“Mare nero”: l’insensata corsa (petrolifera) all’oro nello Ionio calabrese

petrolio impiantodi Pasquale Cotroneo - Il Mar Ionio ridotto a un colabrodo, in un sistema, le cui soluzioni fanno acqua da tutte le parti, e dove ad essere tutelati sono gli interessi delle compagnie petrolifere, che vedono, in questa porzione di mare un vero e proprio El Dorado. Una situazione drammatica che viene analizzata nel rapporto di Legambiente "Uscire dal petrolio, no alle trivelle nel mar Ionio".

Oltre 5mila kmq di superficie marina per un totale di 10 richieste attive per la ricerca di petrolio offshore, che vanno a sommarsi alle numerosissime già presenti in tutto il territorio Italiano e che vedrebbero le trivelle "fumanti" pronte ad agire per l'estrazione dal sottosuolo marino di idrocarburi, portandosi dietro i rischi e i danni provocati dall'inquinamento petrolifero e non solo. I "meriti" di questa nuova prospettiva energetica sono da attribuire al Governo Monti e al Decreto Sviluppo del giugno 2012 che, se da una parte ha aumentato a 12 miglia la fascia di divieto per le nuove richieste di estrazione di petrolio in mare, dall'altra ha fatto ripartire tutti i procedimenti per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati nel 2010 dopo l'incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico.

Ma se la sicurezza dell'approvvigionamento energetico è uno dei temi cruciali di questi ultimi anni perché non lo è considerare che quest'esigenza comporta un più alto rischio di eventuali danni ambientali?

Chi inoltre ha dato il via libera alla trivellazione forse non ha considerato che, inoltre,  ogni anno verso le coste italiane viaggiano via nave ben 178 milioni di tonnellate di petrolio, quasi la metà di tutto il greggio che arriva in direzione dei porti del Mediterraneo, crocevia delle petroliere di tutto il mondo. Il nostro Paese poi, attraverso 12 raffinerie, 14 grandi porti petroliferi e 10 piattaforme di estrazione off-shore, movimenta complessivamente oltre 343 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi all'anno, a cui vanno aggiunte le quantità di petrolio e affini stoccati in 482 depositi collocati vicino al mare. E negli anni non  sono mancati  fenomeni di spiaggiamento o di sversamento in mare di prodotti petroliferi.

Basti pensare poi che la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1% del prodotto globale che, secondo le ultime stime del ministero dello Sviluppo economico, anche qualora ci sarebbero nei nostri fondali marini 10,3 milioni di tonnellate di petrolio, queste basterebbero a coprire solo un fabbisogno di 7 settimane, e l'assurdità di questa scelta è ancor più evidente. Una scelta che non produrrebbe nemmeno nuovi posti di lavoro, perché il settore si esaurirebbe in pochi anni.

Non solo.

Quella calabrese è una costa che, nonostante lo spianamento delle dune, nonostante la rimozione della macchia mediterranea, nonostante l'abusivismo edilizio e nonostante politiche di protezione inesistenti o sbagliate, rappresenta uno dei patrimoni paesaggistici italiani più importanti, un'eccellenza dal punto di vista turistico con la presenza di importanti e rinomate località balneari.

Ne sono esempi: Brancaleone, Bova, Palizzi, Locri e Monasterace con le loro aree archeologiche, ed altre località balneari come Roccella Jonica, Caulonia e Riace. In provincia di Catanzaro, località molto conosciute come Soverato e altre meno note come Sant'Andrea Apostolo allo Jonio con un importante sistema dunale in gran parte integro; Copanello con la sua scogliera ed i resti della Roccelletta a Borgia. Poco più a nord Crotone e Isola di Capo Rizzuto, comuni dell'Area marina protetta di Capo Rizzuto, sono tra le località più importanti del crotonese e Cirò, la zona di vitigni DOC. Nell'alto Jonio cosentino Rossano e Corigliano rappresentano importanti aree agricole coltivate ad agrumi (areale dell'IGP della Clementina e della Liquirizia), Trebisacce e Cassano allo Jonio con l'area archeologica di Sibari, e altri piccoli centri come Amendolara (e le sue secche) e Rocca Imperiale. Aree in cui vive anche la tartaruga marina Caretta caretta, che in questa terra ha il suo luogo naturale di riproduzione. Luoghi che fanno capo a ben 36 siti della rete natura 2000. Aree, la cui unicità non sarebbe più tale.

La pesca poi, comparto già in crisi, e che comunque in Calabria non è mai riuscito a svilupparsi pienamente, soprattutto per il proliferare di politiche clientelari, andrebbe incontro ad un colpo mortale.  Le trivellazioni in mare, oltre che precludere vaste aree ad altre attività, tra cui la pesca, provocano l'allontanamento delle specie ittiche. Lo sversamento di petrolio in mare comporterebbe poi la morte di molte specie e il disfacimento del delicato ecosistema marino.

Nonostante tutto questo, la politica italiana sembra essere sorda davanti alle esigenze di un territorio che non vuole le trivelle, come dimostrato anche dalla perplessità manifestate da molti enti locali, mentre al contempo sembra sentirci benissimo davanti alle richieste delle varie compagnie petrolifere, inspiegabilmente favorite: fiscalità vantaggiosa, guadagni assicurati, zero rischi d'impresa, concorrenza inesistente.

"Non sarebbe meglio - chiede infine Legambiente - in un territorio che ne offre un'ampia gamma, puntare, aldilà di mille falsi proclami, sulle rinnovabili e su uno sviluppo energetico che valorizza l'ambiente invece di deprimerlo?"