di Claudio Cordova - "La pietra angolare del tema d'accusa è dunque certamente rinvenibile nel ruolo attribuito nell'intera vicenda all'avv. Pisani, il quale, unitamente all'avv. Cacciola, aveva ispirato l'intero disegno criminoso, finalizzato essenzialmente alla tutela delle ragioni della famiglia Bellocco. Si è già detto delle accuse formulate da Maria Concetta Cacciola a carico di svariati componenti della famiglia Bellocco; si noti che le accuse avevano riguardato anche altri soggetti, ma quelle più gravi, a quanto è dato comprendere, inerivano strettamente alla famiglia Bellocco (omicidi, fatti di usura, estorsione ecc.)". Sembra quasi un libro la sentenza scritta dal Gup di Reggio Calabria, Davide Lauro, che, in tempi record, ha depositato le motivazioni della pronuncia con cui alla fine di luglio ha avvalorato le tesi dei pm Giovanni Musarò, Giulia Masci e Alessandra Cerreti e condannato a sei anni e sei mesi Michele Cacciola, cinque anni e otto mesi Giuseppe Cacciola, quattro anni e dieci mesi per Anna Rosalba Lazzaro e a quattro anni e sei mesi per l'avvocato Vittorio Pisani, tutti accusati, a vario titolo, di aver avuto un ruolo nella drammatica vicenda che porterà alla morte, nell'agosto del 2011, della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola, deceduta in seguito all'ingestione di acido muriatico.
Ogni paragrafo delle motivazioni, infatti, è preceduto da una frase significativa dei protagonisti: di Cetta Cacciola, soprattutto, ma anche dei suoi familiari, nonché degli avvocati Vittorio Pisani e Gregorio Cacciola (unico ad aver scelto di essere giudicato con rito ordinario).
Motivazioni che partono dalle angherie subite dalla donna, figlia di una famiglia imparentata con il potente casato dei Bellocco e sposata con un uomo violento che non ha mai amato. Una vita da segregata in casa, da cui proverà a fuggire: "Mura tra le quali la donna aveva patito penose umiliazioni, insostenibili limitazioni delle più elementari libertà, il tutto in nome delle regole ferree dell'apparenza, dove il tema dell'onore è piegato a logiche ataviche, piega i destini e cancella ogni slancio. Con l'animo di chi vive il domani come una condanna, non come una opportunità, Maria Concetta non ambiva al dissenso, finendo per accettare per anni la fissità delle cose, l'immobilismo del suo esistere. Tuttavia, la lenta ma progressiva emersione di una rinnovata consapevolezza le apriva le porte alla emancipazione che, per il tramite del percorso collaborativo, la proiettava una dimensione nuova e al tempo stesso pericolosa. Nuova perché fatta di autodeterminazione, riscatto, riaffermazione di un vivere pensante; pericolosa per le implicazioni, per la frattura con un ambiente che non tollera la messa in discussione di taluni "valori", ancor meno una (ugualmente pericolosa) vicinanza istituzionale".
Si affiderà alla giustizia allora, inizierà a rendere dichiarazioni sul proprio dramma, ma anche sulle dinamiche criminali rosarnesi, permettendo allo Stato di eseguire diverse attività di repressione della 'ndrangheta. E sulla portata delle dichiarazioni della giovane donna, valgono più di ogni cosa le intercettazioni effettuate a carico dei familiari: "Se ha firmato ce la vediamo noi, se ha firmato qualche carta. Ce la vediamo noi con i giudici. Tu pensi che mi faccio arrestare! [...] gli mandiamo il migliore avvocato là, per fargli culo così, a questi quattro cosi indegni" dirà il padre, Michele Cacciola. Per l'uomo, gli inquirenti – "indegni e cornuti" – si erano approfittati della figlia: "Ndi ruvinaru" dirà in una intercettazione Anna Rosalba Lazzaro, moglie di Michele Cacciola e madre di Cetta.
