguito della vendita di cocaina. [...] A casa di Zindato Francesco vi era sempre cocaina, sicuramente oltre mezzo chilo [...] Checco Zindato vendeva cocaina tagliata a 100 euro e quella non tagliata a 70 euro. Proveniva da San Luca, Africo e Careri" dice in vari verbali De Rosa. Un comportamento anomalo, quello di Checco. Nonostante fosse un capoclan, avrebbe spacciato in prima persona, accecato dalla sete di denaro: "Gli ultimi momenti prima che venisse arrestato Checco Zindato cominciò ad avere seri problemi a causa dell'assunzione di droga. Checco Zindato spacciava di persona perché cercava di raccogliere quanto più possibile in breve tempo perché sentiva di essere arrestato da un momento all'altro". Da consumatore, ma anche da abituale frequentatore di casa Zindato, De Rosa riesce a fornire al pm Musolino i nomi della "squadra" di spacciatori, delineando inoltre i rapporti interni all'organizzazione: "In merito allo spaccio nel quartiere Modena posso riferire che Mico Barbaro non aveva buoni rapporti con Checco Zindato, tuttavia a seguito dell'arresto di questi, Mimmo Sonsogno riuscì a capitalizzare la vicinanza di Mico Barbaro che sebbene in possesso di ottimi canali di spaccio, fu inserito nei "giri" importanti inerenti lo spaccio di cocaina [...] i rapporti tra Mico Barbaro e Totò Laurendi erano ottimi probabilmente per via del traffico di sostanze stupefacenti; immaginando una sorta di gerarchia, credo che Mico Barbaro avesse supremazia su Totò Laurendi. Sono certo che parte dei proventi dello spaccio, Totò Laurendi li destinasse ai familiari detenuti. In una circostanza Checco Zindato ha sparato alla macchina di Totò Laurendi intimandogli di non spacciare più a Modena; Totò Laurendi sospese la sua attività di spaccio ed a seguito di ciò ci fu poi l'intervento di Gino Borghetto a sistemare tale questione e per tale motivo Laurendi si avvicinò a Gino Borghetto".
Non solo vendita al dettaglio, però. La famiglia Zindato avrebbe lavorato anche su grosse quantità di droga: "Una volta io e Mico Sonsogno abbiamo assistito a uno scarico di un grosso quantitativo di cocaina a Pentimele da recapitare a Laurendi Antonio".
IL CONTROLLO DEL TERRITORIO
Enrico De Rosa, comunque, riferisce anche delle dinamiche che avrebbero caratterizzato i rioni di Modena e Ciccarello. Rioni che, come emergerà da indagini degli ultimi anni, sono sotto il completo controllo delle famiglie Borghetto e Zindato, a loro volta federate al clan Caridi di San Giorgio Extra, tutte sotto l'egida del potente clan Libri. Anche quando De Rose subirà i furti dei suoi motorini – lasciate non casualmente con le chiavi attaccate al quadro di accensione – sarà proprio Checco Zindato a intercedere (non in maniera diplomatica) con gli autori, in prevalenza rom del luogo: "Checco lo ha ammazzato di botte allo zingaro". Del resto, dice De Rose, "se uno lascia le chiavi attaccate c'è un motivo, se le lascia vuol dire che non lo devi toccare quello scooter". Tutti lasciavano le chiavi attaccate, era una cosa normale. Per quelli che potevano farlo.
Tra di essi anche Gino Borghetto, un soggetto ritenuto di peso in quelle zone: "Un paio di volte Checco è andato a casa di Gino (Borghetto, ndr) per parlare di alcune cose, tipo, di appalti di [omissis] e Gino l'ha cacciato. Nel senso che, tipo, l'ha liquidato perché per quello che ho conosciuto io a Gino Borghetto era concentrato soltanto sul pallone, non voleva rotture" racconta De Rosa.
Persone pericolose, gli Zindato. Lo dice anche De Rosa: "Checco mi ha sempre fatto paura come persona" perché ritenuta una persona instabile e incontrollabile. Un rapporto che, comunque, sarebbe poi evoluto verso una totale condivisione di interessi e affari: "Quello che facevo per Nino Caridi, a livello di consulenza, lo facevo anche per Checco Zindato". Ancor più pericoloso sarebbe stato invece il fratello minore di Checco, Gaetano Andrea: "Se ti diceva che stanotte ti ammazzava, stanotte lui faceva in modo di liberarsi da qualsiasi impegno e ti sparava".
DONNA MELINA
Un ruolo di primissimo livello, però, l'avrebbe rivestito proprio la madre dei fratelli Zindato, Carmela Nava, la "signora Melina" che sarà tra le figure principali che emergeranno nell'inchiesta "Crypto". La descrizione che dà De Rosa è da antologia: "All'inizio la signora Melina non l'avevo inquadrata bene, perché faceva tutta la santa, una cosa incredibile [...] la signora Melina è un personaggio. Nel senso che i primi tempi che io frequentavo Zindato, questa signora mi sembrava la "Vergine delle rocce" che era capitata in mezzo ai serpenti [...] poi mi sono reso conto che la signora Melina aveva delle capacità gestionali infinite, nel senso che la signora Melina... Mimmo Amaddeo gli portava i soldi alla signora Melina, Mimmo Amaddeo intendo Apan Costruzioni".
Insomma, un classico esempio di donne di 'ndrangheta, che incidono nella vita del clan: "La mamma di Checco Zindato e in misura minore la moglie Margherita hanno sempre avuto un ruolo attivo nella gestione della cosca, anzi posso dire che la signora Melina era molto più capace dei suoi figli nella gestione degli affari criminali [...] Checco Zindato unitamente alla mamma riceveva ogni giorno un enorme numero di persone presso casa sua e della mamma stessa. Ricordo ci fosse una serie interminabile di persone che si recavano lì con richieste di ogni tipo ed aiuti; posso riferire che Checco Zindato cercava di accontentare tutti".