- di Alessia Candito - 30 agosto 2007: sono passati appena quindici giorni dalla strage che ha svelato alla Germania il vero volto della ndrangheta. I funerali delle sei vittime sono stati celebrati in forma privata una settimana prima. Celebrate le messe e tumulati i corpi, al paese, c'è chi già medita nuovo sangue, nuove vendette.
Alle prime luci dell'alba, a San Luca scatta la maxi-operazione che metterà un punto definitivo alla faida che insanguina il paese. Trenta esponenti delle due consorterie che da anni si contendono la supremazia a colpi di lupara e attentati, finiscono dietro le sbarre. La risposta immediata della magistratura a una strage efferata. La prima. Nei mesi e negli anni successivi le due ndrine che hanno insanguinato San Luca verranno colpite da nuove ordinanze di custodia cautelare e sequestri di beni. Anche Giovanni Strangio, nel marzo 2009, verrà rintracciato ad Amsterdam e riportato in Italia in manette.
Un successo per inquirenti e investigatori che nel corso degli anni hanno visto anche confermata la correttezza dell'impianto delle indagini in sede processuale. Eppure, qualche mese fa, un anonimo investigatore interpellato da un noto quotidiano nazionale ha gettato ombre pesantissime su quelle operazioni. "Lo Stato ha sempre trattato con la 'ndrangheta e nessuno lo ha mai fatto senza che la magistratura non ne fosse a conoscenza. Anche per Duisburg. Per non trattare le istituzioni devono essere determinate. Sia chiaro: noi non abbiamo mai trattato l'impunità del reato". Subito dopo la strage, ha raccontato lo sconosciuto uomo in divisa, sarebbe stato lui ad aver immediatamente sentito una fonte confidenziale boss originario di San Luca ma da anni emigrato in Sudamerica. "Scendo in Calabria e cerco un contatto per arrivare a lui. A Giovanni Strangio ci arriviamo subito".
Il boss, oltre a denaro, avrebbe chiesto "uno sconto di pena per un importante capobastone in carcere. Tutte le richieste le ho portate all'autorità giudiziaria. Per Duisburg abbiamo contattato anche gente in carcere. Anche boss di rilievo. Ognuno chiedeva qualcosa: il trasferimento di un parente o il passaggio ad un regime detentivo meno duro. Tutte richieste aggiustate".
Affermazioni che hanno fatto saltare dalla sedia non solo i vertici delle forze dell'ordine, ma soprattutto il procuratore aggiunto Nicola Gratteri, che per anni ha seguito le tracce di boss e gregari che avevano eletto San Luca a proprio domicilio. A lui, il Dispaccio ha chiesto di ricostruire il filo di quell'indagine.
Quando è stato informato della strage avvenuta a Diusburg, cosa ha pensato?
Abbiamo immediatamente avuto la conferma di quello che abbiamo sempre pensato: la ndrangheta non è un fenomeno che riguarda solo la Calabria, le mafie non riguardano solo l'Italia meridionale, ma tutto il mondo occidentale. Sono andato subito in Germania, ho avuto contatti con i vertici della polizia di Duisburg, del Bka, con i magistrati, così come con tutte le forze dell'ordine italiane, i Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia di Stato. Tutti si sono immediatamente mobilitati per cercare di capire cosa fosse successo. Noi per fortuna avevamo già un'indagine ben avviata su San Luca. I Carabinieri di Locri avevano già depositato un'informativa, pochi giorni prima della strage di Duisburg, quindi avevamo ben chiaro quali fossero i due gruppi di potere mafioso che si stavano scontrando nella zona di San Luca, i Pelle Vottari da un lato e i Nirta Strangio dall'altro. Ovviamente, questa proiezione internazionale ha costretto le polizie della Germania e poi dell'Olanda a interessarsi di ndrangheta, dal punto di vista mediatico c'è stata grande risonanza, quindi c'è stata da subito una forte collaborazione sia dal punto di vista della polizia giudiziaria, sia dal punto di vista della magistratura.
