Milano, via Durini 14. Citofonare B.M.

di Claudio Cordova e Alessia Candito - C'è un nome,  nell'inchiesta che ha provocato un terremoto di tale portata nel Carroccio da spingere alle dimissioni il leader storico, Umberto Bossi, che nelle carte ufficiali è presidiato da omissis. Su di lui gli inquirenti sembrano mantenere volutamente un certo riserbo. Ufficialmente, all'avvocato B.M. i pm contestano "solo" il reato di riciclaggio. Per lui, non c'è neanche  l'aggravante mafiosa. Eppure il nome di B.M. appare come una costante in tutte le partite che oggi passano sotto la lente dei pm e fanno tremare la Lega e il cosiddetto Cerchio Magico dei fedelissimi del Senatur. E tutto fa pensare che questo oscuro personaggio, che si presenta come avvocato ma – hanno scoperto i pm – non si è mai neanche iscritto all'Albo, sia l'ambasciatore di giochi molto più pesanti di quelli che potrebbero ruotare attorno a una storia di ordinaria malversazione.

Consulente del Ministero alla Semplificazione, faccendiere e socio di uno dei più importanti studi di Milano, titolare di società dalle ragioni sociali più diverse: l'avvocato B.M. è un uomo che ha fatto carriera. Dalla natia Melito Porto Salvo è riuscito ad arrivare fino a Montecitorio. È lui che il leghista Francesco Belsito sceglie come consulente quando viene nominato sottosegretario da Roberto Calderoli, allora titolare del Dicastero della Semplificazione normativa. Una scelta per alcuni versi inspiegabile: B.M. non è né un professore universitario, né un esperto di diritto e, come abbiamo visto, non è nemmeno avvocato. Come avrà fatto a finire, dunque, a un Ministero senza portafogli, a libro paga, quindi della Presidenza del Consiglio? Come avrà fatto, inoltre, a entrare in uno degli studi più noti (e ricchi) d'Italia?

Domande a cui gli inquirenti stanno cercando di dare delle risposte che potrebbero portare a una svolta nelle già avviate indagini.
Oltre al proprio lavoro al Ministero, B.M., inoltre, è riuscito a mettere radici nel cuore della Milano che conta. Gli inquirenti lo hanno scoperto infatti socio dello Studio M.g.i.m service srl, uffici in via Durini 14 – a un passo da piazza San Babila, cuore della Milano da bere e della destra meneghina – e portafoglio clienti di quelli che contano. Insieme a B.M., a gestire la M.g.i.m ci sono Pasquale Guaglianone, ex leader della destra eversiva, attualmente nel cda delle Ferrovie Nord e presidente del collegio sindacale della Fiera Congressi di Milano,  il reggino Giorgio Laurendi, che dello studio M.g.i.m detiene il 20%, Un altro reggino d'origine, Antonio Italica, fondatore dello studio, ha ceduto le sue quote nel marzo 2009: "Non ho nulla da spartire con queste persone" dichiara in una lettera al "Dispaccio".

Ma non sono solo i proprietari di quell'ufficio ad avere ascendenze tutto fuorchè "lumbard". Da via Durini 14, in quei locali che in queste ore vendono passati al setaccio per ordine del pm della Dda reggina Giuseppe Lombardo, sono passati anche i titolari delle più importanti imprese calabresi. Fra i clienti della M.g.i.m. – che stando al Registro imprese si occuperebbe di "servizi di elaborazione dati contabili riferiti alla tenuta delle scritture contabili ed alle paghe e contributi" – vi sarebbero i Montesano, i  Matacena, i Mucciola.
Proprio il titolare di quest'ultima, Fabio Mucciola, romano di nascita ma con residenza e uffici a Reggio Calabria, il 15 settembre del 2009 è stato fotografato – si legge nelle carte di un'altra inchiesta della Dda milanese – davanti agli uffici di via Durini 14. Non è strano che Mucciola sia a Milano, la sua ditta da anni colleziona appalti nel capoluogo meneghino, come quello messo sul piatto nel 2008 dal Pio Albergo Trivulzio. Quello che è strano è l'uomo con cui si incontra e che lo accompagna all'interno dell'edificio:  Paolo Martino, considerato la mente finanziaria del clan De Stefano a Milano e vicinissimo a Guaglianone.

Arrestato nel marzo del 2011, nell'ambito di un'inchiesta che coinvolge il clan Flachi – reggenza tra Comasina e Bruzzano, ma radici al sud - Martino sembra essere il grande tessitore seguendo le cui tracce gli inquirenti sono arrivati a tutti gli indagati dell'inchiesta che sta imbarazzando la Lega.  È lui che porta i pm sulle tracce di B.M., all'epoca consulente e uomo ombra di Belsito, ma anche "avvocato di fiducia" dell'imprenditore veneto Stefano Bonet, attraverso le cui società sarebbero stati riciclati – sospettano gli  inquirenti – molti dei fondi neri.  Ma Bonet, a sua volta è anche socio di Belsito e di Romolo Girardelli. Ed anche quest'ultimo è una vecchia conoscenza di Paolo Martino.

Fin dal 2002, anno in cui venne indagato per associazione di stampo mafioso, il nome dell'Ammiraglio appare spesso assieme a quello di Paolo Martino e Antonio Vittorio Canale,  considerati le teste di ponte della cosca De Stefano al Nord Italia. All'epoca gli inquirenti lo accusarono di aver "messo a disposizione le proprie competenze – si legge nel decreto di perquisizione firmato dal Gip di Reggio Calabria -  finalizzate a fornire supporto logistico alla latitanza di Salavatore Fazzalari, esponente di spicco della ndrangheta calabrese, attraverso la messa a disposizione di somme di denaro a ciò destinate – alla negoziazione, allo sconto ovvero alla monetizzazione di "strumenti finanziari atipici" di illecita provenienza". Abitudini che sembra non aver perso.

Società dalle ragioni sociali improbabili e che, per l'assurdità e la genericità, giustificherebbero già concreti sospetti di riciclaggio. Un mare magnum di affari, in cui sarebbero girati tantissimi quattrini attraverso delle figure chiave, messe al centro degli accertamenti dell'indagine "Breakfast".

Dietro i Girardelli, dietro i M., infatti, vi sarebbero proprio i De Stefano, quella che, senza ombra di dubbio, può essere considerata la famiglia più "in" della 'ndrangheta. Grazie a questo appeal, i De Stefano sarebbero riusciti, dunque, a penetrare nella Milano che conta, arrivando, evidentemente, a gestire somme di denaro da capogiro. Una famiglia capace di strutturarsi in una maniera così complessa e diversa dalle altre cosche, da creare seri problemi di decifrazione anche agli investigatori più esperti. Un clan che, attraverso alcune figure chiave, posizionate nei punti più strategici, avrebbe spostato una parte dei propri interessi da Reggio Calabria, la vera, unica, capitale della 'ndrangheta, alla ricca Milano. E tra i professionisti che avrebbero messo al servizio dei De Stefano le proprie qualità, vi sarebbe proprio B.M. da Melito Porto Salvo. A lui gli investigatori della Dia hanno perquisito casa e ufficio. E l'impressione che serpeggia tra gli inquirenti che gli atti sequestrati a B.M. potranno svelare molto sugli intrecci illeciti all'ombra della Madonnina. Quantità infinita di materiale, quella che adesso è al vaglio dei pm. Una mole impressionante di documenti quasi interamente in formato digitale. La vecchia carta è soltanto un ricordo, anzi, totalmente inutile. "Del resto – come avrebbe detto B.M. ai pm – io non firmavo nulla...".