Parla l’avvocato Giorgio De Stefano: “Sono fuori dal cerchio della ‘ndrangheta”

destefanogiorgio avvocato recente 500di Angela Panzera - "D'altra parte quella sentenza, per quanto pesante dal punto di vista della descrizione della condotta, è sempre concorso esterno e quindi mi pone fuori dal cerchio e voi questo non lo potete modificare, a meno che non ci siano fatti di oggi che mi pongono dentro questo cerchio. Io dentro questo cerchio non ci sono". Giorgio De Stefano, durante l'interrogatorio di garanzia svolto all'indomani dell'operazione "Sistema Reggio", lo ripete più volte: lui non fa parte di nessuna cosca mafiosa e non ha quindi nessun ruolo di direzione. È il 17 marzo scorso. Siamo nella carcere di San Pietro. Giorgio De Stefano, l'avvocato, compare dinannzi al gip massimo Massimo Minniti che ha ordinato il suo arresto e ai pm antimafia Roberto Di Palma e Rosario Ferracane, titolari dell'indagine. Insieme a lui ci sono i difensori Paolo Tommasini, e il figlio Giovanni. Gli inquirenti gli contestano, ordinanza alla mano, accuse pesantissime, ma l'indagato le rimanda tutte al mittente. In particolare, secondo a quanto emerso dall'inchiesta", l' "avvocato" sarebbe stato indicato come il "massimo". Ossia come lo scalino più alto della gerarchia criminale a Reggio Calabria. Per nominarlo, spesso, i conversanti avrebbero abbassato il tono di voce, sia per rispetto che per paura. Il suo nome infatti, è entrato e uscito dalle carte giudiziarie fin dagli anni '70, quando era indicato come capace di dialogare con i vertici della 'ndrangheta, ma anche con soggetti istituzionali e paraistituzionali: massoneria, destra eversiva, servizi segreti deviati. La Dda però adesso, a distanza di anni dalla condanna a 3 anni e 6 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito del procedimento "Olimpia", ha raccolto altri indizi nei confronti dell'avvocato. E' lui il personaggio principale dell'inchiesta "Sistema Reggio", che ha svelato il controllo opprimente delle cosche di 'ndrangheta, anche per l'apertura di un bar-pasticceria nel centro cittadino. A lui si sarebbe rivolto uno degli indagati, Carmelo Giuseppe Nucera, che avrebbe dovuto aprire un bar nei locali dove, per anni, era ubicato il celebre bar Malavenda. Ci aveva provato, pochi mesi prima, la famiglia Nicolò, notoriamente vicina agli ambienti della cosca Serraino, ma era stata ricacciata via e indotta a vendere a suon di bombe alla famiglia Stillittano, cosca dell'area Condello, che divide il rione Santa Caterina con i Franco, esponenti dell'ala De Stefano-Tegano. Nucera si sarebbe rivolto al "massimo". Su questo appellativo però De Stefano si difende. "Posto che la valenza di questa intercettazione- ha riferito l'indagato durante l'interrogatorio- è data dal fatto che lui andava al "supremo", come si dice, dal "massimo". Io questo "massimo" che poi andrebbe confermato il "massimo", perché il "massimo" perché diventa il "massimo" nell'interpretazione, nella chiave di lettura che danno gli inquirenti nella frase? Diventa il "massimo" perché io sono il "massimo", perché io devo essere il "massimo", perché sono il capo, perché altrimenti si può portare anche(...)Per carità, ognuno dà le interpretazioni... Allora, l'interpretazione, lei me lo insegna".

Gip: "È plurima".

De Stefano:"L'interpretazione, quando è plurima, è plurima, dev'essere univoca".

Avv. Tommasini: "E non è univoca".

De Stefano: "Questo io dico. Perché diventa... Io torno sempre all'argomento... l'interpretazione da ... non è una specie di argomento di battaglia: se la conversazione non avesse riguardato il capo della mafia ma avesse riguardato una persona qualsiasi, sarebbe stata interpretata così? Cioè, è sempre viziata, secondo me, l'interpretazione da questa convinzione che si è arrivati a fare il massimo della realizzazione dell'indagine. Io sinceramente non posso dire altro che non ho mai conosciuto Nucera Carmelo, cosa che probabilmente lui confermerà. Io spero che lui si ponga a disposizione, sinceramente, detto con franchezza, della giustizia per perché lui sa come sono andati i fatti, evidentemente sa con chi ha parlato, sa con chi non ha parlato e quindi, facendo discolpa delle sue azioni, vada a dire come stanno le cose. Io le garantisco - e questo posso dirlo con la coscienza di dire la verità, la guardo negli occhi con la certezza di dire la verità - io non ho mai incontrato questo Nucera Carmelo".

