Il pentito Mesiani Mazzacuva: “Molte società di calcio in mano alla ‘ndrangheta”

pallonedi Claudio Cordova - Dalle dinamiche relative alle due cliniche private, una a Gioia Tauro, il centro tac "Imagine System", e una a Terni, la "Vital Dent", di cui sarebbe stato intestatario fittizio per conto del clan Molè, passando per gerarchie strutture interne alla storica famiglia, frequentata fin dalla giovane età, e poi, ancora, le alleanze con gli altri casati di 'ndrangheta, fino ad arrivare alle ingerenze delle 'ndrine sulle squadre di calcio calabresi. Le conoscenze di Pietro Mesiani Mazzacuva sembrano andare ben oltre quanto attualmente è diventato di dominio pubblico, con il deposito di diversi verbali nell'ambito dell'inchiesta "Mediterraneo", che ha stroncato le attività criminali dello storico clan Molè, un tempo in alleanza con i Piromalli per il controllo di Gioia Tauro e delle zone limitrofe.

LE ALLEANZE

Sono diversi i verbali depositati nell'indagine. Verbali in cui Mesiani Mazzacuva risponde alle domande dei pubblici ministeri Roberto Di Palma, Giovanni Musarò e Matteo Centini. Ma ciò che l'uomo racconta potrebbe aprire, in verità, scenari molto più ampi. Soprattutto perché i pm antimafia reggini sanno bene di non avere di fronte il classico killer, che fermerebbe le proprie conoscenze all'ala militare, ma un soggetto scolarizzato e attivo in importanti attività economiche. Inoltre Mesiani avrebbe potuto acquisire una lunga serie di informazioni, grazie alla propria frequentazione assai datata nel tempo con gli ambienti del clan Molè. Il collaboratore, infatti, è il cognato di Domenico Molè per via del matrimonio di questi con la sorella Valeria ed è un soggetto che è già stato condannato in via definitiva nel processo "Tirreno". Il racconto di Mesiani Mazzacuva, dunque, riesce a spingersi assai indietro nel tempo, soprattutto con riferimento alle alleanze che i Molè sarebbero stati in grado di intrecciare con gli altri clan di 'ndrangheta: "Quando c'erano Mommo e Mico erano molto amici dei Mancuso, soprattutto del gruppo di Peppe Mancuso" afferma il collaboratore. Ricordi antichi, che danno la misura del peso che, un tempo, i Molè avrebbero rivestito negli assetti criminali della Piana di Gioia Tauro, ma non solo: "Quando ero piccolo io in due episodi ero alla masseria dei Molè con mio cognato e mi ricordo che sono arrivati Nino Pesce, Luigi Mancuso e Pino Piromalli che parlavano con Mommo, che dovevano parlare con Mommo, sono arrivati tutti e tre insieme a trovarlo, sempre così, camminavano sempre insieme. Mommo aveva un rapporto migliore, penso con Peppe Mancuso all'epoca, come avevano un buon rapporto con i Facchineri di San Giorgio Cittanova, aveva un buon rapporto con i Cordì di Locri, con i Commisso di Siderno, con i Campisi di Nicotera, con i fratelli Fiumara di Filadelfia, con i Gallico di Palmi c'erano ottimi rapporti". Nel proprio racconto, Mesiani apre tante parentesi, tanti ulteriori racconti che la Dda di Reggio Calabria decide, opportunamente, di "omissare" per poter eventualmente sviluppare sotto il profilo investigativo: "Poi con gli Albanese di Laureana, poi il gruppo Asciutto di Taurianova eh... con un altro gruppo di Drosi, però non mi ricordo come si chiamano, che erano in guerra con i Crea, sono morti, mi pare questi, sono stati ammazzati uno su... forse a Gioia Tauro sul corso, sotto la UPIM tantissimi anni fa e uno poi a Drosi. Poi con gli Alvaro di Sinopoli".

Stando al racconto di Mesiani Mazzacuva, dunque, i Molè avrebbero avuto ottimi rapporti con alcuni dei clan che rappresentano il gotha della 'ndrangheta. Il collaboratore, in particolare, sottolinea gli ottimi rapporti con il "mastro" Peppe Commisso, un personaggio di grande livello in seno alla 'ndrangheta. La sua figura verrà cristallizzata in varie indagini (su tutte il processo "Crimine"), visto che dalla sua lavanderia "Ape Green " sarebbe riuscito a decidere molte cose in seno alla 'ndrangheta: "So che Rocco Molè doveva ricevere un grado provinciale di 'ndrangheta prima di morire, so che dovevano venire da Africo, Rocco Aquino di Marina di Gioiosa, il Mastro Giuseppe Commisso(...) So che per la locale di Gioia Tauro i Piromalli e i Molè indicavano soggetti non appartenenti alla famiglia di sangue. So che dopo la morte di Rocco Molè il locale è stato rifatto perchè c'erano persone vicine ai Molè. So che si sono rivolti a Vincenzo Pesce, fratello di Giuseppe Pesce "pecora", quello morto".

