di Claudio Cordova - In alcuni passaggi sono allusive, in altri assai più esplicite. In un modo o nell'altro, le lettere dei pentiti Luigi Rizza e Antonio Di Dieco all'avvocatessa Claudia Conidi sarebbero – nell'ottica accusatoria – le prove del complotto per screditare il collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice, scomparso e irreperibile da quasi cinque mesi. Sono diverse le missive che sono state depositate nell'udienza al cospetto del Tribunale della Libertà di Roma, che ha confermato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Antonio Di Dieco.
E sono appunto le lettere di Rizza e quelle dello stesso Di Dieco. Missive vergate a mano, in cui sono ricorrenti i riferimenti ad Antonino Lo Giudice e alle dichiarazioni rese, soprattutto nei confronti del giudice Alberto Cisterna, che verrà trasferito dalla Procura Nazionale Antimafia al ruolo di giudice civile a Tivoli.
RIZZA
Secondo gli inquirenti, l'avvocatessa Conidi – per motivi ancora oscuri e in fase di accertamento – avrebbe indotto i suoi assistiti a rendere dichiarazioni false nei confronti di Lo Giudice, in cambio, evidentemente, di particolari benefici nella detenzione o nel trattamento riservato ai collaboratori di giustizia. Rizza e Di Dieco infatti, renderanno (o manifesteranno la volontà di farlo) dichiarazioni favorevoli a Cisterna, accusato da Nino Lo Giudice: "Per quanto riguarda il dott. Cisterna, io non ho mai accusato lo stesso, quindi potrei essere sentito benissimo da chi ha il fascicolo e magari chiarire a suo favore" dice il giovane Rizza in una lettera di metà 2012 all'avvocatessa Conidi. Nello stesso periodo – siamo a fine maggio – Rizza scrive ancora all'avvocatessa Conidi, chiedendole di perorare la propria causa, ma facendo una richiesta piuttosto particolare: "Per favore Avv. mi spedisce una copia della dichiarazione che gli ha dato [il o al, incomprensibile] dott. Cisterna, quella per la quale [una parola incomprensibile] essere sentito dalla Procura di Perugia [una parola incomprensibile] per ricordarmi di fare mente locale [una parola incomprensibile] dettagli". Un mese dopo, il detenuto (poco più che 30enne) annuncia anche la redazione di uno scritto da consegnare anche allo stesso Cisterna: "Ci tengo ad attenzionarla, affinchè lei riesca a sbloccare la mia posizione da collaboratore di giustizia con l'aiuto della DNA di Roma" scrive Rizza all'avvocatessa Conidi. "La prego gentilmente di attivarsi con la DNA, dott. Cisterna, portandogli il memoriale che le allego" dice nella stessa lettera il giovane siciliano. Secondo quanto dichiarerà successivamente, Rizza si sarebbe quindi convinto a far parte del presunto meccanismo di discredito nei confronti di Nino Lo Giudice anche per ottenere alcuni benefici: "Per aiutare il dottor Cisterna ho bisogno di sbloccare la mia posizione con la Dda di Catania [...] Ho bisogno delle garanzie da parte del dottor Cisterna, quanto meno che lui riesca ad appoggiarmi tramite Grasso". Rizza, dunque, teme il confronto con Nino Lo Giudice e vuole garanzie dal suo avvocato: "Lei già sa a cosa vado incontro, vado incontro a confrontarmi con il Lo Giudice, i suoi avvocati, la Procura di Reggio, poi quella di Roma, quindi prima di fare questa battaglia, lei capisce che ho bisogno di essere ben protetto con degli scudi belli grandi, i più grandi che sono solo alla DNA e al Ministero dell'Interno e della Giustizia".
LA STAMPA
Nelle missive, Rizza solleciterà il legale in più punti, soprattutto con riferimento al battage mediatico che si sarebbe dovuto scatenare: "Penso sia doveroso e corretto, non solo da parte delle varie Procure competenti, ma pure dei vari giornali nazionali, che sia arrivato il momento di parlare bene del sottoscritto". In due occasioni, nel giro di poche righe, Rizza ripete il detto: "Date a Cesare, quel che è di Cesare". Insomma, il giovane siciliano sembra intimamente convinto della capacità di orientare gli organi di stampa, a seconda delle dichiarazioni rese. E infatti, oltre a chiedere di "bloccare il processo a Milano per calunnia", invoca l'aiuto dell'informazione: "Adesso ho bisogno dei media nazionali che parlerebbero bene di me per tre giorni di fila, e poi dopo qualche settimana per altri tre giorni. Cioè fare accendere i riflettori su di me, come hanno fatto con Gaspare Spatuzza. Veda un po' lei, magari con l'aiuto del dott. Cisterna, che conosce molti giornalisti, affinché si possa mandare in onda seguenti notizie del tipo: "Grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Rizza Luigi, noto boss di Cosa Nostra, la DNA di Roma sta eseguendo diversi arresti a persone vicine a Matteo Messina Denaro [...] Secondo la DNA il collaboratore Rizza è super attendibilissimo e ciò lo dimostrerebbe pure il fatto che ci sarebbero altri pentiti che confermerebbero le sue dichiarazioni. In questi giorni dovrà essere sentito dalla DNA pure sul caso Cisterna". Confido in lei, affinché riesca a far mandare in onda tutto ciò".