Ci sarebbe poi un altro aspetto che ha portato la Dda reggina a formulare l'accusa nei confronti dell'avvocato De Stefano. Stando all'ordinanza di custodia cautelare infatti, Nucera riferirà a un amico che per assicurare l'attività commerciale si era rivolto alle "Generali" ma poi, con l'intermediazione di un amico, era stato contattato dall'avvocato Giorgio De Stefano, sicché aveva ottenuto "da più parti la garanzia al mille per mille di alcune cose" tanto da rimarcare, da un lato, l'inconsistenza della minaccia degli Stillitano e, dall'altro, l'impegno diretto degli Araniti che, a loro volta, avevano manifestato un interesse personale nella nuova attività commerciale ("che resta fra noi, io avevo fatto l'assicurazione con le Generali...e poi mi ha chiamato Giorgio De Stefano, Giorgio De Stefano l'avvocato, tramite un amico per l'assicurazione...loro praticamente da più parti mi danno la garanzia al mille per mille di alcune cose, che lui (n.d.r. De Stefano Giorgio) dice che loro (n.d.r. gli Stillitano) non contano un cazzo...gli Araniti si sono presi l'impegno loro, i cosi...non ci sono problemi, non succede niente perché...l'hanno messa come se fosse una cosa che interessa a loro a livello personale."). Ma i De Stefano, come altre cosche, avrebbero preteso l'assunzione di personale ("e ora sicuramente, siccome mi ha chiamato coso, qualcuno me lo cerca pure lui e non gli posso dire di no, Giorgio De Stefano"), dal quale aveva ottenuto massima protezione per l'avvio dell'attività commerciale ("che si stiano tutti zitti ha detto"),nonché, a fronte delle titubanze espresse dall'incaricato delle Generali, la stipula dell'assicurazione con la filiale della Carige gestita dalla figlia Diana Rita classe 1972 ("poi mi ha detto: "...vieni da me che te la faccio io l'assicurazione"...Giorgio De Stefano").

Anche sue questo aspetto l'avvocato dà la sua versione dei fatti, a cominciare dalla difesa dell'operato della figlia, che avrebbe ereditato l'assicurazione dalla madre: "[...] ha avuto sempre un piccolissimo portafoglio, attualmente credo che mia figlia non abbia più di 6 – 700.000 euro di portafoglio, non ha nessun assicurato che appartenga alla criminalità organizzata, non ha nessuna attività commerciale importante, tipo supermercati. [...] non c'è mai stata una speculazione del nome dei miei cugini o del mio coinvolgimento in quel processo che mi ha procurato, mio malgrado, questa fama, questa mal fama, questa notorietà negativa che può indurre, proprio – mi rendo conto – sia gli inquirenti sia le persone a sentire un sapere diffuso in base al quale io ormai sono catalogato in un certo modo, o per il nome o per quel che è...".

De Stefano: "la verità vera, signor Giudice, è che questa polizza, da come già si capisce dall'ordinanza, è una polizza sinistrata e non la vuole fare nessuno. Perché quale compagnia può mai fare una polizza dove ci sono state due bombe nel locale che vogliono assicurare? Nessuno si può mai assumere un rischio del genere. E chi capisce una sillaba di assicurazione può mai pensare di fare questa assicurazione? Quindi io avrei fatto questo intervento per lucrare 5 – 600 euro, quello che sarà, il premio dell'assicurazione, per mia figlia, senza chiedere niente? Poi alla fine hanno messo personale nel bar, da quello che dice, e rispondono ad altre logiche e ad altre persone; la lite l'aveva con questi...

Gip: "Stillitano".

De Stefano: "...vicini di casa ed erano appartenenti a parrocchie molto lontane da quella dei miei parenti, diciamo così. Non posso e non voglio dire, non voglio mai pensare, non posso accettare che io appartenga a questa parrocchia. Scusate se ho questa presunzione di tenermi sempre al di fuori".

