Il calciatore "suicidato". Le indagini sulla morte di Denis Bergamini vicine alla conclusione

bergamini- di Alessia Candito - Potrebbero mancare solo pochi giorni, se non ore. Dopo, il mistero sulla morte di Denis Bergamini si arricchirà di un nuovo capitolo, forse il più importante: quello che potrebbe svelare chi si cela dietro un omicidio per oltre 23 anni derubricato al grado di suicidio. Il procuratore capo di Castrovillari, Francesco Giacomoantonio, e il pm Mariagrazia Anastasia, incontreranno a breve gli ufficiali del nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Cosenza per un ultimo briefing sugli esiti investigativi, quindi toccherà a loro tradurre quei risultati in un eventuale capo di imputazione. Il risultato di un'indagine durata poco meno di nove mesi – la Procura ha aperto un'inchiesta per omicidio volontario nel luglio scorso - ma che ha atteso ventidue anni per partire. Fino a poco tempo fa, ufficialmente, quel ragazzo biondo che nelle figurine Panini di fine anni 80, ancora sorride indossando la maglia del Cosenza, si era suicidato gettandosi "a pesce" sotto un camion pieno di mandarini,
che transitava sulla statale Jonica, nei pressi di Roseto Capo Spulico. Oggi invece, si sa con certezza che, quel 18 novembre 1989, quando finì sotto il camion- che secondo l'unica testimone, l'ex fidanzata Isabella Internò, lo travolse e uccise - Denis era già morto. Lo dicono le perizie dei Ris di Messina disposte dai pm Giacomoantonio e Anastasia, lo dicono le tante, troppe incongruenze venute fuori nella prima, frettolosa indagine e che l'avvocato della famiglia di Denis, Eugenio Gallerani ha raccolto nel memoriale che nel luglio scorso ha convinto la Procura a riaprire le indagini. Un memoriale che manda in frantumi la versione ufficiale degli ultimi momenti di vita di Denis, per anni ricostruiti fondamentalmente sulla base delle testimonianze di quella che all'epoca venne considerata la principale testimone, l'ex fidanzata Isabella Internò. Stando al suo racconto, il giocatore l'avrebbe chiamata dal ritiro pre- partita chiedendole di vederla con urgenza. Si erano lasciati ormai da mesi, Denis stava già con un'altra donna, eppure poco dopo sarebbe andato a prenderla con la sua Maserati e si sarebbero diretti verso Taranto. Insieme. Voleva andare via Denis, imbarcarsi su un traghetto verso l'Amazzonia o le Hawaii, ha raccontato per tanti anni la Internò dentro e fuori i tribunali. Poi improvvisamente si sarebbe fermato in una piazzola di sosta e poco dopo si sarebbe tuffato sotto un camion di 108 quintali, pieno di mandarini. L'automezzo guidato da Raffaele Pisano l'avrebbe trascinato per oltre 60 metri per poi frenare bruscamente, una volta realizzata la tragedia. Circostanze che i familiari del giocatore hanno sempre ritenuto inverosimili : Denis era un ragazzo pieno di vita, la sua carriera stava decollando, non aveva alcuna ragione per suicidarsi. Certo, nell'ultimo periodo – hanno raccontato i familiari – qualche telefonata sembrava averlo turbato. La prima era arrivata mentre stava a casa con i suoi, lontano dalla Calabria, a Boccaleone in provincia di Ferrara. Una seconda – avrebbe raccontato poi l'allora compagno di squadra e di stanza, Michele Padovano, oggi in carcere per traffico internazionale di stupefacenti - sarebbe arrivata proprio quel 18 novembre. Circostanze che all'epoca gli inquirenti non credettero necessario approfondire. La verità ufficiale rimase quella messa a verbale dal brigadiere Barbuscio subito dopo "l'incidente" e che si basa fondamentalmente sulle dichiarazioni degli unici due presunti testimoni oculari: l'ex fidanzata del ragazzo Isabella Internò e Raffaele Pisano, l'autotrasportatore di Rosarno alla guida del camion che avrebbe travolto il giovane. Due testimonianze che escono demolite dai nuovi accertamenti del Ris disposti dalla Procura dopo la riapertura dell'inchiesta nel luglio scorso. I riscontri effettuati dai carabinieri in camice bianco sull'orologio, una catenina e le scarpe indossate da Denis al momento della morte, non lasciano spazio a dubbi: tanto il corpo di uomo trascinato per 60 metri sull'asfalto da un camion, come qualsiasi cosa avesse addosso, sarebbe stata fatta brandelli. E invece scarpe, catenina e orologio erano e sono praticamente nuovi. E ancora: quella sera pioveva e Denis – ha raccontato la Ilarò – avrebbe camminato a lungo sulla piazzola prima di lanciarsi sotto il camion - ma sulle scarpe del ragazzo non c'era traccia di terra o fango. Ma è soprattutto il corpo di Denis a parlare e a raccontare un'altra verità. Su di lui, l'incidente non ha lasciato alcuna traccia. Un piccolo graffio sul viso e lacerazioni non troppo estese su un fianco. Nessuna frattura ossea, nessun segno di trascinamento. Impossibile dirà all'epoca Domizio, il padre di Denis: anche lui ha guidato per lungo tempo un "quattro assi", simile a quello che avrebbe ucciso suo figlio a Roseto Capo Spulico, e sa perfettamente che un incidente come quello raccontato nella versione ufficiale avrebbe straziato il corpo del ragazzo. Impossibile, confermerà Giuseppe Maltese, il massaggiatore della squadra all'epoca dei fatti, che non può non notare che Denis aveva soltanto un livido sulla tempia. Un ematoma cui riesce a dare un'unica spiegazione: il ragazzo è stato colpito e tramortito e solo dopo gettato sotto al camion. Ma soprattutto sono oggi i periti incaricati dalla Procura di Castrovillari dei nuovi esami, Roberto Testi, professore di medicina legale e criminalistica all'Università di Torino e direttore di medicina legale dell'Asl del capoluogo piemontese, e Giorgio Bolino, medico legale alla Sapienza di Roma, a confermare che i sospetti dei familiari, già 23 anni fa erano più che fondati. Entrambi confermano che quel tipo di ferite riportate sarebbero state causate su un corpo già steso a terra e non travolto da un camion in movimento.
