Il 15enne di Locri che scrive al boss per affiliarsi alla ‘ndrangheta

locrialto600di Angela Panzera - Quando si è adolescenti c'è chi idolatra un cantante, un gruppo musicale o una stella del cinema. A Locri invece, si prende come modello di riferimento il boss Cataldo. Antonio Cataldo, alias "papuzzedda", nello specifico. Anni e anni di carcere sulle spalle, inchieste su inchieste. Il boss è figlio di quella lunga faida, intercorsa con il clan rivale dei Cordì e che ha tirato dentro poi le 'ndrine più influenti della zona- che dalla strage di Piazza Mercato, avvenuta alla sul finire degli anni Sessanta ha in sanguinato la Locride fino al 2005. E nelle pagine del provvedimento di fermo dell'inchiesta odierna, "Mandamento jonico," che è riportata un'intercettazione ambientale in cui la figlia del boss Antonio Cataldo appena uscita da scuola racconta alla madre che un suo conoscente le ha rivolto una richiesta "particolare"; un'istanza talmente insolita da suscitare la sua stessa meraviglia: un quindicenne voleva affiliarsi alle cosche con una lettera destinata al boss Cataldo. Per raggiungere il suo intento il ragazzo avrebbe scritto una missiva consegnandola proprio nelle mani della figlia del capomafia. La lettera che non giungerà mai al boss detenuto, ma questa circostanza fa comunque emergere uno spaccato inquietante in cui, ancora una volta, la 'ndrangheta vive non solo della forza di intimidazione, ma anche di fascino e consenso sociale. Nella missiva, come è riportato nell'inchiesta "Mandamento Jonico" - messa a segno oggi dai Carabinieri reggini e dalla Direzione distrettuale antimafia retta dal Procuratore capo Federico Cafiero De Raho- in cui l'adolescente avrebbe espresso sentimenti di ammirazione nei confronti della 'ndrangheta tanto da chiederne formalmente l'affiliazione.

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È il 14 marzo del 2015. La giovane è appena uscita da scuola e si trova in auto con la propria madre a cui spiega di aver ricevuto una lettera in busta chiusa da un suo compagno di scuola che doveva recapitare al padre Antonio Cataldo. Mentre spiegava le modalità di ricezione della lettera, la ragazza prelevava dall'interno dello zaino e ne leggeva parte del contenuto alla madre.

"Si tratta di una inequivocabile richiesta di affiliazione alla cosca Cataldo", scrivono senza indugi gli inquirenti nel provvedimento di fermo". Ed in effetti la giovane non riesce a terminare di leggere il contenuto della missiva che viene prontamente interrotta dalla madre la quale, comprendendo subito il significato di quelle parole, la blocca con un "ma stai zitta!Basta". Anche se i passaggi letti in auto sono pochi e frammentati, basta poco per comprendere che quel ragazzino voleva comunicare al boss di voler far parte della 'ndrina di Locri.

«... IO SOTTOSCRITTO (omissis= ) VORREI METTERMI A DISPOSIZIONE PER VOI E LA VOSTRA FAMIGLIA! ...» " Madre e figlia avevano piena cognizione del peso di quelle parole e conoscevano perfettamente il significato dell'espressione «... VORREI METTERMI A DISPOSIZIONE PER VOI E LA VOSTRA FAMIGLIA! ...»- scrive la Dda nel fermo-. Non può esserci attestazione più diretta e genuina da cui evincere l'ammirazione di cui godeva il capo cosca Antonio Cataldo a Locri, come se il suo trascorso criminale fosse un esempio da emulare. Gli adolescenti locali lo considerano un modello a cui ispirarsi per conseguire rispetto e potere, percorrendo la strada dell'illegalità. La vicenda è talmente paradossale che permette di comprendere ancor meglio la portata del fenomeno mafioso a Locri. Di norma infatti, i ragazzi di quell'età si rispecchiano in tutt'altra tipologia di personaggi, invece nella locride è il boss a costituire il modello di riferimento, chiosano i pm. È evidente che la cultura mafiosa è talmente radicata in quel tessuto sociale che coinvolge finanche l'Istituzione Scolastica che, in quanto tale, dovrebbe essere avulsa da tali contaminazioni. Ed invece, nel caso di specie, è stata proprio la Scuola il vettore attraverso cui la richiesta di "affiliazione" all'organizzazione mafiosa da parte di un quindicenne è stata veicolata al capo della cosca Cataldo.

Da questo piccolo episodio, riassunto in poche righe nell'imponente decreto di fermo che oggi ha portato 116 persone dietro le sbarre, emerge però uno spaccato inquietante. Un fatto che non ha alcuna rilevanza penale sia per gli indagati che per i soggetti coinvolti, ma che reca dentro di sé un pericoloso quanto allarmante senso. Solo dai giovani e dalla scuola la nostra terra potrebbe ripartire, ma ancora oggi ci si trova dinanzi a tali situazioni. Ci sono ancora luoghi e personaggi che santificano boss e capimafia i quali vengono assunti a modello di vita. Un modello che nonostante le numerose inchieste giudiziarie non viene scalfito nell'immaginario collettivo dei luoghi in cui per anni hanno deciso vita e morte di ogni singolo abitante o esercizio commerciale. Un fallimento intero quindi, per l'intera società che fa capire come la repressione del fenomeno mafioso da sola non è sufficiente a mutare le coscienze dei più giovani.