di Claudio Cordova - Si racconta, si sfoga, dà la propria interpretazione dei fatti che lo hanno riguardato e che si intersecano con la sua vicenda. Parla Alberto Cisterna. Da numero due della Direzione Nazionale Antimafia, l'indagine a suo carico (poi archiviata su richiesta degli stessi inquirenti) lo ha portato al ruolo di giudice civile a Tivoli. La sua figura si intreccia con quella – assai discussa – del collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice, scomparso dal giugno scorso. A distanza di alcuni mesi (l'ultima sua uscita pubblica risale alla conferenza stampa indetta dopo l'archiviazione) il magistrato si concede con un confronto a tutto campo, all'indomani della decisione del Csm sulla Procura di Ancona e in uno dei momenti più delicati delle vicende che ruotano attorno a Nino Lo Giudice.
Partiamo dall'ultima notizia in termini cronologici: la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura per la nomina alla Procura della Repubblica di Ancona. La considera una sconfitta?
Era un passaggio scontato il CSM lo fa sempre. Anche questa volta, dopo tre sentenze definitive e l'ordine del Tar di eseguirle entro 60 giorni, il CSM insiste nella sua posizione di 4 anni fa. Prosegue in un'estenuante lite, purtroppo costosa solo per me, loro non pagano avvocati. Nello stesso giorno di questa decisione, altri hanno lanciato appelli per il rispetto e l'accettazione delle sentenze passate in giudicato. S'è fatto in un altro modo: un'occasione mancata per dare una lezione di stile ai detrattori della magistratura. Leggo sui giornali di ieri le lapidarie parole del Quirinale e del presidente Violante sui pericoli per l'indipendenza della magistratura che vengono dalla lottizzazione del CSM da parte di taluni soggetti (le correnti sono una cosa seria). Nel 2000 la Corte costituzionale lo aveva detto: l'indipendenza dei magistrati va tutelata anche «nei confronti degli altri magistrati, di ogni altro potere dello Stato e dello stesso CSM». Mi pare perfetto.
E' evidente che la figura di Lo Giudice abbia inciso profondamente sugli ultimi anni della sua vita e sulla sua carriera. Ha sempre definito calunnie le affermazioni del collaboratore, come si spiega le affermazioni rese nel corso dei mesi?
Lei fa un'affermazione e pone un interrogativo. L'affermazione. Lo Giudice non ha inciso sulla mia vita e la mia carriera. Ha inciso l'uso che è stato fatto delle sue parole, fuori tempo massimo rispetto alla legge, e pesate con raffinata strategia: «mio fratello mi fece intendere», ripetuto tre volte. Voglio essere chiaro: non mi riferisco all'uso giudiziario, ma al combinato giudiziario-mediatico che nel mio caso è stato cinico e feroce. Vede, questa vicenda è iniziata con un gesto di attenzione nei miei confronti: un interrogatorio nel mio ufficio di Roma che era stato tenuto riservatissimo. Ma la mattina dell'interrogatorio la notizia troneggiava sulla prima pagina del più grande giornale italiano. Davanti al mio ufficio, all'arrivo di Pignatone, c'era un nugolo di giornalisti. Su quella fuga di notizie, mi chiedo ancora perché, la procura di Reggio non ha mai fatto un gesto per risalire alle responsabilità. E' dovuta intervenire la Procura generale per avocare un'indagine mai iniziata. L'intera vicenda che mi è stata scatenata addosso s'è nutrita sempre di un rapporto organico tra rivelazioni alla stampa e distorsioni di atti (spesso coperti da segreto e a me ignoti) trasformati in titoli cubitali sui giornali nazionali o locali. Con cronometrica precisione: cioè uno o due giorni prima che organi dello Stato decidessero cose che mi riguardavano. Evidente il tentativo di suggestionare e di condizionare. E' accaduto anche in questi giorni segno che qualcuno riesce ancora a manovrare. Passo alla sua domanda. Chi come me ha fatto a lungo il pm non si chiede il perché delle affermazioni di un collaboratore di giustizia, ma lavora per accertare se sono vere o false, fondate o no. I collaboratori, lo ripeto da anni perché è ovvio, non sono credibili o inaffidabili. Sono riscontrati o non riscontrati. E' una regola tecnica, ma anche un grande principio etico. Lo Giudice, dopo i primi 180 giorni fissati dalla legge, ha fatto una svolta, con un memoriale (antica abitudine del Lo Giudice) finito per intero sui giornali con tanto di fotografie. Ora vedo grande cautela sui "nuovi memoriali". Bene. Ma intanto la talpa che ha consegnato i memoriali del 2011 ai giornali e che mi sono costati un'iscrizione il 23 maggio 2011 (giorno dell'eccidio di Falcone) pascola libera e serena.
Restiamo sulle affermazioni di Lo Giudice. Cosa si nasconde dietro il suo allontanamento? Lei crede ai contenuti dei due memoriali?
Sull'intera vicenda ci sono interrogativi che, al momento, per quanto capisco, non hanno una risposta convincente. Dopo il primo memoriale dei mesi scorsi avevo invitato pubblicamente Lo Giudice a costituirsi e a farlo direttamente col procuratore de Raho, sarebbero tutti garantiti. Dopo che sarà preso e avrà parlato e dopo che il suo racconto verrà verificato capiremo meglio. Al momento, non sappiamo perché si è accusato delle bombe (se, come dice, non è stato lui); non abbiamo punti fermi sul misterioso bazooka; non sappiamo quando e perché abbia iniziato a parlare delle stragi del 1992/1993. E non sappiamo neanche perché ha deciso di tirarmi in ballo. Su quest'ultimo punto: le accuse di Lo Giudice contro di me sono state archiviate su richiesta della procura di Reggio non quando lui è sparito o grazie ai suoi memoriali, ma quando era, come dire, in piena attività di pentito, un anno prima di quando è scomparso. Come dite voi giornalisti sono stato rivoltato come un calzino, io la mia famiglia, i miei parenti e i miei amici. Sono stati ascoltati decine e decine di testimoni. La Finanza ha indagato controllando minuziosamente il modo come ho vissuto e speso negli ultimi dieci e più anni. Alla fine, niente di niente. Sfido chiunque a resistere ad una tale pressione.