"Oh indegni gli prendete i figli ai padri, ai padri... ai padre gli prendete i figli, dov'è questa legge? Questa legge è? Per combattere a me mi prendi la figlia?! Per combattere a me?! Tu pensi che mi combatti... mi combatti. Cosa ti ho fatto per combattermi? Cosa ti ho fatto per combattermi? Se avevate qualcosa mi avevate arrestato! Deve infamarmi lei per vedere se gli scappa qualcosa. ....Oh 'ndegni ci piati i figgi e patri, e patri... e patri nci pigghiati i figghi, aund'è sta leggi? Chista leggi è? U mi cumbatti a mia mi pigghi a figghia?! U mi cumbatti a mia?! Tu mi pari ca mi cumbatti... mi cumbatti. Chi ti fici mi mi cumbatti? Chi ti fici u mi cumbatti? Se nd'aviavu ncuna cosa m'aviavu 'ttaccatu! Avi u mi mpama idda u vi se ci scappa ncuna cosa" dirà a metà tra la rabbia e la preoccupazione Michele Cacciola. Bisognava pure agire in fretta, perché Rosarno è un paese piccolo, e a Rosarno talune scelte, come quella di Maria Concetta, non potevano passare inosservate; questo è motivo per il quale i Cacciola non potevano tollerare che si dicesse, che tutti dicessero, che la figlia era pentita (Cacciola M. - Tu lo sai cosa si dice per lei, tu lo sai. E' pentita. Tutti la stessa cosa dicono..." "Tu u sai chi si staci icendu pe idda, tu u sai. E' pentita. Tutti a stessa cosa dinnu...").
L'amore per i figli – rimasti a Rosarno, insieme alla famiglia – la spingerà a ritornare in Calabria, spostandosi dal Nord Italia, dove era stata portata in regime di protezione. Il viaggio di ritorno verrà captato dalle cimici degli inquirenti. Un viaggio in cui il padre Michele Cacciola si impegnerà a sincerarsi di quanto aveva detto la figlia agli investigatori, rassicurando la giovane sul fatto che non vi sarebbero state ripercussioni e che a Rosarno nessuno avrebbe più sparlato nel giro di dieci giorni: "In quei contesti, in quelle famiglie, in quei territori, una pentita è una disgrazia che deve essere affrontata" scrive il Gup Lauro.
I familiari metteranno in giro le solite voci, circa un presunto stato depressivo della donna o, comunque, un'alterazione psichica: "Menzognero era, ancor più a monte (oltre allo stesso esposto) il testo scritto dai due legali, con la consapevolezza, ovviamente tecnica, di poter deprivare di ogni carica le dichiarazioni della donna imputandola alla rabbia ed alle voci correnti, o comunque riconducendo talune affermazioni ad un più ampio sentito dire, ma non, ovviamente, alle fonti reali della sua conoscenza, quali il padre ed il fratello" scrive il Gup Lauro. I Cacciola, con un esposto, accuseranno i magistrati di aver di fatto estorto le dichiarazioni alla giovane donna: "Secondo i genitori, infatti, Maria Concetta era stata letteralmente ingannata e presa con l'inganno per offrire una collaborazione di giustizia che mai avrebbe potuto offrire; chiedevano, i genitori, che si individuassero le responsabilità di quanto accaduto, onde evitare che altre giovani donne possano essere rapite, violentate psicologicamente, e pertanto subire la stessa terrificante sorte della figlia". In realtà, come testimonieranno le captazioni degli inquirenti, i Cacciola sapevano della scelta di Cetta di collaborare già pochi giorni dopo l'allontanamento della giovane da Rosarno.
Verranno anche messi in scena una lettera e un audio di ritrattazione. E' il 12 agosto del 2011.
La pruriginosa vicenda troverà sponda su alcuni organi d'informazione. Michele Cacciola, sicuro di poter ancora influenzare le scelte della figlia ("a lei la teniamo noi"); correrà ai ripari incaricando telefonicamente Giuseppe, il figlio, di contattare il fidato Gregorio (cioè l'avv. Cacciola) così da poter preparare un testo scritto, che Cetta avrebbe dovuto leggere, così ritrattando le accuse: "Voce Maschile: "Che c'è? ... Sì. ... No, aaaa... a Firenze. ... Sì, va bene, sì. ... Sai cosa fai? A Firenze, a Firenze. Sì. Sai che fai Giuseppe? Vedi se rintracci a Gregorio e gli dai un appuntamento per quanto ritorno io. Però no là dove sto, ci vediamo al Purgatorio. ... Prima la scriviamo, che lei non capisce niente. ... Sì, sono venuti e se la sono presa. ... (incomprensibile) cinque meno un quarto ... Loro hanno detto che non possono fare, deve parlare col magistrato, per... per dirgli che lei non vuole più avere niente a che fare, e poi se ne può andare dove vuole. ... Adesso sono venuti i Carabinieri e hanno parlato con me. ... I carabinieri quando se la sono portata. Sono venuti a casa, là... ... Sì, adesso sono... adesso sono là, soli. ... Stai tranquillo che a lei la teniamo noi. ... ...(incomprensibile)... gli spiava le cose. ... ...(incomprensibile)... Sì, il magistrato, sì, in sua presenza deve dirgli che non vuole essere più protetta, va bene? ... ...INC...".
