di Claudio Cordova - "E' ragionevole ritenere che il lucroso sistema, oramai ben collaudato e fondato sul coinvolgimento, anche alternativo, di una pluralità di soggetti avrebbe continuato a funzionare, ove non fosse sopraggiunto l'intervento dell'autorità giudiziaria, per un periodo ulteriore , così garantendo ai suoi gestori la percezione di profitti sempre maggiori; nessun dubbio può dunque essere coltivato in relazione alla sussistenza dell'elemento della stabilità del "pactum sceleris", siglato in vista della commissione di una serie indeterminata di delitti nell'ambito della P.A.". E' perentorio l'assunto che Olga Tarzia, presidente della Seconda Sezione Penale del Tribunale di Reggio Calabria, dà nelle 489 pagine delle motivazioni della sentenza che, il 20 luglio scorso, ha inflitto condanne durissime ai personaggi coinvolti nell'indagine "Urbanistica", condotta contro lo scandalo delle "mazzette" dai pm Francesco Tripodi e Maria Luisa Miranda. Pino Melchini, dirigente presso l'Ufficio Programmazione dell'Assessorato ai Lavori Pubblici del Comune di Reggio Calabria e secondo i pm "dominus assoluto nelle pratiche di edilizia privata", fu condannato a otto anni di reclusione. Sei anni e sei mesi vennero comminati a Pasquale D'Ascoli, Istruttore Tecnico presso il Settore Edilizia Privata dell'Ufficio Urbanistica del Comune di Reggio Calabria, sei anni anche per l'architetto Carmelo Lo Re, altro personaggio centrale nell'indagine e per Demetrio Artuso. Pene inferiori vennero inflitte invece a Giovanni Tornatola (cinque anni di carcere), Antonino Smeraldo (due anni). Nel caso di Pietro Paolo Condò (un mese di reclusione e diecimila euro di ammenda), Francesco Calì (cinque anni e sei mesi) e Marilena Mastrandrea (tre anni), le condanne inflitte dal Tribunale furono addirittura più severe di quelle chieste dai pm.
Le indagini presero il via da un accertamento eseguito dalla Polizia Municipale nel gennaio 2008, in seguito ad una segnalazione anonima relativa ad una costruzione edilizia risultata irregolare. Un caso come molti altri che, però, costituirà l'inizio di un vero e proprio terremoto all'interno dell'ufficio di Palazzo San Giorgio. L'indagine, infatti, sarà anche preceduta – e per molti versi si intreccerà – anche con l'attività della commissione d'indagine sullo scandalo-mazzette, che il Consiglio Comunale istituirà anche dopo le denunce dell'allora presidente del Civico Consesso, Aurelio Chizzoniti. Proprio Chizzoniti sarà ascoltato in aula nel corso del processo, insieme all'allora presidente della commissione, Nuccio Barillà. Proprio al termine dei lavori della commissione, peraltro, il "dominus" Melchini sarà trasferito d'ufficio, anche se il responsabile del settore, Saverio Putortì, escluderà in aula ogni eventuale collegamento tra i due eventi: di fatto, però, Melchini avrebbe continuato a gestire il sistema-mazzette anche dopo il trasferimento d'ufficio. Il gruppo, capeggiato proprio da Melchini, avrebbe dunque assicurato l'esito favorevole di un numero indeterminato di progetti presentati in violazione della normativa urbanistica, ma avrebbe anche assicurato un iter agevolato a quelli presentati da tecnici e professionisti collegati alla cricca: "Le intercettazioni, in modo plastico, senza necessità di ricorrere a particolari interpretazioni, fornivano prova diretta di quanto ipotizzato dando forza all'ipotesi dell'esistenza una struttura organizzata composta dai vertici dell'ufficio urbanistica, diretto e coordinato dal Melchini, e dipendenti, unitamente professionisti esterni , adeguatamente "sponsorizzati" da questi ultimi per veicolare gli incarichi, ed in grado pertanto di pilotare l'intero iter relativo al rilascio delle concessioni edilizie, di condoni, previa formazione, in alcuni casi, di titoli di proprietà dubbi, di certificati falsi, confezionando pratiche apparentemente legali: il tutto previo pagamento di somme di denaro". Il gruppo avrebbe dunque "confezionato" una serie piuttosto lunga di pratiche in modo da farle apparire regolari, facendo mercimonio della pubblica funzione. Un sistema fatto di violazioni e falsificazioni, ma anche di occultamento di atti pubblici: in alcune occasioni, infatti, i membri del gruppo avrebbero manomesso, attraverso gli accessi all'interno dei computer dell'ufficio, le pratiche, cambiando il parere sulle pratiche da "contrario" a "favorevole". Un sistema radicato da anni, un sistema diventato prassi. I cittadini, infatti, sarebbero stati indirizzati verso studi professionali vicini ai funzionari pubblici e, tramite il pagamento di una somma di denaro, la pratica avrebbe fatto il proprio corso positivo.
