di Claudio Cordova - Avevano scritto lettere e presentato esposti, adombrando dubbi sul percorso di collaborazione della figlia, ipotizzando un'induzione a farla collaborare approfittando di un suo momento di debolezza e facendole delle promesse che non sarebbero state poi mantenute. I genitori della testimone di giustizia, Maria Concetta Cacciola, morta dopo aver ingerito dell'acido muriatico, avevano messo nel proprio mirino gli inquirenti e nello specifico i pm Alessandra Cerreti e Giovanni Musarò, che avevano gestito la collaborazione della giovane. Li avevano accusati di aver approfittato dello stato di "depressione psichica" della figlia per convincerla, con l'inganno e la promessa di una vita migliore, a dichiarare cose non vere, ricorrendo "alle forzature e alle invenzioni". Il deposito della sentenza di primo grado con cui la Corte d'Assise di Palmi ha condannato la famiglia della giovane per maltrattamenti, ma rispedito gli atti per quanto concerne il reato di istigazione al suicidio, apre adesso scenari molto più ampi.
Lo scorso 13 luglio, infatti, la Corte presieduta da Silvia Capone condannò il padre di Maria Concetta, Michele Cacciola, a 6 anni di reclusione, la madre Anna Rosalba Lazzaro a 2 anni e il fratello Giuseppe a 5 anni e 4 mesi, ma solo per maltrattamenti. Immediata la deduzione: Maria Concetta Cacciola, morta il 2 agosto 2011, sarebbe stata uccisa e non si sarebbe suicidata, come era emerso dalle perizie fatte svolgere dalla Procura di Palmi che per la morte della donna aveva chiesto la condanna di genitori e fratello a 21 anni di reclusione per maltrattamenti in famiglia seguiti da suicidio e violenza per costringere la donna a ritrattare le sue dichiarazioni alla magistratura e quindi a commettere i reati di falsa testimonianza e favoreggiamento.
Adesso, però, quella sentenza ha anche delle motivazioni, che, per mano del giudice estensore, Maria Laura Ciollaro, sollevano inquietanti dubbi su quanto sarebbe avvenuto il 20 agosto del 2011 a Rosarno. Maria Concetta Cacciola non era una persona qualsiasi per le Forze dell'Ordine e per l'Autorità Giudiziaria, cui – nel maggio 2011 – aveva deciso di rivolgersi. Lei stessa aveva confermato ai suoi interlocutori di provenire da una nota famiglia mafiosa di Rosarno, da sempre gravitante nell'orbita della cosca Bellocco cui era peraltro legata anche da vincoli di parentela; ed infatti la zia Teresa Cacciola – sorella del padre Michele Cacciola – aveva sposato il boss Gregorio Bellocco cl. 55, mentre il marito Salvatore Figliuzzi era stato condannato in via definitiva nel processo cd. "Bosco Selvaggio" per associazione mafiosa, proprio con i Bellocco. Per questo, secondo le motivazioni della sentenza, con cui la Corte d'Assise di Palmi ha inviato gli atti alla Dda di Reggio Calabria, la vicenda "non possa in alcun modo essere letta al di fuori del contesto di 'ndrangheta in cui è nata ed in cui si è tragicamente conclusa".
Per questo la decisione di Maria Concetta Cacciola, che nel maggio 2011 sceglie di collaborare con gli inquirenti assume – fin da subito – una valenza devastante. Una scelta che la famiglia cercherà in tutti i modi di modificare, rattoppando una vicenda che avrebbe potuto nuocere al "buon nome" dei Cacciola a Rosarno e dintorni. Il tema dell'onore, inteso secondo i canoni interpretativi della famiglia Cacciola e del contesto sociale di cui è permeata tutta la vicenda è assai ricorrente nelle carte d'indagine e nelle intercettazioni che fonderanno il materiale d'accusa: "Cetta, ti giuro, ti giuro il papà che nello spazio di dieci giorni non si parla più di questo fatto a Rosarno, stai sicura e tranquilla" dice il padre Michele.
Dopo un tira e molla massacrante sotto il profilo fisico e mentale, Maria Concetta Cacciola, dunque, torna finalmente a Rosarno, nella casa di famiglia. Quella casa che però, da tempo, era diventata una prigione. Con il marito in carcere da anni, Maria Concetta aveva vissuto gli anni migliori della propria esistenza da segregata, senza la possibilità di vivere le emozioni che ogni giovane vorrebbe assaporare. Dalle motivazioni redatte dal giudice Ciollaro: "Tutte le persone che si sono avvicendate sul banco dei testimoni l'hanno descritta come una ragazza allegra, solare e piena di vita. E che Maria Concetta Cacciola fosse davvero una persona allegra lo si percepisce ascoltando la sua stessa voce, ripetutamente captata nel corso dell'attività tecnica disposta in fase di indagini; era ottimista, aveva progettato il suo futuro fino al giorno prima di morire, aveva voglia di vivere e, soprattutto, aveva voglia di amare".