Una storia tragica e squallida in cui avrebbero avuto un ruolo anche i due legali, Cacciola e Pisani. Le motivazioni del Gup Lauro, infatti, si intrecciano spesso con le risultanze del procedimento celebrato a Palmi, con cui i Cacciola sono stati condannati per i maltrattamenti alla giovane Maria Concetta, ma in cui la Corte ha rimandato gli atti con riferimento all'induzione al suicidio, ravvisando – evidentemente – la possibilità di diverse fattispecie di reato. Il Gup Lauro richiamerà le diverse false dichiarazioni rese in dibattimento dai due noti penalisti della Piana di Gioia Tauro: "Dunque il disegno dei Cacciola veniva a congiungersi, con geometrica precisione, al sostegno offerto dai legali; l'imperativo era "di annullare che era stata collaboratrice", e per farlo era sufficiente "andare allo studio" dei legali, i quali, da stimati avvocati penalisti, erano perfettamente consapevoli dei rischi di una ritrattazione che, proprio perché non spontanea, se compiuta dinanzi all'autorità giudiziaria avrebbe esposto la giovane donna ad un serrato esame; perciò i due legali spiegavano che non valeva la pena che andasse a parlare con il "magistrato donna", bastava una registrazione con le sue dichiarazioni".
Cacciola si sarebbe adoperato sia come storico legale di fiducia della famiglia, sia come cugino di primo grado di Michele Cacciola, Pisani, invece, per altri motivi, che il Gup sintetizza così: "Vi era in gioco un interesse diverso, ulteriore, inconfessabile perché illecito, di cui era divenuto portatore, prepotentemente, l'avv. Pisani. L'interesse, insomma, di persone estranee al ristretto nucleo familiare dei Cacciola, ma ugualmente interessate, fortemente interessate, alle dichiarazioni di Maria Concetta, che bisognava in qualche modo rassicurare per il tramite dell'avv. Pisani, che, in questo modo, assolveva al compito di garantire l'esito finale della vicenda, a vantaggio della famiglia Bellocco". Il Gup Lauro parla di "piena ed incondizionata adesione al disegno complessivo posto in essere dalla famiglia Cacciola, in parte ideato dagli stessi avvocati, ed in parte dagli stessi materialmente eseguito". Questi, dunque, i motivi che porteranno alla decisione di affidarsi anche all'avvocato Pisani che mai prima di quel momento aveva assistito i Cacciola: "La scelta, dunque, mirava a raggiungere il perfetto equilibrio tra il desiderio di limitare l'onta, il disonore e la vergogna nascenti dall'avere in famiglia una persona che era "stata con la legge", dall'altro disinnescare, per quanto possibile, la carica esplosiva delle accuse mosse da Maria Concetta Cacciola, accuse che aveva colpito il contorno".
Quel "contorno" che altro non è se non 'ndrangheta: "Che l'intero disegno degli imputati aveva come fine ultimo (oltre a quello, per così dire intermedio, di lavare l'onta) la ritrattazione delle gravissime accuse formulate da Maria Concetta Cacciola a carico di svariati soggetti che indicava come appartenenti alla cosca Bellocco, anche in posizioni apicali, per cui essa finiva per divenire strumentale alla stessa conservazione del gruppo, oltre che alla (ri)affermazione del prestigio e della forza criminale, che come noto si estrinseca anche attraverso l'intimidazione, l'omertà, e più ancora, l'intervento in danno di chi osa lanciare delle accuse".
Quando ancora la donna non è stata neanche sepolta, la famiglia Cacciola, accompagnata dagli avvocati, deposita un esposto in cui vi erano accuse agli inquirenti ed alla polizia giudiziaria, rei di aver indotto Maria Concetta alla collaborazione, prospettando falsi vantaggi e profittando del suo stato depressivo, così costringendola a dire cose non vere, ricorrendo "alle forzature e alle invenzioni". Invocavano giustizia, i genitori di Maria Concetta, "al fine di evitare che altre giovani donne possano essere rapite, violentate psicologicamente, e pertanto subire la stessa terrificante sorte" della loro figlia.