C'è una guerra tra magistrati? Si sente al centro di un complotto?
I magistrati sono uomini come gli altri. Tra loro ci sono spesso diversità di opinioni e questo talvolta determina aggregazioni e contrapposizioni che possono anche radicalizzarsi. Subiscono anche i riflessi del degrado che ha investito la società italiana in tutti i suoi aspetti. La differenza è che la magistratura è collocata in un punto che investe immediatamente gli interessi e la libertà di tutte le persone. Da qui la conseguenza che fa di ogni divergenza uno scontro e talvolta, come si dice semplificando, una guerra. In questo senso, e solo in questo senso, la guerra tra magistrati c'è ed è quasi endemica. Io al centro di un complotto? Direi che sono finito in una trappola in cui si sono saldati diversità di opinioni, interessi oscuri, interessi mediatici e un «mercato delle notizie» così competitivo da collocarsi spesso lontano dalla correttezza professionale e dall'onestà intellettuale. Vedo che concetti identici a questo sono stati in questi giorni riproposti in un convegno da Pignatone e dalla Boccassini e sono al centro dell'ultimo editoriale di Saviano per L'Espresso. Insomma: mai dire mai.
Questi sono anche i giorni in cui è trapelata la notizia di una presunta macchinazione ordita per screditare le dichiarazioni del collaboratore Antonino Lo Giudice. E' un'ipotesi a cui crede?
Lei continua a chiedermi quel che credo o non credo. Le cose per un magistrato vanno verificate, dimostrate. Su questa vicenda non è vero che nel 2011 qualcuno ha mai agito per far "ritrattare" il Lo Giudice come, invece, ha titolato suggestivamente il Corriere della Sera su questo punto. Come è dimostrato dall'arresto della persona accusata di averlo calunniato. Quindi una cosa molto diversa rispetto ai tentativi di far ritrattare di Lo Giudice. Siamo di fronte ad un ventaglio di ipotesi tutte da verificare. Spesso voi giornalisti vi appassionate alla credibilità dei collaboratori, che chiamate pentiti. Così la discussione si sposta sulle loro coscienza invece che sulla verifica scrupolosa attraverso fatti, circostanze, riscontri di quel che dicono. Lo so che lo si fa in buona fede perché così trovate più ascolto tra chi vi legge e i titoli escono meglio. Ma questo spesso si risolve in un depistaggio, sia pure involontario. Si immagini cosa accadrebbe se di fronte ai memoriali di Lo Giudice tutto si risolvesse sulla sua credibilità o falsità invece di andare a controllare e verificare il contenuto delle cose che fin dall'inizio ha detto. C'è il rischio che la tesi del complotto sposti l'attenzione dalla necessità di tutte le verifiche.
Non crede che - da qualsiasi parte la si guardi – questa storia abbia sostanzialmente rafforzato la 'ndrangheta, che vive sulla scarsa fiducia della gente nelle Istituzioni?
Sì. E' così. Chi questa storia l'ha scatenata – l'ho già detto da tempo – ha questa responsabilità. Che non è lieve e, purtroppo, è una ferita che non si rimarginerà in fretta.
Come è cambiata la sua vita da quando è partita la sua vicenda giudiziaria e mediatica?
Continuo a lavorare lo stesso numero di ore di prima. Con la stessa passione. Certo, con molta amarezza sotto. A Tivoli, dove tutti mi hanno accolto in un modo magnifico, cerco di dare tutta la mia esperienza e la mia correttezza. Non mi risparmio. Poi ci sono le cause, i procedimenti, la fatica e il tempo che tutto quel che è capitato mi toglie anche per cose importanti. Ma non ho mai tollerato le lamentele.
A proposito di media. Vorrei un suo parere su come giornali e giornalisti hanno gestito la sua vicenda e quelle che ruotano attorno alla figura di Nino Lo Giudice. Considera la stampa manipolata dall'una o dall'altra parte?
Se mi sta chiedendo se ci sono giornalisti-fantoccio che scrivono attentamente quel che gli viene dettato, la mia risposta è no. Magari qualcuno ci sarà, ma il segno è un altro. Quel che mi preoccupa è la guerra tra giornali e giornalisti per arrivare primi sulla notizia e, per arrivare primi, molto spesso non si va molto per il sottile. In questo senso trovo ci sia una pericolosa disponibilità di giornalisti e giornali a diventare funzionali alle fonti, anche quelle improprie, assecondandone i progetti. E' un problema su cui su cui c'è un'attenzione crescente tra giornalisti, magistrati e pubblica opinione.
Si è opposto all'archiviazione nei suoi confronti per corruzione in atti giudiziari, perché vuole che la verità possa emergere in aula. Quali saranno i prossimi passaggi della sua vicenda?
La mia vicenda, quella per cui sono finito sui giornali, è chiusa. Lo ha stabilito un decreto di archiviazione contro cui mi sono opposto perché pretendo da parte della giustizia maggiore trasparenza. Tutto il resto mi sembra molto legato, tranne per chi è in mala fede, alle conseguenze di quel fatto centrale o a strascichi che il vento spazzerà restituendo un paesaggio limpido. Non ho dubbi su questo. E allora tireremo tutti un sospiro di sollievo.
Intervista realizzata per Il Quotidiano della Calabria