Le indagini sono state celeri, dopo meno di due settimane è scattata l'operazione per l'arresto dei colpevoli.
In realtà non è che le indagini sono state celeri. Noi da tempo lavoravamo su San Luca e tre giorni prima della strage – ed è riscontrabile dagli atti, oggi divenuti pubblici, semplicemente confrontando le date –i Carabinieri del gruppo di Locri avevamo depositato un'informativa di migliaia di pagine. In quel documento si ricostruiva perfettamente la faida, gli omicidi che c'erano stati fino a quel momento e i plausibili colpevoli. Dopo la strage non abbiamo fatto altro che preparare il fermo, sviluppando quell'informativa.
Vi aspettavate un'escalation così violenta e improvvisa della faida?
No, anche perchè - per come io ho imparato a conoscere la 'ndrangheta - quello di Duisburg è stato un errore. E l'ipotesi che sia stato un errore è stata confermata da quello che è successo in Calabria il 2 settembre dello stesso anno, quando l'elite della ndrangheta ha imposto la pace.
A livello processuale, l'impianto accusatorio è stato confermato?
Al di là di quelli che sono stati condannati con rito abbreviato, per quelli che hanno scelto il ordinario, su nove richieste di ergastolo ne sono state accolte otto. È rimasto fuori solo Sebastiano Strangio e probabilmente solo per problemi tecnici, perchè non è stata ritenuta processualmente corretta l'acquisizione degli interrogatori svolti in Germania. Quando Liotino Luca (ndr. Uno dei condannati per la strage) quasi nell' immediatezza, è stato interrogato, la polizia tedesca lo ha fatto in assenza di un legale e questa è una cosa possibile (in quel contesto) nel sistema tedesco ma non in quello italiano. Quando è stato risentito alla presenza di un legale e del magistrato, Liotino non ha ritenuto di dover confermare quelle dichiarazioni, ma noi non abbiamo potuto acquisire il primo interrogatorio al fascicolo del dibattimento.
Quella su Duisburg sembra un'indagine solida che ha trovato anche riscontri processuali, eppure voci - che allo stato rimangono anonime – sembrano voler suggerire che ci sia stata una trattativa fra la ndrangheta e lo Stato per trovare celermente i colpevoli.
Io ho appreso questa teoria, per la prima volta, durante una trasmissione televisiva. Preferisco non conoscere mai le domande in anticipo ed eravamo in diretta, quindi quando ho sentito per la prima volta certe affermazioni sono rimasto soprattutto dispiaciuto, amareggiato. Ho avuto l'impressione che qualcuno volesse a tutti i costi buttare fango su ogni cosa. Io ho iniziato ad occuparmi della faida di San Luca, poi sfociata nella strage di Duisburg, dai tempi in cui ero pubblico ministero a Locri. Dopo il famoso scherzo di carnevale, c'erano stati i primi quattro morti. Ricordo che era una notte piovosa, pioveva a dirotto e noi abbiamo passato tutta la notte in montagna per andare a cercare questi cadaveri. All'epoca, nonostante avessimo causali e moventi, non eravamo riusciti a raccogliere elementi sufficienti per venire a capo di questi omicidi. Poi io sono passato a Reggio, nel periodo in cui ero alla procura ordinaria, e dell' indagine se ne occupava un'altra collega per la Dda, ma dopo la strage di Duisburg, chi coordinava le indagini della Distrettuale, Salvatore Boemi, proprio per la mia esperienza ha deciso di cointestarmi il fascicolo. Da quel momento non l'ho più mollato. L'ho seguito direttamente, ho coordinato direttamente anche altri colleghi, mi sono confrontato con i vertici della polizia italiana e tedesca, ho presieduto riunioni sia in Germania, sia in Italia a tutti i livelli, e posso affermare nel modo più assoluto che mai si è parlato di trattativa, di qualsiasi genere e qualsiasi tipo. E quello che io affermo è facile riscontrarlo. Se ci fosse stata una trattativa, cosa avrebbe chiesto un detenuto o una famiglia di ndrangheta assediata dal punto di vista investigativo e giudiziario? Uno sconto di pena, un trasferimento, delle assoluzioni. Davanti a otto ergastoli come si fa a sostenere che c'è stata trattativa? E se c'è stata trattativa, chi non l'ha rispettata non dovrebbe essere oggi – secondo le logiche ndranghetistiche – squagliato come il sapone? Qui stiamo parlando di otto ergastoli, di un processo di mafia con un numero record di 41 bis. Neanche nei processi palermitani ci sono stati tanti 41bis che hanno toccato le donne di una famiglia mafiosa.