Su tali accadimenti le versioni degli imputati risulteranno, ancora una volta, palesemente inconciliabili, risolvendosi in accuse reciproche, quelle, per intenderci, che inducevano l'avv. Cacciola a definire il collega Pisani "sbirro nel sangue e traditore".
Una vita di sofferenza, quella di Cetta Cacciola. Negli anni familiari, sicuramente. Ma anche nelle convulse settimane che ne precederanno la morte. La parte iniziale del mese d'agosto, in particolare, si rivelerà assai tormentata per la donna, divisa tra la nostalgia degli affetti, il desiderio di rivedere l'uomo con cui aveva instaurato una relazione passionale, e quello di proseguire nella collaborazione: "La donna non era rientrata spontaneamente, ma era stata portata a casa; non era andata dagli avvocati, ma era stata portata dagli avvocati; non aveva scelto di rivedere le sue dichiarazioni, ma aveva dovuto fare delle cose con gli avvocati" è scritto nella sentenza.
Lo stesso Gup Lauro sottolinea alcuni passaggi che lasciano intendere come l'ipotesi del suicidio sia ormai una versione che non convince più nessuno: "Pochi giorni prima di morire, prima e dopo aver "ritrattato", Maria Concetta Cacciola esternava in più occasioni l'intento di riprendere il programma di protezione, oltre alla paura a rimanere a Rosarno, presso i genitori, dalla cui abitazione, peraltro, non aveva alcuna possibilità di movimento, al punto che anche la proposta di Gennaro (Carabiniere sotto copertura, ndr) di essere prelevata in orario notturno, veniva reputata non idonea; piuttosto, proponeva la giovane donna, era meglio essere prelevata da casa dai militari con un pretesto, addirittura fingendo un arresto, non essendovi altra via d'uscita, per il controllo sistematico operato da Michele e Giuseppe Cacciola".
Il 20 agosto, Cetta Cacciola morirà. Un doloroso epilogo, in cui alla disperazione della Lazzaro si contrapponeva una sorta di presa d'atto di Michele Cacciola (Voce Femminile: "[parla piangendo e disperandosi: Focu!"]; Voce Maschile: "Pazienza"). Una reazione composta, quella del padre della giovane, che fa il paio con le sofferenze che la famiglia avrebbe provocato alla giovane: "Una condotta ostile, minacciosa, volta a limitarne la libertà di movimento e di comunicazione, tesa a cagionare sofferenze fisiche e morali alla donna, ponendo in essere un comportamento complessivamente vessatorio per un periodo di tempo non certo trascurabile" la definisce il Gup Lauro.
I pm Musarò, Masci e Cerreti riusciranno a chiudere il cerchio sugli avvocati con le successive investigazioni e, in particolare, con le intercettazioni nello studio di Gregorio Cacciola. Più volte – e in varie conversazioni – Cacciola apostroferà il collega Pisani con parole come "sbirro", "infame" e "cornuto", accusandolo di aver fatto ricadere la colpa dei fatti su di lui: "Espressioni del tipo sbirro nel sangue, doppio gioco, nemico, traditore, la necessità di ricorrere alla falce, convergono tutte nel delineare la figura dell'avv. Pisani come di un soggetto che pur avendo contribuito alla commissione di determinati fatti, aveva tradito gli impegni presi, peraltro nel peggiore dei modi, cioè ostentando una condotta (fintamente) collaborativa con le istituzioni, con gli sbirri, cosa certamente intollerabile, in determinati contesti ed in determinate logiche. Sono espressioni, si noti, provenienti da un soggetto, l'avv. Cacciola, che nelle varie conversazioni captate, mostrava di avere contatti - ben oltre il mero incarico professionale - con persone intranee agli ambienti della criminalità organizzata, addirittura suoi confidenti su fatti gravi e inconfessabili" commenta il Gup Lauro.
"Fatti gravi e inconfessabili" in un ambiente di 'ndrangheta, da cui Maria Concetta Cacciola proverà a fuggire. Lo conosce bene e vuole allontanarsene, rifarsi una vita. Solo l'amore per i figli la tratterrà e le sarà fatale: "Aveva paura, Maria Concetta, anche dopo la ritrattazione. Aveva paura del "contorno", degli altri, di coloro che, insomma, aveva comunque accusato. Aveva paura, Maria Concetta, perché sapeva quale era, in quegli ambienti, in quei contesti, in quelle famiglie, il destino di chi tradisce".
Questa la conclusione della storia di Maria Concetta Cacciola. E nonostante l'abilità descrittiva del Gup Lauro, purtroppo non si tratta di un libro.