IL DECLINO E IL DESIDERIO DI "RIPRENDERSI GIOIA TAURO"

Spartiacque della storia sarebbe l'uccisione di Rocco Molè: "Prima del 2008 le uniche amicizie che i Molè avevano era con i Pesce.(...) dopo la morte di Rocco loro hanno stretto amicizia o in carcere o in altro modo con i Bellocco, mentre prima, tramite i Piromalli o tramite i Pesce li tenevano lontani, Molè e Bellocco venivano tenuti a distanza(...) perchè sarebbe stata molto timorosa per gli altri.(...) perchè diventava un gruppo molto forte, secondo loro, mentre tenerli sotto e vicini sempre ai Pesce e Piromalli e i Bellocco tenerli un pochettino più isolati era sempre stata una strategia che avevano usato, sempre".

Poi, però, sarebbero arrivati anni più bui per i Molè. Anni in cui l'altra storica famiglia di Gioia Tauro, i Piromalli, sarebbe riuscita a prendere il sopravvento. Avvenimento chiave sarebbe l'uccisione del boss Rocco Molè, avvenuta l'1 febbraio 2008: "Mommo Molè dal 2008 al 2012, avendo tutte le persone a lui vicine detenute, avevo notizia che era rimasto un po' in disparte. Poi ha ripreso le redini dando consigli al figlio Nino, classe '89 che era tornato libero. Sebbene fossero quasi tutti detenuti nel carcere i Molè continuavano a concepire strategie per il momento in cui sarebbero usciti dal carcere per vendicarsi e riprendersi Gioia Tauro". La vendetta, infatti, è uno dei sentimenti più forti nel contesto 'ndranghetista. Per questo i Molè non si sarebbero arresi a una vita da subalterni agli ex alleati Piromalli e non avrebbero mai abbandonato il desiderio di rivalsa: "Mio nipote Nino, classe 1990, mi ha sempre raccontato che in carcere gli esponenti della famiglia Molè si organizzavano per quando sarebbero usciti. Spesso si incontravano durante i processi quando venivano trasferiti tutti nello stesso posto. Ogni momento di incontro veniva usato per parlare di questioni di interesse della cosca, di strategie come per stringere alleanze. Nino, classe 89, mi ha detto che il padre gli aveva sempre detto che se avesse dato il primo colpo non si sarebbe dovuto fermare fino a riprendersi Gioia Tauro".

CALCIO E 'NDRANGHETA

Un ulteriore passaggio interessante, Mesiani lo dedica alle infiltrazioni della 'ndrangheta nel mondo del calcio locale. Dichiarazioni, quelle del collaboratore di giustizia di Gioia Tauro, messe nero su bianco diverse settimane prima che l'operazione "Dirty Soccer" della Dda di Catanzaro svelasse non solo un presunto sistema per l'aggiustamento delle partite dei campionati (dilettantistici e non), ma anche l'ombra della 'ndrangheta (nella fattispecie della cosca Iannazzo di Lamezia Terme) su tali vicende. Durante l'interrogatorio del 20 gennaio scorso il collaboratore ha raccontato ai pm Di Palma e Centini che "una volta entrato nel mondo del calcio, ho notato pure io che tutto il panorama reggino è, o quasi tutte le società rispecchiano diciamo le figure di 'ndrangheta del paese. Molte società sono in mano a famiglie di 'ndrangheta".

Un racconto dall'interno del sistema, quello di Mesiani Mazzacuva che, per anni, è stato presidente del Gioia Tauro Calcio, "società comprata – racconta - da Enzo Priolo, quello poi ucciso". Una compravendita che, a dire del collaboratore, si sarebbe conclusa proprio grazie alle sue parentele "pesanti" con la cosca Molè: "Diverse persone mi spinsero a comprare la squadra che stava per essere venduta ad una cordata di Polistena. Gli ho fatto un'offerta ai Priolo, a Enzo, a suo padre, di 30 mila euro pagabili in 10 mesi, con assegni regolari del Banco di Napoli e lui mi ha detto: "ne vorrei 35 ma te la do a 30, vedi che te la do per te non per tuo cognato, per i tuoi parenti o quant'altro".

La 'ndrangheta nel calcio. Forse per consenso sociale, forse per altro. Spiega Mesiani Mazzacuva: "Penso che sia più una passione che... una coincidenza, non altro, ecco, salvo poi chi ne fa malattie, perché tanti non ne fanno malattie, pure essendo... sono dei signori, non gli interessa né vincere e né perdere... ecco lo fanno per pura... poi ci sono alcuni che ne fanno una malattia". E, tra quelli che ne avrebbero fatto una malattia, a detta del collaboratore, vi sarebbe Francesco Pesce, rampollo dell'omonimo clan di Rosarno: "Una volta mi disse che lui in campo si trasformava e perdeva ogni diplomazia, come nel caso del battibecco che c'era stato al campo "Cesare Giordano" di Gioia Tauro quando Pesce mi disse che mi avrebbe tagliato la testa".