Il pentito Belfiore: "Ecco i traffici di armi nella Piana di Gioia Tauro"

pentitodi Claudio Cordova - E' l'uomo dell'arsenale scoperto tra Rizziconi e Gioia Tauro. Quella santabarbara che, alla fine di marzo, aveva fatto pensare a un "attentatuni" contro le Istituzioni. Oggi Marino Belfiore è un collaboratore di giustizia e ai pm di Reggio Calabria, Roberto Di Palma e Matteo Centini spiega, nel dettaglio, tutte le fasi di quella compravendita di kalashnikov, fucili mitragliatori, pistole e munizioni che, a una prima analisi, aveva fatto temere il peggio circa una possibile strategia stragista da parte della 'ndrangheta. Le dichiarazioni di Belfiore confluiscono nel processo "Mediterraneo", che, alcuni mesi fa, ha disarticolato la potente cosca Molè di Gioia Tauro, un tempo in accordo con il casato dei Piromalli.

"Qualche giorno prima di quel 29 marzo siamo andati io e Antonio Bonasorta a Vibo a casa di Angelo Andreacchi che ci disse: "avete un appuntamento a Cassano dello Ionio(...) prese Antonio l'accordo e mi disse: "parlo io" e io sono rimasto in macchina...avevamo preso l'accordo sabato pomeriggio, sabato 29 marzo, dice " Ci vediamo a Rizziconi", e io al ritorno ho detto: "ma perchè devo andare a Rizziconi se le armi le vogliono loro, non gliele poso portare qua?, dice e poi se la vedono loro", dice:" Si, ma vi vedete a Rizziconi, è meglio così tu fai un pezzo di strada, loro fanno tutto il grosso". Ho detto io: " e i soldi?". "No i soldi se la vedono loro con Angelo", se la dovevano vedere con Angelo Andreacchi". Ecco la spiegazione autentica di Marino Belfiore, incensurato, arrestato dalla Guardia di Finanza col bagagliaio pieno zeppo di armi. Lui che si dipingerà come una pedina nelle mani di Antonio Bonasorta, fratello del più noto Vincenzo, quest'ultimo arrestato insieme a Girolamo Piromalli per la tentata estorsione all'imprenditore Serafino Vadalà.

Ai pm Di Palma e Centini, però, Belfiore sembra negare – seppur non in maniera diretta- che quell'arsenale servisse a colpire le Istituzioni e, in particolare, i magistrati impegnati in delicate indagini contro la criminalità organizzata calabrese. La 'ndrangheta, però, a detta di Belfiore, non avrebbe alcun ruolo nel traffico illecito di armi che lo vedrà protagonista con diversi passaggi in Slovacchia. Belfiore riconduce la responsabilità, oltre che a se stesso, a Bonasorta e Andreacchi. Cinque i viaggi sull'asse Gioia Tauro-Slovacchia: "Tornato a Gioia Tauro, Bonasorte parla con me e mio padre, che dopo qualche perplessità si dava disponibile a fare tali lavori di ripristino delle armi una volta in suo possesso. Cosimo Amato e Bonasorta effettuavano un primo viaggio in Slovacchia, per portare una prima arma, cosa che poi non hanno fatto. Ci fanno però vedere le foto fatte sul posto, dove poi sono andato anche io successivamente (...) il secondo viaggio l'abbiamo fatto nel gennaio del 2013 io e Bonasorta (...) acquistammo 13 pistole e un mitra (...) dopo mio padre ha fatto la modifica".

Questa quindi la versione di Belfiore: "Voglio collaborare perché voglio avere la coscienza pulita". Insomma, Belfiore tende a minimizzare. Racconta delle difficoltà economiche del padre e dell'azione di Antonio Bonasorta, che troverà in brevissimo tempo un locale che impedirà la chiusura dell'officina di famiglia. Il traffico di armi sarebbe stato il "pagamento" del favore fatto da Bonasorta: "Ci raccontava come funzionavano le armi....se mio padre poteva fare queste cose...inizialmente mio padre era contrario, non voleva, non ha mai voluto (...) Antonio comunque era riuscito a convincerlo ,gli disse che si può fare e disse: " non vi preoccupate, ne facciamo un paio, solo per risollevarci", non non volevamo fare questo lavoro per portarlo avanti tutta la vita, come dire, anche io ho anche i miei debiti, le mie cose...e volevo un attimo pareggiare le cose, perché io so, come si dice, il crimine non paga, il crimine paga all'inizio, il crimine dà un acconto e rimani sempre a bocca asciutta, l'ho constatato io, di persona, perchè non tutto dura per sempre".

Non c'erano, dunque, altre persone coinvolte: "Che io sappia no...perchè a me praticamente, non è un socio, a me diceva: ti do trecento euro, 400, porta le armi là, li consegni e te ne vieni con i soldi", questo è quello che facevo io, poi lui non lo so che faceva, dove teneva i soldi, dove li posava, insomma....so che a casa lui ha un nascondiglio dove tiene i soldi, di diceva, ma non ho mai capito dove, non me l'hai mai detto, comunque ha una cassaforte dove tiene non solo soldi ma anche documenti, cose".

Dalle dichiarazioni rese ai pm Di Palma e Centini la situazione sarebbe molto diversa rispetto ai toni allarmistici usati all'inizio della vicenda: "C'ho pensato, non è una cosa semplice, so a che cosa vado incontro, ho fatto dei conti, ho fatto "uno più uno" e so che comunque avrò, per come conosco mio padre, avrò comunque il suo disappunto... vabbè mio padre non è un criminale di spessore...è caduto anche lui nella trappola, però so a cosa vado incontro, so che sarò escluso dalla società, non potrò tornare a Gioia Tauro, so cosa mi potrà capitare se un domani...causa x verrò trovato, so cosa dirò, so cosa vado ad attecchire....sono consapevole insomma, del fatto, lo faccio a prescindere dai 16 anni che mi son ostati inflitti per so che non sono quelli....ma chiamiamolo rimorso di coscienza perché io non ho mai fatto il delinquente di professione (...) io non sono quello che è stato scritto nei giornali....per una cosa mia personale. Per avere la coscienza pulita (...) è vero che le persone si rendono conto sempre quando è troppo tardi di quello che fanno".

Solo il tempo (e la conseguente discovery delle numerose pagine "omissate" nel racconto di Belfiore) potrà chiarire l'effettivo portato delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia.