Giancarlo Giusti, "tradito" dalle donne

boccassini ildadi Alessia Candito - Chi dice donna dice danno. Probabilmente sarà stato questo – insieme a imprecazioni di varia natura -  il primo pensiero del giudice Giancarlo Giusti e di quello che gli inquirenti considerano uno dei principali boss sotto la Madonnina, Giulio Lampada, quando la giudice Ilda Boccassini ha ordinato agli uomini della Squadra Mobile di Milano di stringere loro le manette ai polsi. Ma il magistrato dalla chioma fiammeggiante e dal carattere altrettanto infuocato,  non è l'unica donna ad aver contribuito alla slavina che ha travolto un sodalizio criminale che tesseva le proprie trame tra la Lombardia e la Calabria, muovendosi agevolmente in ambienti istituzionali come criminali, imprenditoriali come politici o giudiziari.

A dare elementi più che concreti ai magistrati per inchiodare la rete che Giulio Lampada aveva costruito attorno a sé e in cui coabitavano in perfetta sintonia un legale, due giudici, un medico con il pallino della politica e un boss della ndrangheta al Nord, è stato lo stesso Giancarlo Giusti. Magistrato dai vizi costosi e con il vezzo della scrittura, Giusti ha pedissequamente documentato in un diario tutti i "regali" con cui il boss della Madonnina l'ha legato a sè. Regali in carne ed ossa, messi a disposizione per le voglie degli amici. Regali mercenari, come il sesso offerto dalle Elisabetta, Desiree, Olga, Simona, Natascia, che il giudice incontra e che Lampada paga. Una circostanza che sarà confermata dall'amante di Giulio Lampada che ai magistrati dirà candidamente : "So che quanto Giusti Giancarlo veniva a Milano, alloggiando all'hotel Brun, Giulio si occupava delle spese del soggiorno, comprensive di cene e della compagnia di ragazze che Giusti portava in camera sua. So che per il loro "disturbo", Giulio dava loro 500 euro". Affermazioni che i magistrati ritengono credibili, non solo perché confortate da riscontri incrociati, ma soprattutto perché la donna è in grado di dare particolari dettagliati sul trattamento che Giulio Lampada riservava agli amici  "Ciò è avvenuto diverse volte. Ricordo che in occasione di una cena avvenuta presso il ristorante Melia, dov'era presente anche mia sorella Irma, Giulio ha invitato una ragazza di nome Victoria. Al termine della cena so, per averlo saputo da mia sorella Irma che Giulio ha accompagnato Victoria e Giusti ma non so dire dove". Ruffiano, chaperon e finanziatore dei vizi degli amici, Lampada probabilmente sapeva già prima di incontrarlo che Giusti aveva proprio nelle donne il proprio punto debole. Lo aggancia a Venezia  a fine settembre 2008 e neanche una settimana dopo, il 6 ottobre, Giusti– ospite gradito di Giulio Lampada che pagherà viaggio, soggiorno e compagnia - è già a Milano, tra le braccia di quelle donne di cui diventerà schiavo. E di cui scriverà quotidianamente in quel file .rtf che gli inquirenti troveranno nel suo portatile e che oggi lo inchioda. "Va bene il convegno – si legge in quel diario - Serata di venerdì pazzesca fra donne e vino. Notte di amore con Natascia, ubriachi cotti". È domenica 21 settembre. Passano poco più di due settimane e il magistrato torna a scrivere "Due giorni a Milano fra donne, amore, vino e affari. La squadra c'é e sembra funzionare. Due belle notti con Elisabetta, dolce ragazza russa". E ancora, qualche tempo dopo "Torno da Milano. Ho conosciuto Anna, ragazza di Mosca. Bella, intelligente, problematica, ottimo amore". Settimane più tardi, ancora commenti dello stesso tenore : "Consolido con Simona, ottimo amore. Resterà la mia donna a Milano". E dopo "Serata di venerdì pazzesca...". Ancora, "Che il destino mi faccia andar bene gli affari. La sera amore con Desirè, slovacca". sono a Milano". A seguire, "Amore con (...) bello ed aggressivo. Invece a Milano se vado a Motel 2000 fuori è pieno di prostitute, se voglio mi rivolgo a loro". Cambiano i nomi, i volti e i corpi delle ragazze con cui il magistrato si accompagna, ma non il tenore dei commenti. "Il diario giornaliero del magistrato  - scrivono i magistrati della Dda di Milano- esprime una personalità alla affannosa ricerca di affari, soldi, sesso e vantaggi personali da trarre strumentalmente da ogni rapporto interpersonale". Seppur riportato in modo parziale nelle carte, quel file per gli inquirenti è un eccezionale "specchio dell'agire e della personalità di Giusti", così come un elemento prezioso per tessere all'indietro la ragnatela con cui Lampada ha avviluppato il giudice in un "rapporto personale assolutamente intimo – si legge nell'ordinanza di custodia cautelare - come attestato dalle numerose telefonate intercorse tra i due". 

Quello che per i magistrati è uno dei principali boss in Lombardia, emanazione diretta del clan Condello di Reggio Calabria sa che al giudice Giusti le donne piacciono. Molto, troppo. Ma quel tipo di donne e di relazioni costa. Molto di più di quanto un dipendente dello Stato si possa permettere. Ed è lo stesso Giusti a riconoscerlo – costernato, frustrato – in quel diario che oggi si è trasformato in un atto di accusa . "A Milano, mi accorgo che per mantenere Simona occorrono soldi. Fatto amore. Meglio essere chiari con lei: aspettare di fare affari o non vederci più. Non voglio spendere soldi se non per i figli. Lo stipendio serve solo a questo!". Ma il problema del giudice Giusti è che non c'è solo Simona. Ci sono Diana, Anna e una lunga trafila di ragazze a cui il magistrato ama dimostrarsi disponibile e con il portafoglio gonfio. Salvo poi lagnarsene in privato, davanti al pc. "Devo diminuire richieste Diana". "La settimana scorsa sono andato a Milano. Serata indimenticabile con Anna. Intanto la aiuto con il mutuo casa, tramite Terzi".  Ma anche quando non sono le ragazze a chiedere aiuto o supporto extra, le serate meneghine di Giusti costano. Troppo. "Torno da Milano dopo aver passato una serata spendendo la legittima e ubriaco fradicio", si legge in quel diario. Donne esigenti, serate costose, ristoranti di lusso e weekend impegnativi: Giulio Lampada ha di fronte a sé la strada spianata per coinvolgere l'ex gip di Palmi nelle sue trame, convertendolo nel suo socio in affari, ma soprattutto nei suoi occhi e nelle sue orecchie al Tribunale di Reggio Calabria, dove Giusti vantava – o millantava – agganci e amicizie.  Che il magistrato non ha un solo attimo di esitazione nel mettere "a disposizione" di un uomo di ndrangheta. "Il quadro complessivo che emerge è deprimente.- concludono quasi con amarezza i magistrati della Dda milanese, nell'ordinanza con cui chiedono l'arresto del loro collega - Le pagine di diario riportate sono solo una quota parziale (e quelle mancanti non sono certo meglio). Ma tutte propongono gli stessi temi ricorrenti: ossessione per il sesso, per lo più a pagamento, esigenze economiche legate ad un tenore di vita sicuramente elevato, spasmodica ricerca di occasioni di guadagno parallele in operazioni immobiliari e di varia altra natura. Giusti appare come personaggio fragilissimo e, per costume di vita, esposto alla tentazione di condotte illecite. E quindi è comprensibile - dato gravissimo in termini di pericolosità sociale - come egli ceda immediatamente ai richiami di Lampada che offre da subito donne pagate, divertimenti, affari, conoscenze utili." Offerte messe sul piatto con un cinismo e una lucida strategia che nelle donne non vede che merce di scambio. Sesso per informazioni, escort per agganci e agevolazioni.

Eppure,  lo stesso Lampada che per tentare il magistrato usa le donne come cammelli in vendita al bazar, o più prosaicamente pezzi di carne esposti al banco macelleria, sarà incastrato dalla Dda grazie o per colpa di una donna. O meglio del suo nome. A ricollegare direttamente a Giulio Lampada la nebulosa srl dietro la quale si celavano lo stesso boss, Giancarlo Giusti, Fabio Pullano e Vincenzo Giglio e con la quale i quattro puntavano a mettere le mani su immobili confiscati debitamente segnalati, è il nome della società stessa: la Indres. Un omaggio che Lampada ha voluto fare alla sua amante. E che gli è costato carissimo.