di Claudio Cordova - Settembre e dicembre 2014, carcere di Viterbo. A parlare è Tommaso Costa, il boss di Siderno attualmente alla sbarra come responsabile del delitto del giovane Gianluca Congiusta, assassinato, proprio a Siderno, nel 2005. Costa parla con i figli, Giampiero e Luciano, e con il nipote, Giuliano Nigro. Parla del fratello collaboratore di giustizia, nonché di un altro pentito, quel Vincenzo Curato che nel procedimento d'appello bis per far luce sul delitto dell'imprenditore, dichiarerà: "Giuseppe Costa mi confidò di non avere riferito in aula di un omicidio commesso dal fratello Tommaso".
E proprio tali intercettazioni ambientali sono state depositare dal pm Antonio De Bernardo, applicato al processo in Procura Generale per provare a venire a capo di un delitto ancora avvolto dal mistero. Tommaso Costa, infatti, è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio dell'imprenditore ucciso il 24maggio del 2005 a Siderno sia in primo che in secondo grado. La Cassazione però, ha annullato con rinvio la sentenza, ad un'altra sezione dell'Appello, limitatamente al delitto. Da qui il nuovo processo. Il boss Costa si è sempre professato innocente, ma per la Dda sarebbe stato lui ad ordinare l'omicidio di Gianluca Congiusta poiché il giovane sapeva della tentata estorsione perpetrata al suocero Scarfò e quindi ormai del fatto che Costa era ritornato sulla piazza criminale di Siderno senza aver avuto il permesso dal clan Commisso, che in quel luogo condiziona ogni respiro.
Nelle intercettazioni, Tommaso Costa critica aspramente il fratello Giuseppe per le dichiarazioni rese nei suoi confronti: "Megalomane e pezzo di merda" e "pezzo di cornuto" gli appellativi usati. "Fatti la galera e non rompere i coglioni" dice nei confronti del fratello "che vuole fare il pentito e non sa fare il pentito". Tommaso Costa riferisce che la deposizione di questi nel processo lo ha rovinato e fa diversi riferimenti ai rapporti, con il conseguente scambio di informazioni tra lo stesso Giuseppe Costa e l'altro collaboratore Vincenzo Curato.
Questi, infatti, ha raccontato al pm De Bernardo alcune confidenze che avrebbe ricevuto dallo stesso Giuseppe Costa: "Ho conosciuto Giuseppe Costa al carcere di Prato...il primo episodio di cui ho scritto riguarda un omicidio di cui è accusato il fratello e per il quale Giuseppe Costa è stato sentito in videoconferenza. Lui mi disse che non poteva tradire la sua famiglia e che, pur sapendo che il fratello era responsabile dell'omicidio, aveva detto di non sapere nulla...Anche quando era detenuto Costa veniva costantemente informato dal nipote Francesco sulle vicenda della famiglia...Non ricordo il nome della vittima di questo omicidio. Questa videoconferenza c'è stata nell'estate 2013, tra giugno-luglio e settembre, mi pare[...]Secondo il racconto del Costa, quando da lui riferito alla Procura di Reggio Calabria risponde al vero, semplicemente ha omesso di dichiarare alcune cose riguardate il fratello...Anche di questa responsabilità del fratello Tommaso Costa per questo omicidio avrebbe saputo dal nipote Francesco. Il processo in cui è stato sentito il Costa era un processo proprio per omicidio. Lui mi disse, a proposito di questo omicidio, che il responsabile era il fratello Tommaso per averlo appreso dal nipote Francesco[...]Lui ha reso testimonianza favorevole al fratello dicendo che non sapeva nulla di questo fatto, questo sempre perché non vuole tradire la sua famiglia. Si tratta di una videoconferenza fatta da Prato[...]Sono certo che si trattasse da un processo davanti ad una Corte d'Assise per omicidio".
Ragiona ad alta voce, Tommaso Costa. Ritiene che sia tutta una macchinazione per tenerlo sotto pressione e per indurlo a collaborare con gli inquirenti, compreso il trattamento (a suo dire inumano) ricevuto in carcere: "Dove mi conosci a me tu, quando mai sei stato con me, che sai tu di me; tu di me non sai nulla, zero; no, appartiene alla 'ndrangheta, ha questo... che... ma chi cazzo li conosce a questi Cataldo, perché dice che nel carcere di Locri è stato affiliato alla 'ndrangheta; ma tu, pezzo di merda, vedi che mi portano un omicidio riferibile ai Cataldo... riferibile ai Cataldo... tu mi stai facendo prendere l'ergastolo pezzo di merda".
Non ci sta, Tommaso Costa e ragiona ad alta voce. Le sue affermazioni vengono valorizzate in grassetto dagli inquirenti: "Come ho ammazzato a Congiusta io? Quando l'ho ammazzato? Come l'ho ammazzato? Con quale macchina sono andato? Se io non so neanche come l'hanno sparato... o quell'altro chi... (parola incomprensibile) ... come faccio a dirtelo io". Una conversazione assai lunga in cui Costa riferisce che, addirittura, gli viene addebitato, perché riferito dai Servizi Segreti, e riportato sugli organi di stampa, di un furto avvenuto nel Tribunale di Reggio Calabria, nello specifico in danno del dottor De Bernardo. Circostanza, peraltro, non corrispondente alla realtà. Ma Costa fa intendere che tutto ciò è una strategia per influenzare la sentenza e in particolare modo per influenzare i giudici popolari.
Si sente un perseguitato, Tommaso Costa. O, almeno, si dipinge come tale. Ritiene di essere stato condannato non perché colpevole, ma perché lo si voleva colpire per indurlo a confermare tutto quello che ha dichiarato il fratello Giuseppe, in modo tale che gli inquirenti avessero poi la possibilità di costruire nuovi processi.
In un colloquio di dicembre invita i figli e il nipote a fare attenzione alle persone che frequentano e di stare attenti a come si parla e a cosa si dice poiché, a suo dire, gli organi di polizia costruiscono "tragedie". Di stare attenti, anche quando parlano al telefono, atteso che, pur di fare un dispetto a lui gli organi inquirenti sarebbero capaci di qualsiasi cosa. Anzi, per dirla con parole sue, di qualsiasi "fetenzia".
Costa raccomanda ai suoi giovani parenti di non parlare al telefono, ma ad essere ascoltato è lui. E gli inquirenti segnalano ogni suo passaggio, ogni sua congettura, ogni sua allusione. Ogni sua ossessione. Quelle, per esempio, rappresentate dal fratello Giuseppe e dal collaboratore cosentino Curato. Questi, a suo dire, avrebbe ricevuto informazioni dal fratello Giuseppe, in quanto Curato, che viene da Rossano, mai "si poteva sognare" di dire tali cose.