Sì perché l'Avvocato ribadirà più volte di non avere a che fare con i suoi parenti, indicati da svariate inchieste giudiziarie, passate in giudicato da anni, come una delle cosche più potenti della città. Ma De Stefano lo dirà con tutta la sua forza. Lui non ha più alcun rapporto con gli "arcoti".

Pm Ferracane: "Diciamo i figli di Paolo De Stefano?

De Stefano: "I figli di Paolo, non Dimitri che era piccolissimo allora"

Pm Di Palma: "Le chiedo un'altra cosa: nel corso del tempo e soprattutto in questi ultimi periodi, in questi ultimi anni che rapporti avete? Avete dei rapporti o non avete più rapporti? Come funziona?"

De Stefano: "No, sostanzialmente, io devo dire con molta... anche con un certo dispiacere devo dire la verità, sa perché? Perché mi sento, come dire, gliela accennavo questa cosa, ho interrotto, dopo il '91, avendo sofferto tutte queste cose... Dicevo una volta al dottor Di Palma, così, in sede discorsiva, mi permetta di citarlo..."

Pm Di Palma: "Ci mancherebbe, certo".

De Stefano: "Dicevo questo: a volte noi dimentichiamo il contesto in cui ci muovevamo tanti anni fa e da questo prendevamo il discorso della sentenza Contrada, si ricorda?"

Pm Di Palma: "Assolutamente".

De Stefano: "In fondo la sentenza Contrada dice questo, da un punto di vista umano e giuridico: "Beh, tutto sommato, una volta non si percepivano certe cose, certe azioni, certe condotte...". Lo dico sinceramente, non si percepivano come illegali o conducenti ad una finalizzazione alla vita dell'associazione, allo scopo dell'associazione, cioè una volta i rapporti interpersonali con soggetti che potevano essere clienti, potevano essere parenti, comunque c'era sempre un substrato professionale sotto questi rapporti perché erano persone che in fondo si incontravano per ragioni di lavoro, per ragioni di ufficio e anche in carcere. Poi si poteva essere anche... si percepivano come normalità di vita, questo lo percepivano tutti e non c'era nemmeno l'associazione mafiosa, non era contestabile perché è sorta nel 1982. Quindi per tutte le cose antecedenti e poi anche la sentenza Dimitri della Cedu che rileva che fino alla sentenza Dimitri tutto quello... uno non sapeva neanche se costituiva reato".

Pm Di Palma: "Però la domanda era diversa, questa è la premessa..."

De Stefano: "Stavo rispondendo, abbia pazienza. Io dal '91 ho deciso di fare un taglio - come dice il Governo – orizzontale..."

Avv. Tommasini: "Lineare".

De Stefano: "Un taglio lineare e non vado più da nessuna parte. Allora non sono andato più a matrimoni, non sono andato più..., suscitando probabilmente pure, come dire, delle antipatie perché mi rendo conto che un parente poi fa carogna, che non va, sapete come è? Dicono: "Si sentono di essere superiori, dopo tutto quello che ha passato". Insomma, io sono contento così, sono stato sempre con i bambini, cose, nipotini eccetera. Quindi non ho con loro rapporti..."

Pm Di Palma: "Le posso chiederle un'altra cosa? Al contrario - ho capito che lei non è andato e faceva riferimento a queste occasioni particolari, matrimoni e cose... - loro, ossia i cugini, abbiamo detto Giuseppe, abbiamo detto Carmine sono venuti a quelle che erano le sue ricorrenze familiari?"

De Stefano: "No no, assolutamente, perché poi questa cosa si è immediatamente... si creano nelle famiglie delle sorti di... non dico ritorsione, ma diciamo che c'è una reciprocità del gradimento dell'invito".

Pm Di Palma: "Lo intuivo, ma volevo saperlo".

De Stefano: "Infatti, per esempio, mio figlio ha battezzato il bambino e non abbiamo invitato nessuno di loro; ai matrimoni dei miei figli non abbiamo invitato nessuno, sono cose verificabili, ove occorresse. Ma non è questo, credo, il punto in questione, perché i rapporti non sono guastati nel senso che non c'è niente di... come dire orgoglio... No, c'è un rapporto di normale parentela che però..."

Gip: "Con un certo distacco".

De Stefano: "Sì, diciamo una cautela dovuta al fatto che tutto sommato è meglio così".

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