- di Alessia Candito - L'operazione Medusa condotta nella notte a Lamezia Terme, ha messo in ginocchio un antico casato di ndrangheta della zona, che per anni ha costruito il suo dominio in città. Capi e gregari, donne e uomini, cognomi importanti nella ndrangheta lametina, ma anche insospettabili, come quel Roberto Gidari che a Lamezia vestiva la divisa di carabiniere. Ma era al servizio di un clan – quello dei Giampà – protagonista di una guerra sanguinosa con i Torcasio per il controllo della città. Un controllo negoziato con pallottole e attentati, omicidi e agguati che hanno insanguinato le strade di Lamezia.
Un rosario di crimini che si sgranano sempre uguali a se stessi che hanno sbriciolato con i fatti quanto affermato nella relazione della Direzione Nazionale Antimafia del 2011, in cui si affermava "le più recenti emergenze investigative evidenziano la cessazione di ogni conflittualità tra le cosche Giampà, Cerra, Torcasio e Iannazzo, tradizionalmente egemoni sul territorio, dopo un lungo periodo di contrapposizione tradottosi, agli inizi degli anni 2000, in una interminabile serie di episodi omicidiari". Parole che solo pochi mesi dopo, l'ex procuratore capo di Lamezia, Salvatore Vitello, si era affrettato quanto meno di ridimensionare. "Bisogna sempre essere cauti nelle affermazioni, perché negli equilibri delle famiglie mafiose ci sono sbalzi repentini che portano a un mutamento delle condizioni", aveva sottolineato il procuratore, "anche quando si realizza una sorta di concordia, si tratta sempre di concordia criminale, che dopo due giorni può saltare perché basata sulla forza. È un equilibrio di forze criminali che si regge su un' unica legge, il potere, individuale e di gruppo" aveva affermato il magistrato. Per Vitello, "Le affermazioni vanno sempre viste nel momento temporale in cui vengono fatte e oggi, quello che sta succedendo, purtroppo sembra essere di senso inverso rispetto a quella affermazione della relazione della Dna". E quello che è successo a Lamezia, dal 2000 ad oggi è una lunga scia di sangue che ha fatto registrare quasi sessanta omicidi. Una guerra, secondo quanto si legge nelle carte dell'inchiesta Tabula Rasa, che ha origine in un alterco tra il boss Francesco Giampà, "il professore" e l'allora alleato Giovanni Torcasio. A lui, Giampà avrebbe addossato la paternità dell'omicidio di Francesco Iannazzo. Un episodio che ha sancito non solo la fine della storica alleanza fra le ndrine e l'inizio della seconda guerra di mafia lametina, ma anche il passaggio di livello delle consorterie locali. Un'evoluzione, che prima la Dia, poi gli stessi membri della Commissione parlamentare antimafia che per prima si è occupata di 'ndrangheta nella storia della Repubblica, hanno registrato. "Superata una prima fase, durante la quale i clan hanno affinato le tecniche criminali e consolidato il controllo del territorio", si legge nella relazione conclusiva della commissione "sono poi passati alla gestione, in forme sempre più organizzate, delle tradizionali attività di accumulazione primaria di capitali necessari per l'affermazione del proprio potere mafioso nonché alla creazione delle prime riserve finanziarie. A tali delitti (estorsioni, traffico di stupefacenti, guardianìe, dapprima rurali e poi anche industriali), si sono affiancate, in tempi più recenti, una serie di attività apparentemente lecite, necessarie per occultare e dissimulare la provenienza delle rilevanti liquidità illecitamente accumulate. E' stata proprio tale disponibilità finanziaria che ha favorito la crescita delle cosche anche come soggetti economici attraverso la gestione di una variegata serie di iniziative imprenditoriali, condotte in prima persona o attraverso l'interposizione di prestanome compiacenti, che hanno introdotto pericolose anomalie nel sistema economico locale".
Imprenditori compiacenti come, stando ad alcune ipotesi investigative, Salvatore Mazzei, il re lametino del calcestruzzo, che l'operazione Autostrada della Dda di Catanzaro ha disegnato come uomo di riferimento dei Iannazzo, intermediario obbligato fra le grosse imprese coinvolte nei lavori dell'A3 e le cosche, fornitore unico di materiale inerte e calcestruzzo. Nessuna condanna ha ancora trasformato queste ipotesi in verità giudiziaria, ma di recente proprio a Mazzei, la procura ha sequestrato beni per oltre 200 milioni di euro.
Una cifra che da il metro del giro d'affari che ruota attorno alla città di Lamezia, una delle più ricche dell'intera regione. Insediamenti industriali ben supportati da collegamenti stradali, aerei e ferroviari hanno fatto da vettore a finanziamenti a pioggia, che le cosche si sono preoccupate di spartirsi prima a tavolino, poi in una guerra che dopo 53 morti, non ha ancora visto fine. Una faida che ha sfiorato anche i palazzi istituzionali, ma senza entrarvi. Tra gli arrestati di Tabula Rasa, l'inchiesta che su quella guerra ha tentato – senza successo – di fare luce, c'è solo un "politico", Giorgio Barresi, gambizzato un anno prima dell'arresto, mentre chiacchiera in pieno centro città con tre mafiosi e accusato dai magistrati di essere un usuraio. All'epoca, Barresi era consigliere comunale di quell'assemblea che mesi dopo il suo arresto, sarebbe stata sciolta per decreto ministeriale per " comprovati collegamenti diretti ed indiretti tra parte dei componenti del civico consesso e la criminalità organizzata che espongono gli amministratori stessi a pressanti condizionamenti, compromettendo la libera determinazione dell'organo elettivo". In altre parole, le ndrine dettavano legge anche in Consiglio Comunale.
Secondo gli inquirenti di allora, non c'era alcun nesso tra la guerra di mafia in corso in città, l'operazione della procura e lo scioglimento del consiglio comunale. Eppure, ancora nel 2008, la Commissione parlamentare antimafia, si chiedeva "resta semmai da riflettere sul perché agli scioglimenti non sia seguita una coerente azione giudiziaria e della magistratura per contribuire alla bonifica politica e amministrativa; tanto più che ogni scioglimento dell'ente è stato accompagnato da atti di intimidazione anche sul versante della politica". Un dubbio rimasto ancora aperto.