Aveva voglia di vivere, Maria Concetta Cacciola. Per questo intratteneva da tempo una relazione extraconiugale, che, qualora fosse stata scoperta, sarebbe stata una colpa della medesima gravità della vicinanza agli "sbirri", della collaborazione: "Non è una donna depressa quella che, nei giorni immediatamente antecedenti alla sua morte, si confida con gli uomini che le stanno accanto, ma una persona che cerca con tutte le sue forze una via di uscita, consapevole di aver commesso un errore non già andando via di casa, ma piuttosto avendovi fatto ritorno" è scritto nelle motivazioni della sentenza.
Sì, perché a Rosarno, Maria Concetta non sta bene. E' infastidita dagli sguardi e dalle parole sottovoce del paese, ma, soprattutto, ha paura. Ha paura soprattutto del fratello Giuseppe, un soggetto dall'indole violenta che – stando alle conversazioni intercettate – sarebbe stato impossibile da arginare per chiunque. Parla e si sfoga, la giovane Maria Concetta. Lo fa con gli uomini a cui si è legata, ma lo fa anche con la cognata: "La giovane analizza in maniera estremamente lucida la sua situazione, fornendo uno spaccato formidabile di quel degenerato tessuto sociale in cui si è trovata sino allora a vivere ed in cui teme di essere di nuovo risucchiata per colpa della sua debolezza, delle sue umanissime difficoltà a recidere un legame di sangue; è qui che mostra una crescente consapevolezza delle conseguenze che dovrà affrontare per aver cagionato agli uomini della famiglia una lesione dell'onore che, secondo la distorta visione di chi è contiguo alla mafia, non può essere perdonata. E il disonore che lei ha cagionato è doppio, non solo perché i suoi familiari avevano scoperto la sua relazione extraconiugale (dice infatti di aver saputo dalla madre che si erano procurati i tabulati del suo telefono ed avevano scoperto i suoi contatti con un uomo) ma anche perché aveva collaborato con la giustizia, cosa che – a suo dire – brucia al padre più del fuoco e della fiamma".
Maria Concetta Cacciola tornerà a Rosarno all'inizio di agosto e, dopo più di due settimane infernali (in cui cercherà nuovamente di andare via, contattando i Carabinieri del Ros) verrà trovata a terra, in casa, in condizioni gravissime. Il ricovero presso l'ospedale di Polistena sarà inutile: Maria Concetta morirà a causa dell'ingestione di acido muriatico.
Ed è proprio a questo punto che si incastra la perizia medico-legale redatta dal dottor Antonino Trunfio (successivamente coinvolto in vicende giudiziarie). Una perizia che verrà pesantemente attaccata dalle motivazioni della sentenza, che disporrà l'invio delle carte in Procura anche per quanto riguarda il dottor Trunfio. Il medico, infatti, concluderà per l'ipotesi suicidio, derubricando le escoriazioni presenti sul corpo della vittima a contatti avvenuti con tenterà di soccorrerla: "Interrogato sia dal P.M. che dalla Corte in ordine all'origine delle lesioni escoriative ed ecchimotiche pure riscontrate sul cadavere della donna (e documentate dal materiale fotografico allegato alla consulenza), il Trunfio si è detto sicuro che le stesse fossero compatibili con azioni di tipo diverso da un'aggressione, ovvero con la caduta al suolo della vittima e con l'afferramento della stessa durante la fase dei soccorsi e del trasporto in Ospedale". La Corte, però, dimostrerà grande scetticismo, interrogandosi sugli effetti che avrebbero potuto causare i conati di vomito sul viso della giovane, ma sottolineando come – in caso di soccorsi – l'obiettivo sia sempre quello di smuovere il corpo con delicatezza. Da ultima, anche la circostanza in cui verrà ritrovato il corpo – un vero e proprio lago di acqua – non sarebbe stato un tentativo della donna di trovare sollievo dal bruciore dell'acido, ma un abile (e riuscito) tentativo di occultare le prove da parte del carnefice di Maria Concetta: "E allora appare molto più verosimile, e compatibile con la presenza delle molteplici lesioni escoriative presenti sulle varie parti del corpo della vittima, che la stessa sia stata aggredita, afferrata con violenza per i polsi al fine di bloccarle le braccia e, probabilmente, spinta contro un muro (di qui le ecchimosi alle scapole) per impedirle ogni via di fuga. I segni sul collo sono viepiù ascrivibili al tentativo di tenerle ferma la testa per farla deglutire. E a nulla vale rilevare, come pure fa il consulente, che l'integrità delle unghie della Cacciola deporrebbe per l'assenza di colluttazione e, dunque, di tentativi di difesa; non vi è infatti alcuna possibilità di reazione con le mani o con le braccia da parte di chi viene immobilizzata, magari da più persone, proprio attraverso l'afferramento dei polsi e del collo. Ma il dato che, ancor più di ogni altro, convince in ordine alla totale inaffidabilità dell'operato del medico legale, è costituito dalla ricostruzione che egli fornisce sulle abrasioni presenti sul volto della giovane donna. Ora, la presenza di residui di cibo consente di affermare che il tragico evento sia avvenuto poco dopo il pasto (e ciò è compatibile con l'orario del suo rinvenimento dal momento che – lo si ricorda – la morte per ingestione di acido muriatico non è immediata ma consente di sopravvivere anche per alcune ore) e cioè quando la digestione non era ancora terminata. Da ciò si deduce che la Cacciola non avrebbe potuto vomitare solo acido muriatico ma avrebbe dovuto vomitare anche, in tutto o comunque in gran parte, cibo. È un dato obiettivo invece che sul corpo della donna non sia stata rinvenuta alcuna traccia di bolo alimentare. A ben vedere le lesioni in argomento appaiano invece fortemente indicative della fuoriuscita di sostanza abrasiva dalla bocca di un soggetto che cercava di fare resistenza ad un'ingestione forzata, probabilmente tenendo le labbra serrate o anche sputando fuori l'acido; mentre la presenza di acqua sul pavimento del seminterrato è del tutto compatibile con il successivo tentativo – evidentemente riuscito – di inquinare la scena di quello che si ritiene a questo punto di qualificare come un delitto di omicidio" è la conclusione con cui la Corte affossa la perizia del dottor Trunfio.
