Il grande tessitore

madonnina milanodi Alessia Candito - C'è un filo nero che sembra legare molti dei nomi che da protagonisti o semplici comparse, reclamano il proprio luogo sul palcoscenico dell'inchiesta che ha messo a soqquadro il Carroccio.
È un filo che si inizia a tessere ad Archi, periferia nord di Reggio Calabria, nei turbolenti anni 70 e la cui matassa si srotola nel corso degli ultimi quarant'anni in tutta la penisola. È un filo che si ingarbuglia in tentativi di golpe e in bombe nelle piazze, passa nelle stanze della massoneria e viene tessuto perfino da oscuri personaggi che più di un pentito attribuisce ai servizi segreti. Ma è soprattutto a Milano che la ragnatela tessuta dal clan De Stefano fin dagli albori degli anni '70 si dispiega.

Quella che si conosceva come la capitale morale d'Italia si scopre oggi inquinata dagli stessi mali e dagli stessi uomini che hanno affossato il Sud, ma forse senza gli anticorpi o l'umiltà per combatterli. Grande tessitore negli anni della Milano da bere, in quegli anni in cui all'ombra della Madonnina si iniziavano a smantellare le fabbriche e la produzione lasciava il posto alla speculazione, è Paolo Martino. Il suo nome non appare nella lista degli indagati, eppure tutti i fili sembrano condurre a lui.

Martino non è uno sconosciuto per le Procure e gli inquirenti. Alle spalle ha la famiglia che scrive di proprio pugno la storia della nuova ndrangheta: è il cugino prediletto del potentissimo boss Paolo De Stefano. E la sua è una carriera criminale di tutto rispetto, iniziata da minorenne quando, a 15 anni, nel corso della prima guerra di ndrangheta, ha commesso un omicidio per il quale è stato condannato dal Tribunale dei minori. "Sicuramente, purtroppo io non vengo da Oxford, né da Cambridge, come lei ben sa – racconterà in proposito, interrogato dal gip Giuseppe Gennari qualche mese fa  - perché non ho avuto la fortuna di frequentare queste università, perché a 15 anni ho commesso quello che ho commesso, perché se fossi nato a Bressanone, può darsi, l'ambiente era diverso".

Da Archi ad Arcore: la scalata sociale del "Ministro del Tesoro della ndrangheta"

E al Nord Paolo Martino decide di andare appena terminata la pena da scontare. Torino, Genova, Milano. Il giovane killer cambia modi e pelle, diventa l'anima imprenditoriale degli "arcoti", il tentacolo della cosca che ha il compito di curare gli interessi dei De Stefano in Lombardia.  Si trasferisce in corso Como, si muove in Jaguar, veste  abiti di sartoria e frequenta politici e imprenditori. È l'uomo ombra che viene sfiorato da tutte le inchieste degli ultimi decenni, senza che nessuna riesca a toccarlo davvero. Era socio di Francesco Lampada - elemento di spicco dell'omonimo clan della ndrangheta milanese, ritenuto espressione diretta dei De Stefano - nella società Lucky world, un'impresa che si occupa della compravendita di videopoker, poi passata nelle mani del messinese Antonino Currò, legato alle cooperative di pulizie delle figlie di Vittorio Mangano. È stato in società con la cosca Valle, ma può vantare anche importanti e ultradecennali conoscenze anche tra gli uomini della cosca Papalia di Bucinasco, a Milano Sud, tanto da potersi dire "ospite graditissimo" del boss Antonio Papalia nella sua villa bunker.

Ma al gip Giuseppe Gennari di Milano, che lo interrogherà dopo il suo arresto, Martino  racconterà soprattutto altri tipi di frequentazioni. Parlerà suoi rapporti con il gotha della moda: da Santo Versace ("Mi ha visto crescere), a Saverio Moschillo di Richmond ("Mi ha aiutato in tante cose"), a Maria Paola Paciotti ("È lei che dirige l'azienda"). Ma anche delle sue amicizie in politica. L'ambasciatore dei De Stefano al Nord conosce Giuseppe Scopelliti, presidente della Regione Calabria e ex primo cittadino di Reggio Calabria, con cui Martino si incontrerà nel 2006 alla Bit di Milano e a cui presenterà Lele Mora, in seguito coinvolto dall'allora sindaco nell'organizzazione di alcuni eventi in città. Nella rete dell'ambasciatore dei De Stefano al Nord, c'è Luca Giuliante, avvocato di Mora, del presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni, e anche di Karima El Mahroug, meglio conosciuta come Ruby Rubacuori, ma soprattutto tesoriere del Pdl. Grazie a lui, il 18 maggio 2009, Martino varrà invitato addirittura a una delle "cene eleganti" dell'allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Se gliene avessero lasciato il tempo –stava lavorando ad un incontro - probabilmente Martino fra i suoi contatti avrebbe potuto annoverare anche il presidente di Bpm Massimo Ponzellini, recentemente finito nei guai per un finanziamento da 148 milioni di euro alla società di Atlantis di Francesco Corallo, figlio di quel Gaetano Corallo ritenuto vicino al boss di Catania Nitto Santapaola.

Era un uomo importante a Milano, Paolo Martino. Un uomo che aveva sostituto alla pistola la ventiquattrore, il sorriso affabile e i modi da signore. Cadrà solo nel 2011, quando gli investigatori stringeranno il cerchio attorno al clan Flachi.La ndrina che ha costruito il suo impero tra Bruzzano e la Comasina viene smantellata dall'operazione Redux-Caposaldo. In mano al clan  che ha fatto fortuna fra le nebbie, scoprono gli investigatori,  non  c'è solo Il controllo del movimento terra e degli scavi, dei locali notturni, di cui uno – il notissimo De Sade - addirittura acquistato attraverso intermediari, della distribuzione della Tnt (ex Traco) e dei chioschi dei paninari. Secondo gli indizi raccolti dagli inquirenti, i  Flachi avevano messo le mani – o almeno tentato - su molte campagne elettorali. Come quella della consigliere regionale Pdl Antonella Majolo, sorella delle più celebre Tiziana, già assessore comunale a Milano, cui si era "interessato" lo stesso boss Pepè Flachi. Il figlio del boss, Davide partecipava invece  a cocktail elettorali organizzati da Massimiliano Bonocore (Pdl),  figlio di quel Luciano Bonocore, storico esponente della destra milanese, cofondatore del Pdl. "Emerge  – aveva commentato in quell'occasione il procuratore capo della Dda  milanese, Ilda Boccassini - un tentativo di contatto con il mondo politico e in particolare, per la competizione elettorale del 2008 da parte di Davide Flachi con persone che si riteneva potessero partecipare alle amministrative. Questo non significa che le persone 'appoggiate' sapessero di ricevere voti da parte della famiglia Flachi, ma al giorno d'oggi basta smanettare su internet per sapere che Davide Flachi e' stato condannato per omicidio". E dietro i Flachi, c'era il "ministro del Tesoro" della ndrangheta, Paolo Martino, che disponeva addirittura delle stanze dell'ospedale Galeazzi per i suoi incontri riservati con don Pepe' Flachi

Gli affari di Martino sotto la Madonnina

Ma l'elemento più importante di quell'inchiesta che ha portato il cosiddetto Ministro del Tesoro della ndrangheta dietro le sbarre, sono probabilmente le intercettazioni che, squarciando il velo sugli affari delle ndrine in Lombardia, danno il metro di quale fosse il ruolo di Paolo Martino – dunque dei De Stefano  - all'ombra della Madonnina.
Una serie di conversazioni intercettate tra marzo e maggio del 2010, rivelano agli inquirenti che Giuliante riferisce regolarmente a Martino una serie di notizie "in merito a una gara d'appalto, non meglio specificata, in cui risultano interessati i fratelli Mucciola".

Il 24 aprile di quell'anno – ascoltato dalle microspie dei Ros -  Giuliante dice a Martino: "Invece ascolta Paolo, io ho notizie perchè dunque... l'apertura delle offerte economiche si fanno lunedì mattina... Mucciola è la quarta con l'offerta tecnica... (...) non c'è molta distanza eh... tra le offerte. Io le ho qua le offerte...". E ancora il legale "ti dico... aspetta un secondo, solo perchè me le sono fatte mandare... ho visto la tua telefonata...". Il legale prosegue spiegando a Martino: "ascolta, loro sono a 44,35... mentre la più alta, che è il Consorzio tra Cooperative di Produzione Lavoro – Cooperative Conscoop, cioè Ravenna per intenderci... 'i compagnì sono a 49,166 (...) contro i nostri – prosegue l'avvocato – quelli di Mucciola, 44,350... in mezzo ci sono allora, dunque ... c'è Arcas spa che è a 46,4, poi (...) e poi c'è Pessina Costruzioni, che è a 46,9... (...) e poi ci siamo noi...".

La Mucciola spa è una holding dell'impiantistica con sede a Reggio Calabria ma che da anni fa fortuna nel capoluogo meneghino. Nel 2008 si è anche aggiudicata un appalto pubblico messo sul piatto nel 2008 dal Pio Albergo Trivulzio. A curarne gli interessi sotto la Madonnina è la Mgim service, società con uffici in via Durini 14 – a due passi da piazza San Babila, cuore della Milano da bere e dell'estrema destra meneghina – e radici in Calabria. Calabresi sono molti dei clienti, oltre Mucciola, ci sono volti noti dell'impresa reggina come Montesano e Matacena. Calabresi quanto meno d'origine, sono i principali soci della Mgim. E tutti o quasi possono vantare rapporti – quanto meno di conoscenza – con Paolo Martino. Fra loro, c'è l'avvocato . M. [OMISSIS PER DIRITTO ALL'OBLIO], sedicente avvocato – mai iscritto all'albo- proiettato nel giro di pochi anni dalla natia Melito Porto Salvo a Roma, dove lo si scopre consulente di Francesco Belsito all'epoca sottosegretario al Ministero della Semplificazione di Calderoli. M. [OMISSIS] è l'onnipresente uomo ombra che appare come una costante in tutte le partite che oggi passano sotto la lente dei pm e fanno tremare la Lega e il cosiddetto Cerchio Magico dei fedelissimi del Senatur.

La galassia nera di Lino Guaglianone

Ma tra i soci della Mgim c'è anche Pasquale Guaglianone, meglio noto nella Milano nera come Lino. Nato a San Sosti, provincia di Cosenza, il 22 gennaio 1955, Guaglianone, di professione commercialista, sembra impegnato in un raggio di attività che vanno ben oltre Mgim, ma sono tutte assolutamente strategiche: ha  un incarico nel Cda di Ferrovie nord, un altro in Fiera Milano Congressi spa e un altro ancora nel collegio sindacale della Finman Spa dell'immobiliarista calabrese Mario Pecchia, già noto alle cronache giudiziarie – ma mai indagato -  per l'inchiesta Cerberus, sul monopolio del movimento terra costruito dalle ndrine al Nord.

Ma la notorietà e le fortune di Lino Guaglianone, più che al suo talento per gli affari sono dovute alla sua passione sviscerata per l'estrema destra, di cui a Milano è leader indiscusso.  E non da oggi. Un informativa della Digos del 28 novembre 1981 si legge: "Il segretario del Fronte della Gioventù di Milano, Vittorio Guaglianone è stato chiamato alla ferma militare. Pertanto l'interinato del Fronte è stato dato a suo fratello Lino protetto da La Russa". Dieci anni dopo, lo stesso Guaglianone viene condannato in primo grado (sentenza confermata in Cassazione) per la sua appartenenza ai Nar fondati da Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Franco Anselmi e Alessandro Alibrandi. L'accusa è precisa: "Compiere atti di violenza con fini di terrorismo e di eversione dell'ordine costituzionale, contribuendo a creare una struttura associativa interamente clandestina" che "progettava e compiva attività delittuose strumentali (...) predisponeva idonei rifugi per i militanti (...) acquistava ingenti quantitativi di armi, munizioni ed esplosivi". Per lui, i giudici stabiliscono una condanna a cinque anni, ridotta di qualche mese due anni dopo in appello. Poi il silenzio, durato un paio di anni. Guaglianone – come militante- è andato in sonno. Si parcheggia ufficialmente nelle  file di An e lì cerca nuova verginità.

Ma nonostante un tentativo di riabiltazione  politica, passato per una sfortunata candidatura alle regionali del 2005 sponsorizzata dall'ex Ministro Ignazio La Russa in persona, a Guaglianone la destra istituzionale sta stretta. Probabilmente per questo l'ex Nar figura anche tra i primi finanziatori del centro sociale Cuore nero, lo spazio occupato dall'estrema destra a Milano chiuso qualche anno fa dopo mille polemiche.

Ed è stata forse la comune prossimità alla destra eversiva ad aver creato un terreno d'intesa – quanto meno intellettuale, ancor prima che d'affari – tra Guaglianone e Martino. Il ministro del Tesoro della ndrangheta al Nord – al pari dei De Stefano – sembra avere radici profonde nella destra estremista. Fu lui – per ordine dei De Stefano - a gestire la parentesi calabrese della latitanza terrorista nero Franco Freda, coinvolto nell'inchiesta sulla strage di Piazza Fontana. A parlarne in dettaglio è uno dei primi pentiti di ndrangheta, Filippo Barreca che ai magistrati racconta "Un giorno giunse al distributore di benzina in compagnia di altra persona che mi presentò come Franco Freda. Lui veniva a nome di Paolo De Stefano e mi disse di tenere presso di me il latitante per un ventina di giorni, sino al momento in cui non fosse stato possibile trasferirlo all'estero. Durante il periodo in cui Freda fu nella mia abitazione venne a trovarlo l'avvocato Giorgio De Stefano e l'avvocato Paolo Romeo".

Ma la galassia degli ex Nar milanesi sembra essersi ricongiunta da tempo in nome degli affari. E va oltre Guaglianone e Martino. Fra le carte protagonista dell'inchiesta che in queste ore sta scuotendo la Lega Nord, c'è un altro soggetto che può vantare tanto una lunga militanza nell'estrema destra, quanto legami quanto meno decennali con Paolo Martino. Di Romolo Girardelli, meglio noto come l'Ammiraglio il Gip Adriana Costabile già una decina d'anni fa firmando l'occ dell' dell'indagine "Nizza" scriveva: "Appare evidente che Romolo Girardelli, che com'è risaputo, ha favorito la latitanza di Salvatore Fazzalari, conosca Paolo Martino". Sarebbe stato quest'ultimo a fornire a Girardelli il denaro necessario per coprire la latitanza del boss, ma non solo. L'ammiraglio – ufficialmente procacciatore d'affari – avrebbe ricevuto da Martino, che all'epoca si muoveva in tandem con quell'Antonio Vittorio Canale che gli inquirenti ritengono la testa di ponte dei De Stefano in Francia – "somme di denaro a ciò destinate – alla negoziazione, allo sconto ovvero alla monetizzazione di "strumenti finanziari atipici" di illecita provenienza".

Riciclaggio, eversione nera, affari milionari, spericolate operazioni finanziarie che si avvalgono di fondi e posti pubblici per confondere le tracce, dissimulare i propri passi e i propri crimini. Sono questi gli ingredienti si quella ragnatela che si iniziò a tessere ad Archi oltre quarant'anni fa e in cui è rimasta impegnata non solo la Calabria, ma l'Italia intera.