LA SITUAZIONE PRECIPITA
Insomma, Rizza ha tante aspettative: chiede benefici, chiede lo spostamento di carcere, chiede protezioni, istituzionali e mediatiche. Ma con il passare dei mesi la situazione inizia a peggiorare. E' il mese di agosto quello in cui la risolutezza di Rizza inizia a vacillare. Il 19 agosto dice di vedersi "trascurato". In una lettera all'avvocato Conidi dice: "Mi sono preso l'impegno di venire come teste a favore del dottor Cisterna, che sinceramente da come mi ha trattato in passato non si merita". Ancora una volta nelle missive, Rizza ostenta sicurezza rispetto a presunti accordi, evidentemente intercorsi con l'avvocato Conidi: "Lei mi aveva promesso che avrebbe consegnato la mia lettera al dottor Cisterna, le cose sarebbero cambiate e sbloccate e nell'ultima telefonata mi ha detto prima che prima finire di dichiarare tutto e poi si vedrà". Rizza chiede la lettera inviata al giudice Cisterna e inizia a perdere la pazienza e a mandare messaggi al proprio legale: "Finiamola, perché sennò si rischia di fare una bella brutta fine tutti, con questi "giochi" e "giochini", e io dopo tanta fatica non voglio ritrovarmi in mezzo a una strada per colpa di certe trascuranze. Così come sono certo, anche a lei non piace avere problemi con il suo lavoro". Ma i veri avvertimenti, allusivi, ma anche piuttosto diretti, arrivano una settimana dopo, il 26 agosto: "Se per settembre non mi trovo in libertà non sono in grado di sostenere nessun interrogatorio e nessuna video-conferenza, quindi sono certo che ci siamo capiti". E' inchiostro su foglio a righe bianco, ma trasuda rabbia: "Capisca quello che le sto per dire: per il mio carattere già sto ripetendo troppe volte le cose e mi sto sentendo preso in giro in quanto lei si è presa un impegno con me, garantendomi che appena avrei scritto al dottor Cisterna mi avrebbe sbloccato sia le cose giudiziarie, sia la mia libertà [...] Se dobbiamo andare avanti, è meglio che si impegni e per settembre veda i risultati. Le do tutto settembre di tempo, cioè entro settembre, dopodiché, in caso contrario, il nostro rapporto si interromperà e non penso sia bello e buono per la sua carriera e per la mia".
Lettere cui l'avvocatessa Conidi risponderà piccata appena due giorni dopo: "Non è nei miei poteri parlare coi magistrati per telefono e per giunta nel mese di agosto [...] Ho scritto più del dovuto alle varie Autorità". Rizza però aveva dato il termine perentorio del mese di settembre: già a ottobre, infatti, inizierà a parlare con gli inquirenti del presunto complotto ai danni di Nino Lo Giudice.
DI DIECO
I toni sono molto più dolci e confidenziali rispetto a quelli usati da Rizza. A cominciare dall'affettuoso "carissima Claudia" con cui il collaboratore Antonio Di Dieco si rivolge all'avvocatessa Conidi all'apertura delle proprie missive. Sia l'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Di Dieco, sia la pronuncia del Tribunale della Libertà (che ne confermerà l'arresto) avranno infatti modo di sottolineare l'anomalia dei rapporti tra il legale e il proprio assistito, nonché con la moglie di questi, Donatella Grimaldi, figliastra del boss Giuseppe Cirillo.
Nel corso del 2011, dunque, l'ex collaboratore di giustizia originario di Castrovillari, Antonio Di Dieco, che sul groppone ha alcune sentenze definitive per il reato di calunnia, rende dichiarazioni con cui accusa il pentito Antonino Lo Giudice di aver reso dichiarazioni false contro il procuratore aggiunto della Direzione Nazionale Antimafia, Alberto Cisterna, di essersi fatto strumento di un complotto molto più ampio ai danni del vice di Piero Grasso. Dichiarazioni che fanno il giro di tutti gli organi di stampa e fanno gridare allo scandalo: la credibilità di Nino Lo Giudice è pesantemente messa a rischio, e con essa quella degli organi inquirenti di Reggio Calabria.
In quel periodo, Di Dieco è assistito proprio dall'avvocatessa Conidi. E sono due, in particolare, le lettere che gli inquirenti hanno ritrovato nel corso della perquisizione a carico della Conidi e depositato nel procedimento che vede i due indagati (insieme a Rizza) per le presunte calunnie nei confronti di Nino Lo Giudice. In una di queste due, datata 27 ottobre (non è specificato l'anno) il pentito Di Dieco, in calce a una lunga missiva in cui affronta vari argomenti relativi alla propria situazione giudiziaria e carceraria, inserisce un post scriptum: "Per non parlare del mio "memoriale" sul "Caso Cisterna"... Piovono riscontri a mio favore... Da tutte le parti... Ma... non capisco però tutta questa omertà... E neppure il lassismo della DNA...".
Ma c'è una seconda lettera, molto recente (è datata 13 luglio 2013) che gli inquirenti hanno depositato nel procedimento, evidentemente per dimostrare (come scriverà il pm Cristiana Macchiusi nella richiesta di ordinanza di custodia cautelare) i tentativi di Di Dieco di accreditarsi come collaboratore attendibile, tramite l'avvocatessa Claudia Conidi. In tal senso, Di Dieco "festeggerà" una pronuncia favorevole in un processo in cui era accusato di calunnia: "Godiamoci l'assoluzione, con signorilità" scrive Di Dieco. Poi però c'è il riferimento al sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, che negli scorsi mesi interrogherà Di Dieco per portare un contributo alle proprie delicate indagini: "Non essendoci più l'ottatività – scrive Di Dieco – può fare, quello che intenderà fare!". Nella missiva il collaboratore di giustizia farà riferimento a precedenti interlocuzioni e si dirà "a disposizione" del pm Lombardo. La collaborazione con il magistrato, per Di Dieco non sarebbe stata funzionale se non al tentativo di ottenere nuovamente il programma di protezione. Per questo trasmetterà all'avvocatessa Conidi la volontà di affidarsi a lui: "Io dipendo da lui!".