Il trafficante di droga che inguaia le cosche De Stefano-Libri-Tegano a Milano

pentitodi Claudio Cordova - Sarebbe uno degli organizzatori dell'associazione mafiosa e si sarebbe occupato di predisporre tutto per le importazioni di cocaina provenienti da fornitori sudamericani di sua conoscenza, ed a tal fine recandosi abitualmente all'estero. E' Edmondo Colangelo, una delle persone raggiunte dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere con cui l'autorità giudiziaria di Milano ha portato dietro le sbarre 59 presunti affiliati alle cosche De Stefano-Tegano-Libri. Originarie di Reggio Calabria, i tre clan avrebbero messo i propri tentacoli anche sul capoluogo lombardo. Ed è proprio Colangelo a svelare le dinamiche interne al sodalizio: "Nel corso degli anni, in diversi contesti e in diverse occasioni, io ho avuto modo di apprendere dell'appartenenza alla 'ndrangheta di Giulio e Vincenzo Martino e di Nucara Alessandro.Alcuni accenni già mi erano stati fatti nella prima fase degli anni '90 in cui insieme trafficavamo stupefacenti all'interno del gruppo facente capo a Domenico Branca, questo ovviamente prima del mio arresto del '94".

Non è chiaro se Colangelo possa essere considerato, a tutti gli effetti, un collaboratore di giustizia. Quel che è certo è che le sue dichiarazioni sono ampiamente valorizzate dalla Dda di Milano: "In più occasioni in particolare Guida Pietro mi aveva riferito che Giulio e Vincenzo Martino, così come il Branca e Nucara Alessandro e Zavettieri Carmelo (altra persona arrestata nel '96 con i Martino e Nucara) appartenevano alla 'ndrangheta ed in particolare facevano parte delle famiglie Libri – De Stefano di Reggio Calabria. Ricordo un'occasione in cui incontrando con Guida una persona in un bar a Milano, mi pare nel '93, GUIDA aveva commentato che quella persona era importante e si trattava del genero di Domenico Libri. In altre occasioni ancora, in un periodo in cui i fratelli Martino erano particolarmente guardinghi nei loro comportamenti, sempre Guida mi aveva detto che era in corso una guerra di mafia a Reggio Calabria e che i Martino si comportavano così per precauzione dato che avevano paura di subire un attentato".

Colangelo, dunque, apre le porte dell'associazione agli inquirenti, svelando gerarchie e dinamiche: "Ricordo, sempre in riferimento a quegli anni che i Martino mi avevano fatto a volte delle battute chiedendomi se io fossi interessato ad essere affiliato, non era però una proposta concreta, erano più che altro delle battute che facevano tra di loro con me presente. Successivamente, nell'anno 1999 nel carcere di San Vittore dove sia io che Guida Piero eravamo detenuti trasferiti da Brescia e dove pure erano detenuti i fratelli Giulio e Vincenzo Martino, questi ultimi tornarono con me sull'argomento di una mia possibile affiliazione. Mi chiesero questa volta in modo più esplicito se io fossi stato interessato ad affiliarmi alla 'ndrangheta, mi dissero che se io ero interessato la cosa si poteva fare perché loro ne avevano già parlato con Branca Domenico che era già d'accordo, mi spiegavano che se io avessi accettato oltre a loro ed a Branca ne sarebbero stati informati anche Nucara, Zavettieri e delle persone in Calabria di cui non mi fecero i nomi. Mi spiegarono anche gli obblighi che avrei avuto se avessi accettato di affiliarmi, mi dissero che non avrei potuto fare quello che volevo ma che sarei stato per sempre all'interno dell'organizzazione e che non mi sarei mai potuto rifiutare a qualche "chiamata" proveniente da loro o dalle altre persone che erano a conoscenza della mia affiliazione. Dopo che mi fecero questa proposta io per un verso ne ero interessato, mi consultai anche con Guida che era il mio compagno di cella il quale però mi sconsigliò di farlo. Io alla fine decisi di non accettare, ai Martino non dissi di no ma gli dissi che ne avremmo parlato più avanti".

'Ndrangheta lombarda che fa affari, che smercia droga e che si infiltra nell'economia, ma che mantiene le "solite" logiche calabresi. Colangelo, comunque, rifiuta l'affiliazione: "Faccio presente che io sono e sono sempre stato in realtà un trafficante di droga, ed anche lavorando con i Martino ho sempre avuto dei miei margini di autonomia per imbastire dei traffici e sinceramente non mi andava di perdere questo tipo di libertà. Molti anni dopo ancora, questo nel 2011, Vincenzo e Giulio Martino mi hanno nuovamente proposto di affiliarmi, mi hanno detto che quella era l'ultima volta che me lo avrebbero proposto e nuovamente mi hanno fatto presente gli obblighi che ne sarebbero derivati e mi hanno detto che se avessi accettato ne sarebbero stati informati Branca, Nucara e Zavettieri, io gli chiesi, ricordandomi della proposta fatta molti anni prima in carcere se questa volta le persone in Calabria potevano non essere informate. Loro mi risposero che in quegli anni "erano cresciuti" all'interno della 'ndrangheta, e che erano cambiate le condizioni e che c'era più autonomia senza però spiegarmi oltre che cosa intendessero. Mi dissero una frase del genere "tu non puoi capire", e mi confermarono che ne sarebbero però stati informati solo le tre persone di cui ho detto prima. Io nel frattempo avevo molta confidenza con loro e quindi mi permisi di rispondere direttamente che non ero interessato, risposto che tanto io ero con loro e che qualsiasi cosa mi avrebbero chiesto io l'avrei fatta anche senza essere affiliato, i fratelli Martino ne presero atto e non tornarono più sull'argomento. Attesa questa risposta, né prima né dopo, ovviamente ho mai chiesto maggiori dettagli ai Martino della loro appartenenza alla 'ndrangheta né loro me ne hanno spontaneamente parlato".

Colangelo, oggi appena quarantenne, inizia la sua carriera criminale nel settore del traffico degli stupefacenti già nei primi anni '90, quando gestisce una rete di spaccio nella zona nord di Milano per conto dei componenti del sodalizio facente capo a Domenico Branca, motivo per il quale è condannato nel 2001. Come dallo stesso riferito oggi come allora continua ad essere sodale dei componenti del gruppo criminale, di cui nel tempo ha guadagnato la massima fiducia, soprattutto da parte di Vincenzo e Giulio Martino (del quale veniva significativamente indicato "il delfino"). Proprio in ragione dei rapporti che da almeno vent'anni lo legano all'organizzazione mafiosa di Domenico Branca, Colangelo ha modo di apprendere per così dire "dall'interno" una quantità enorme di informazioni su fatti e persone di cui ampiamente riferisce, con precisione e ricchezza di dettagli, nel corso dei suoi numerosi interrogatori.

"Anche per tali ragioni le sue dichiarazioni possono ritenersi assolutamente attendibili in quanto precise e dettagliate, sia sulla collocazione cronologica degli episodi riferiti, sia sul ruolo avuto in ciascuno di essi dagli indagati, sia sulle modalità di commissione dei fatti-reato riferiti, senza buchi, né tardivi recuperi di memoria, avendo egli sin dal principio preannunciato quali sarebbero stati i temi che avrebbe inteso trattare, non ha mai modificato o ritrattato precedenti dichiarazioni, ed aveva ben in conto che esse sarebbero andate ad aggravare la sua stessa posizione quale indagato, proveniente da soggetto al quale i germani Martino hanno proposto l'affiliazione e che Colangelo riferisce di aver rifiutato per motivi logicamente persuasivi – la limitata libertà di impresa criminale allorché egli avesse aderito ad una forma associativa così strutturata –, rese senza conoscere gli elementi di prova acquisiti a suo carico e anzi, ancor prima di avere conoscenza di essere indagato nel presente procedimento" scrivono i giudici milanesi.

"Le parole di Colangelo, a ben vedere, non fanno altro che lumeggiare e in parte ampliare gli indizi raccolti, ma le figure principali del delitto associativo, nel profilo oggettivo e soggettivo, nonché numerosi reati fine, sono ben supportati da plurimi elementi di prova acquisiti ben prima della sua collaborazione. Infine, contrariamente a quanto avviene di solito, laddove a seguito delle dichiarazioni del collaborante vengono ricercati gli elementi atti a riscontrarle, nel caso a mani i riscontri esterni alle dichiarazioni del Colangelo sono costituiti, per la maggior parte, da elementi e circostanze acquisite anteriormente alle sue dichiarazioni, quando ancora quest'ultimo non aveva nemmeno iniziato a maturare la propria scelta di collaborare con la giustizia E anche successivamente, nel corso dei numerosi interrogatori resi al P.M., lo stesso rende le sue dichiarazioni senza essere a conoscenza degli elementi di prova già raccolti in ordine alle diverse vicende di cui andava a riferire" è scritto ancora nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gup di Milano.