Un luogo-simbolo dello scandalo-mazzette sarà proprio lo studio dell'architetto Lo Re, che il giudice Tarzia definisce "la fucina dell'attività illecita posta in essere da alcuni degli imputati, laddove al lavoro d'ufficio dei funzionari e impiegati infedeli, si sovrappone una ben più articolata e redditizia attività fatta di pratiche parallele, in cui la finalità perseguita dai " faccendieri" è quella di "accomodare" situazioni, altrimenti non risolvibili o anche di fornire corsie privilegiate per l'approvazione di istanze presentate da soggetti pronti a versare somme di denaro per ottenere irregolarmente accellerazioni nella definizione o per ottenere autorizzazioni in assenza dei presupposti di legge".
Un patto criminale – così come lo definisce il giudice Tarzia – che era stato già stigmatizzato, al momento degli arresti operati dalla Squadra Mobile, dal Gip Kate Tassone: "La cosa pubblica e l'amministrazione della stessa, intesa come governo ordinato e armonico del territorio, risorsa preziosa di una terra creata splendida ma sistematicamente e brutalmente sfregiata dalla criminale spregiudicatezza e dall'ottusa insipienza di alcuni uomini , è stata intesa dagli indagati come avida occasione di illeciti guadagni". Dalle parole del giudice, infatti, era già possibile trarre significativi spunti anche sugli aspetti etici e morali che sarebbero stati ripetutamente, nel corso degli anni, sfregiati: "Come gli indagati, inconsapevolmente, "confesseranno" nel corso delle conversazioni captate dagli inquirenti, l'esame di una richiesta di permesso di costruire, di una domanda di condono veniva vista non come momento di verifica della legittimità dell'interesse del cittadino a ottenere un provvedimento concessorio della P.A. ma come famelica opportunità per costringere o indurre taluno a dare, a se o a un terzo, utilità non dovute , in ciò abusando della qualità e dei poteri attribuiti dalla pubblica funzione, o per ricevere retribuzioni non dovute per compiere un atto del proprio ufficio o per compiere un atto contrario ai doveri dell'ufficio".
E a detta del Gip Tassone, l'operato degli indagati avrebbe contribuito a instillare nella popolazione la convinzione che ogni cosa abbia un prezzo. L'importante è sapere chi pagare: "Tale sistema, di cui è emersa in termini di gravità indiziaria solo una parte accreditando gli atti di indagine la ragionevole probabilità che ben più ampi siano i termini del fenomeno, deve aver contribuito a radicare in parte della cittadinanza la convinzione che gli atti normativi e amministrativi in ambito urbanistico non siano strumenti diretti a regolamentare, nel superiore interesse della collettività, l'uso e lo sfruttamento razionale del territorio nel rispetto della miglior tutela del paesaggio, della salubrità dell'ambiente, della funzionalità e della sicurezza degli insediamenti abitativi, della bellezza dei luoghi, beni alla cui fruizione l'intera popolazione ha diritto ma inutili ostacoli al miope e asfittico interesse individuale, cervellotici orpelli, inutile freno all'egoistica prospettiva del singolo, individuo o impresa, facili da aggirare sol che si fosse interpellato il funzionario giusto e corrisposto il prezzo adeguato con la conseguenza che chi, per scelta o altro, rimaneva fuori del sistema vedeva mortificate le proprie legittime aspettative ad una fisiologica interlocuzione con la pubblica amministrazione".
Un assunto che, come testimoniato dalle dure condanne inflitte alcuni mesi fa, il Collegio presieduto da Olga Tarzia, condividerà pressoché in toto: "Elemento sintomatico, anche se non univoco, dell'esistenza di una vera e propria associazione costituita all'interno di un determinato ufficio comunale è costituito proprio dalla partecipazione di taluni dei soggetti in questo organicamente inseriti quali dipendenti o funzionari dell'ente stesso, dalla commissione di una pluralità di reati fine, potendosi rilevare, dalle circostanze probatorie emerse, l'esistenza, quantomeno tra gli imputati Melchini Giuseppe , Dascoli Pasquale,Calì Francesco, Giuseppe Chirico, la cui posizione è stata decisa separatamente avendo scelto il predetto il rito abbreviato, e Lo Re Carmelo, di un vero e proprio patto criminale, rimasto attivo anche dopo il trasferimento del Melchini ad altro ufficio, avendo costui continuato a godere di una rete di connivenze ed appoggi tali da consertirgli di reiterare condotte illecite, protrattesi nel tempo fino allo scioglimento della societas sceleris".