Quella microspia al Consiglio Regionale... Era per Tripodi, ma il Capitano Spadaro Tracuzzi sbagliò stanza

consiglioregionaledi Claudio Cordova - Definire "maldestro" il tentativo del Capitano dei Carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi vorrebbe dire usare un enorme eufemismo. Agli atti del processo che lo vede imputato per collusione con il clan Lo Giudice, il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Beatrice Ronchi, ha infatti allegato anche la relazione di servizio che l'ufficiale dell'Arma in contatto con Luciano Lo Giudice, fece dopo il tentativo fallito di installare una cimice all'interno dell'uffici del consigliere regionale Pasquale Tripodi, in quel periodo indagato con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, reato per il quale verrà prima arrestato e poi prosciolto. Spadaro Tracuzzi verrà "pizzicato" all'interno di Palazzo Campanella, perché sbaglierà stanza: anziché recarsi presso la stanza di Tripodi, contrassegnata dal numero 509, finirà alla 519, quella di un altro consigliere regionale, Gianni Nucera, che nulla aveva a che fare con le indagini della Dda.

Spadaro Tracuzzi risulta attualmente imputato nel processo ordinario contro la cosca Lo Giudice. Oltre a Luciano Lo Giudice, considerato l'anima imprenditoriale della cosca, falcidiata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Nino Lo Giudice e Consolato Villani (già condannati in primo grado nel processo ordinario) nel procedimento vi sono altri personaggi, come l'imprenditore Antonino Spanò, che avrebbero gravitato nel mondo della famiglia originaria di Santa Caterina.

Uno di questi sarebbe proprio il Capitano Spadaro Tracuzzi a cui, nell'inverno 2008, la Dda di Reggio Calabria affida il compito di installare una cimice nelle stanze di Tripodi. Il racconto del fallimento sarà, per molti versi, comico.

Intorno alle 18.30 del 31 gennaio 2008, Spadaro Tracuzzi si recherà dunque a Palazzo Campanella insieme a un sottoufficiale: "Facevamo ingresso nello stabile, passando per la sala conferenze denominata "Nicolas Green", ubicata la piano terra, attraversavamo il cortile interno e, tramite l'ascensore, raggiungevamo il quinto piano dello stabile, dove, tramite badge, ci introducevamo nel corridoio su cui insiste la stanza n.517, obiettivo da attenzionare".

Un badge che il Capitano Spadaro Tracuzzi otterrà tramite l'aiuto di Grazia Iannò, impiegata al Consiglio Regionale, sorella del collaboratore di giustizia, Paolo Iannò, e moglie di quel Franco Rodà, già emerso nell'indagine "Meta", che di Spadaro Tracuzzi sarebbe stato confidente (circostanza che smentirà anche con comunicati stampa): "Individuata l'esatta ubicazione del vano all'interno del quale si sarebbe dovuto installare l'apparato di intercettazione – prosegue Spadaro Tracuzzi nella propria relazione di servizio – previo oscuramento di una micro-telecamera collocata proprio sull'ingresso al corridoio, nel momento in cui ci accingevamo ad operare per l'apertura della porta di detto vano, la stessa improvvisamente veniva aperta dal suo interno da persona sconosciuta che ivi si trovava".

Tante parole, quelle utilizzate da Spadaro Tracuzzi. Ma il concetto è semplice, quasi fantozziano per certi versi: l'ufficiale dell'Arma verrà colto sul fatto, come un bambino con le mani nella marmellata. "Chi siete, cosa state facendo" chiederà la "persona sconosciuta" che scoprirà Spadaro Tracuzzi e il sottoufficiale: "Alle insistenze dello sconosciuto impiegato prontamente ribattevamo che non era egli la persona che stavamo cercando, minimizzando la presenza ("non si preoccupi... non è successo nulla") e, salutandola frettolosamente, raggiungevamo l'ascensore che ci avrebbe riportato a piano terra attraverso l'uscita opposta a quella da cui eravamo entrati". Qui i due ufficiali di polizia giudiziaria affronteranno un'altra serie di blocchi e intoppi, tra cui le domande di un impiegato del Consiglio Regionale e di una guardia giurata: "Ci chiedevano chi fossimo e perché uscivamo da quell'accesso anziché dalla porta principale con il relativo pass, aggiungendo che era stata loro segnalata la presenza di persone estranee in un corridoio del palazzo. Prontamente – scrive Spadaro Tracuzzi – senza qualificarmi riferivo che ci trovavamo in quella sede per un appuntamento con tale dottor Serra, non meglio indicato, e che per comodità si era preferito utilizzare quell'accesso anziché il principale. A tale risposta, l'addetto all'accoglienza, cercando di rammentare chi potesse essere il "dottor Serra", chiedeva se lo stesso fosse un "capo struttura", ricevendo da noi risposta affermativa".

L'ultima evasiva risposta fornita dagli ufficiali di polizia giudiziaria, prima di riuscire a guadagnare, non senza fatica, l'uscita di Palazzo Campanella.