Da qui la conclusione che si impone è semplice, Maria Concetta Cacciola è stata uccisa: "Se la causa di morte stricto sensu intesa è innegabilmente quella cristallizzata nel capo di imputazione (più precisamente l'asfissia determinata dall'assunzione di una sostanza altamente tossica a corrosiva), gli esiti dell'istruttoria dibattimentale svolta – a giudizio della Corte – impongono di concludere che la donna non si sia inflitta autonomamente tale atroce morte ma che sia stata, al contrario, assassinata".
Un dubbio inquietante, quello sollevato dalla Corte presieduta da Silvia Capone. Un dubbio che però attanaglia anche la figlia di Maria Concetta Cacciola, che nei minuti successivi alla scoperta del corpo della madre, non affida la propria preoccupazione ai familiari, ma a uno degli uomini cui la mamma si era legata sentimentalmente. In quegli stessi minuti, dall'utenza in uso a Maria Concetta Cacciola verranno registrate una serie di telefonate e sms intercorsi tra l'uomo e la piccola Tania, rimasta a casa mentre tutta la sua famiglia si era recata in ospedale:
Voce Maschile: "...non è che gli ha dato qualcosa qualcuno?"
Tania: "[parla piangendo: "No, no, non so"]"
(Tania piange)
Voce Maschile: "Ma sei sicura?"
Tania: "[parla piangendo: "Non lo so"]"
Dà poi da pensare la reazione del padre Michele, che pure mostra tutta la sua apprensione nelle fasi di soccorso, ma che già in macchina, di ritorno dal pronto soccorso, di fronte al dolore della moglie riesce pronunciare un'unica parola: "pazienza".
La personalità di Maria Concetta Cacciola, gioviale e decisa, un umore – quello del mese di agosto – che, nonostante le difficoltà non avrebbe affatto lasciato presagire un gesto estremo come quello del suicidio, anche se indotto: nei giorni antecedenti alla morte, la giovane Maria Concetta programmava anche la messa in piega dei capelli, un comportamento di certo incoerente con chi sta pensando di farla finita. La controversa perizia del dottor Trunfio, su cui la Corte, alla luce di alcune intercettazioni, solleverà alcuni sospetti: "L'ulteriore passaggio della conversazione, in cui gli interlocutori parlano di una borsa che evidentemente è stata appena caricata in macchina e dicono che è piena di soldi, appare a dir poco inquietante e da approfondire soprattutto se messo in relazione alla frase di poco successiva, in cui i due commentano il fatto che il perito – e in quel contesto non può che trattarsi del medico legale incaricato di eseguire l'autopsia su Maria Concetta Cacciola – è di Reggio Calabria. A questo proposito va affrontata la questione della relazione di consulenza redatta da Antonino Trunfio".
Il comportamento dei congiunti nelle fasi successive al decesso: "È oltremodo significativo come nessuno dei soggetti captati nelle fasi immediatamente successive alla morte di Maria Concetta, che si era apparentemente suicidata, si sia mai chiesto il motivo di un simile gesto, che è la domanda più frequente che ci si pone in casi del genere; quasi come se tutti, estranei o complici che fossero, sapessero comunque quale era stata la vera sorte della povera ragazza" scrive la Corte.
Tutti fatti che dovranno adesso passare al vaglio degli inquirenti. Un caso spinoso che – con ogni probabilità – verrà curato dal pm della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti (ormai specializzata in casi di donne e criminalità organizzata), che lavorerà in sinergia con la Procura di Palmi, retta da Giuseppe Creazzo. In Procura, infatti, sono tornate le carte riguardanti la morte di Maria Concetta, ma anche quelli relativi al dottor Trunfio, alle false testimonianze rese in dibattimento a Palmi e agli avvocati Gregorio Cacciola e Vittorio Pisani, legali della famiglia, che, evidentemente, potrebbero aver avuto un ruolo nel tentativo di screditare la giovane testimone di giustizia.
Saranno tutti elementi da trattare, tutti elementi che potrebbero mostrare la via per trovare l'assassino o gli assassini di Maria Concetta Cacciola.