Stranezze che si aggiungono a quelle che, già all'epoca della prima inchiesta, il padre di Denis aveva denunciato in una lunga lettera, ma che a quanto pare, nessuno aveva preso in considerazione. Dopo aver fatto un sopralluogo sul luogo dell'incidente, Domizio Bergamini aveva posto delle domande molto precise: "Perchè il brigadiere parla di un trascinamento di 64 metri, quando dal sopralluogo fatto da noi, da uno schizzo fatto da Padre Federe inviatomi tramite fax, da una cassetta riprodotta da Rai 3 sul luogo il giorno dopo la disgrazia e fattaci pervenire, le distanze non coincidono in quanto dal luogo dove ci ha indicato il brigadiere al luogo dove è stato ritrovato il corpo ci sono 100-110 metri di cui 64 non percorribili in quanto ci sono sassi ed avvallamenti? Perchè se mio figlio si è tuffato (tesi della ex fidanzata) o attraversato la strada a testa china (tesi del camionista) la ferita non si trova sul lato sinistro del bacino, ma ben si in quello destro? In oltre perchè il corpo non si trova a circa 15 o 18 metri da dove è avvenuto l'impatto, ma ben si a 64 metri? Perchè la Maserati (auto di mio figlio) all'arrivo dei carabinieri non si trovava sulla piazzola, ma dietro al camion?"
Questi non sono che alcuni dei quesiti che Domizio Bergamini ha posto e si è posto nel corso di un'agonia durata oltre vent'anni. E che insieme ai riscontri sono finiti nei fascicoli dell'inchiesta cui adesso spetterà ai pm Giacomoantonio e Anastasia dare un senso. Sui dettagli i pm hanno mantenuto fino all'ultimo uno stretto riserbo, così come sui possibili indagati. Si sa che sono stati sentiti i compagni di squadra dell'epoca, così come quella che 23 anni fa è stata la principale testimone e oggi rischia di essere la prima presunta colpevole di quel delitto, Isabella Internò. Ma almeno per adesso, è buio pesto sulle possibili circostanze in cui potrebbe essere maturata la morte del giovane. La prima pista battuta dagli investigatori, che hanno cercato di trovare una ragione dell'omicidio di Denis in un traffico di droga nel quale il giocatore rossoblù sarebbe rimasto anche involontariamente coinvolto, sembra essere caduta. A portare gli inquirenti su questa traccia, l'auto del ragazzo appartenuta in passato a un piccolo spacciatore che le forze dell'ordine ritenevano legato a una delle cosche di Cosenza e piena di doppi fondi e nascondigli. Ma le analisi del Ris di Messina hanno provato che sull'auto non c'era traccia di droga. L'ipotesi che Denis potesse fare uso di stupefacenti, di recente è stata smentita con forza anche dal suo ex compagno di squadra, Maurizio Lucchetti che in una recente intervista ha dichiarato "In passato si è ipotizzato che Denis potesse aver fatto uso di stupefacenti. Ebbene questa è un'ipotesi totalmente da escludere perché lui era allergico a qualsiasi tipo di medicinale. Bastava un analgesico e si gonfiava, pensate se poteva far uso di qualcosa". Le indagini adesso sembrano muoversi su piste che hanno a che fare con la vita personale del giocatore, appena abbozzate nella seconda inchiesta sulla morte di Denis, aperta che nel '94 su iniziativa della Questura di Cosenza e naufragata qualche mese dopo alla Procura di Castrovillari. Nel frattempo, gli accertamenti hanno permesso di portare alla luce un nuovo mistero che infittisce ancor più la trama del caso Bergamini: tre anni e mezzo dopo la morte del ragazzo una commerciante molto nota in città, proprietaria di uno dei negozi più in vista del corso principale, presenza fissa di circoli e serate, insomma una donna della Cosenza bene, ha affittato una casa a Denis Bergamini. O meglio a qualcuno che si è presentato con il suo nome e i suoi documenti. Com'è possibile che una donna inserita nei giri che contano, con il polso preciso di quanto accade in città, non sapesse che Denis Bergamini – estremamente noto a Cosenza – era già morto da tempo? Un'altra matassa di silenzi e omissioni che toccherà alla procura sciogliere, mentre alla famiglia e a chi, come i tifosi del Cosenza, in questi anni ha lottato per arrivare alla verità, rimane il ricordo di un ragazzo serio e rispettabile, dei fiori in una lapide di una strada che non c'è più, cancellata come sono stati cancellati gli elementi che avrebbero dato una spiegazione immediata al mistero e presto – forse – la pace che da la consapevolezza che omertà, silenzio e bugie non ammantano più la sorte di Denis Bergamini.