Una severità che a livello processuale ha riguardato non solo esecutori e mandanti della strage..
A livello processuale è stata riconosciuta l'esistenza di due gruppi di potere mafioso contrapposti tra di loro e proprio per questo i 41bis sono stati decine. Tutti i promotori delle due associazioni a delinquere hanno avuto il 41 bis. Ricordo che durante l'udienza preliminare all'aula bunker di Reggio Calabria, c'erano diciotto collegamenti in videoconferenza, dunque di soggetti destinatari del regime di carcere duro. Partendo da questi dati, mi dovrebbero dire che tipo di sconti e favori avrebbero avuto le persone con cui teoricamente sarebbe stata avviata la trattativa.
Dopo la prima operazione contro i Nirta Strangio e i Pelle Vottari, la pressione investigativa su S. Luca si è allentata?
Assolutamente no. E questo ci ha permesso – poco prima di Natale dello stesso anno – di eseguire un'altra ordinanza di custodia cautelare, ancora più completa, risultato di intercettazioni telefoniche e ambientali successive alla strage. In questa indagine non ci sono stati collaboratori di giustizia, che hanno contribuito in maniera molto marginale. A seguito di quest'attività tecnica, che ha riguardato anche le conversazioni telematiche dei soggetti contigui alle due famiglie – le donne in chat mandavano notizie in tempo reale sull'evoluzione della situazione - noi siamo riusciti a eseguire la seconda ordinanza di custodia cautelare.
Non ci sono stati sconti di pena, si è continuato a indagare sulle stesse famiglie, ci sono state, data la gravità dei fatti, condanne molto pesanti, se trattativa ci fosse stata non sembra sia stata molto favorevole alle ndrine di San Luca.
Soprattutto perchè sono quasi tutti ancora in galera. Bisognerebbe chiedere a chi le ha messe in giro, il motivo di certe illazioni, di certe cattiverie che sembrano mirate solo a creare confusione, alzare un polverone o mettere in cattiva luce qualcuno che ha lavorato senza guardare in faccia nessuno per indebolirlo.
A chi è utile una strategia di questo genere?
A chi non ama la giustizia, a chi non ama la verità, a chi piace sguazzare nel torbido, a chi vive bene nella confusione.
In astratto, Lei accetterebbe, se le venisse proposto, di trattare con uomini di ndrangheta o con i loro referenti?
Trattare non è nel mio modo di pensare, tra me e il detenuto, tra me e l'indagato ci deve essere sempre il codice. Tutto quello che il codice prevede, noi lo facciamo. Dal punto di vista etico, neanche il collaboratore di giustizia mi piace. La legge non chiede il pentimento, ma che il detenuto, l'indagato dica tutto ciò di cui è a conoscenza e una volta trovati i riscontri avrà il programma di protezione. La legge prevede questo e io in questo senso gestisco il collaboratore: vado, ascolto, interrogo nel modo più rigoroso possibile, trovo i riscontri, se ci sono i presupposti chiedo il programma di protezione provvisorio prima, quello definitivo poi, per lui e tutti i suoi familiari. Punto, qui finisce, la parola trattativa mi fa venire l'orticaria solo al sentirla nominare.