Moncalieri, uno dei feudi della ‘ndrangheta in Piemonte

moncalieridi Claudio Cordova - Per raggiungere Moncalieri dal centro di Torino è necessaria una decina di minuti, non di più. Quasi 60mila abitanti, è il quinto comune del Piemonte per numero di residenti ed è tra i più vicini nella cintura urbana del capoluogo di regione. All'arrivo nella parte alta della cittadina la sensazione è quella di un luogo di grande serenità, ordinato, immerso nel verde con i suoi edifici storici.

Un vero e proprio "gioiellino".

Ma esistono due Moncalieri. La prima, appunto, è quella collinare, abbellita da ville e residenze storiche. In quella parte della città vivono i discendenti della famiglia Agnelli, ma anche diversi campioni della Juventus. Del resto è un luogo ideale per sfuggire dal caos torinese.

C'è però un'altra Moncalieri.

Scendendo a valle, ci si imbatte in uno dei quartieri più popolosi: Borgo San Pietro. A Moncalieri, infatti, i rioni vengono chiamati borgate. Borgo San Pietro non è di poco conto: oltre 20mila abitanti, sui 58mila totali. Per chi giunge dalla Calabria, l'ambiente è familiare: pompe di benzina (alcune gestite proprio da reggini emigrati), centri di grande distribuzione, concessionarie d'auto. Lo scenario è totalmente diverso rispetto alla Moncalieri delle ville degli Elkan: la vegetazione è assai più rara e l'elemento predominante è il cemento. Anche gli edifici non sono più signorili, ma assomigliano dannatamente a quelli, spesso rustici, della provincia di Reggio Calabria.

Proprio a Borgo San Pietro, infatti, la presenza calabrese è molto alta.

All'inizio del 2009, il sindaco di centrosinistra sarà costretto a dimettersi dopo due anni di mandato proprio dalla fronda interna alla propria maggioranza, scatenata, tra gli altri, da alcuni esponenti calabresi della coalizione. Il nodo impossibile da sbrogliare? L'approvazione del nuovo Piano Regolatore. Qualche tempo dopo, inoltre, la Squadra Mobile ritrova sei fucili rubati e munizioni di vario tipo in una villetta per metà di proprietà di un ex assessore del Comune (anch'egli calabrese d'origine), che comunque non verrà mai indagato. Un contesto, che proprio nel 2009, porterà il "caso Moncalieri" anche in Commissione Parlamentare Antimafia, spingendo il vicepresidente del tempo, Beppe Lumia, a parlare di "segnali che mettono in evidenza il rischio di penetrazione soprattutto da parte della 'ndrangheta".

L'operazione "Minotauro", condotta alcuni anni fa dai Carabinieri su input della Dda di Torino, la 'ndrangheta in Piemonte la (ri)scoprirà davvero. L'inchiesta svelerà l'esistenza di un locale di 'ndrangheta con regole rigide e dinamiche che riportano a territori lontani. A Gioiosa Jonica, in particolare. Gran parte dei presunti affiliati (per i quali proprio alcuni giorni fa la Procura di Giancarlo Caselli ha chiesto centinaia di anni di carcere) arriverebbe proprio da Gioiosa o comunque dalla Locride.

Sarebbero stati proprio gli Ursino ad "attivare" il locale di Moncalieri.

A dire il vero, l'indagine "Minotauro", pur arrestando decine di presunti affiliati, toccherà solo di striscio la 'ndrangheta di Moncalieri. L'indagine, infatti, svelerà l'esistenza di un numero enorme di affiliati alla 'ndrangheta in Piemonte. A fare rumore sarà il coinvolgimento del sindaco di Leinì, quel Nevio Coral che finirà in manette e per il quale la Dda di Torino ha richiesto, appena alcuni giorni fa, dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma se nei locali di Cuorgnè, Volpiano, Chivasso, e, ovviamente, Torino, la retata coinvolgerà moltissimi presunti affiliati, Moncalieri conterà meno di dieci arresti. Tutti cognomi che rimandano a ben altri territori rispetto a quelli piemontesi: Idotta, Schirripa, Pino e Ursino (con la variante Ursini, come vedremo).

A Moncalieri, però, di calabresi ne sono rimasti parecchi in circolazione.

Per scorgerli basta fare un giro in auto per Borgo San Pietro. Se ne stanno sull'uscio dei bar o, vista la stagione estiva, seduti ai tavolini. Fumano, parlottano, guardano fisso non appena vedono qualche faccia "forestiera". Così come svelato dall'indagine "Minotauro", erano proprio i bar i centri nevralgici della 'ndrangheta piemontese. Due su tutti: il bar Italia, di Peppe Catalano, in via Veglia a Torino, e il bar Smile, in via Battisti a Moncalieri, intestato alla moglie di Antonio Romano, uno degli arrestati nel blitz dei Carabinieri.

Sì, sono rimasti in tanti fuori a Moncalieri. Seguono le orme degli antesignani della 'ndrangheta a Torino e dintorni: i Belfiore che si arricchiranno con il traffico della droga, i Belfiore di Domenico (unico condannato per l'omicidio del procuratore capo di Torino, Bruno Caccia), ma anche i fratelli Giuseppe e Salvatore. Cognome storico, quello dei Belfiore, al pari di Mario Ursini che, però, dopo gli anni d'oro deciderà di ritornare nella natia Gioiosa. A restare in Piemonte saranno i nipoti di Ursini: Renato Macrì, detto Renatino, e Rocco Vincenzo Ursini. Il primo, definito dal pentito Rocco Marando come "uno molto amante dei soldi" si dedicherà, oltre che alla 'ndrangheta, alla gestione del gioco d'azzardo.

Andrà peggio al secondo.

Del giovane (classe 1980) si perderanno le tracce a Chivasso l'8 aprile del 2009. Quel giorno, infatti, Ursini accompagnerà al lavoro la fidanzata, figlia di Rocco Schirripa, ritenuto un elemento di spicco del locale di Moncalieri, con il grado di Trequartino, dopodiché scomparirà nel nulla. Un caso di "lupara bianca", che i Carabinieri riconducono a un'eliminazione fisica del giovane: sul suo conto, infatti, nell'indagine "Minotauro" verranno raccolti diversi elementi di prova circa l'appartenenza alla 'ndrangheta, ma la Dda non inoltrerà neanche la richiesta d'arresto.

Rocco Ursini sarebbe stato eliminato.

Significative, in tal senso, sarebbero alcune conversazioni intercettate. In una del 14 agosto 2009 sarebbe Giuseppe Commisso, il "mastro" della 'ndrangheta a parlare: "Questo Mico Oppedisano, mi raccontava ...(inc.)... Rocco Ursino, io non sapevo neanche di chi mi parlava... quel povero disgr... quello che è morto...". Secondo il racconto di Commisso, il giovane avrebbe avuto un debito di ventimila euro, che sarebbe stato saldato col sangue. Una storia che non si sarebbe svolta nella selvaggia provincia di Reggio Calabria, ma nella civile Torino, dove Oppedisano, secondo il racconto di Commisso avrebbe "mandato a Rocco questo qua, che gli doveva dare ventimila euro... a dargli dieci... poi hanno litigato, hanno girato voltato [...] e all'ultimo lo hanno ucciso. Conversazione che fa il paio con quella di alcuni giorni dopo – il 20 agosto 2009 – con Carmelo Bruzzise e Rodolfo Scali, in cui il "mastro" farebbe riferimento a Giuseppe Antonio Italiano (deceduto) e al figlio Giasone (coinvolto nell'indagine "Meta"): "Peppentoni, i cristiani non li riconosce... (inc.)...è geloso ed invidioso, che ha fatto un lavoro che (inc.)... Peppentoni il figlio...Giasone... (inc.)... a me lo hanno detto questi di Rosarno, ancora non lo so... ha ucciso un ragazzo".

E' un locale instabile quello di Moncalieri. Forse anche per questo servirà l'intercessione di Francesco Giorgio, detto "don Decu", che, nonostante la presenza di un capolocale (Rocco Raghiele), assumerà un ruolo di primissimo livello in seno al locale di Moncalieri, ma non solo: "Occorre rilevare che il prestigio ottenuto da Giorgio Francesco nella compagine si manifesta anche con il potere di intercedere affinchè altri conseguano avanzamenti in carriera" è scritto nelle carte d'indagine. Le dinamiche, insomma, sono sostanzialmente le medesime, rispetto a quello che avverrebbe nella Locride. La 'ndrangheta, dunque, riproduce lo stesso "habitat" di provenienza. E fin quando gli affari possono essere svolti in tranquillità, resta sotto traccia. Quando questo non è possibile, uccide.

Proprio indagando sulla scomparsa del giovane Ursini, gli inquirenti avranno l'ennesima conferma della presenza – a Torino e dintorni – oltre che della 'ndrangheta, anche di Cosa Nostra e, in particolare, del clan dei catanesi. Un'area criminale che per anni sarà capace di imperversare in Piemonte, anche se adesso, secondo le ultime indiscrezioni investigative, la parte del leone sarebbe proprio della 'ndrangheta. Intercettando alcuni pregiudicati per cercare di capire qualcosa in più sulla scomparsa di Ursini, gli investigatori riusciranno a fotografare, di fatto, la fine del potere siciliano. Saranno, in particolare, le uccisioni di Lorenzo Spampinato e di Orazio Orofino a segnare il declino dei catanesi. A Torino e dintorni comanda la 'ndrangheta.

Già da un po'.

Anche il progetto di eliminare Giuseppe Belfiore non verrà mai attuato dai siciliani. Nel frattempo, infatti, il dominio totale verrà preso dai calabresi.

A Torino e nel suo hinterland. Anche se tutto assomiglia maledettamente alla Locride.