“Quei 400mila euro? A Leonardo Sacco e al prete”

saccoscordio600di Claudio Cordova - Latrocini e ruberie documentati già nel 2005 e proseguiti almeno per una dozzina d'anni, arricchendo sé stessi e la 'ndrangheta. Leonardo Sacco e don Edoardo Scordio, colletto bianco e colletto da prete della potente cosca Arena, che avrebbe messo le mani sul Cara di Isola Capo Rizzuto, lucrando sull'accoglienza dei migranti, attraverso i vertici della Fraternita Misericordia. Sacco e Scordio sono due tra i soggetti principali fermati dalla Dda di Catanzaro, retta da Nicola Gratteri, nell'ambito dell'operazione "Jonny".

Distrazione di fondi, artifizi contabili, truffe, somme di denaro che finiscono ad aziende riferibili al clan. La Misericordia destinava solo una minima parte delle ingenti somme pubbliche che dovevano servire a rendere dignitosa la vita degli immigrati ospiti del Cara di Isola Capo Rizzuto. Il resto finiva ad aziende nelle mani degli Arena: "La Vecchia Locanda" e "Il Quadrifoglio" sono solo i nomi di alcune di esse. Un'indagine che consta di numerose dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, di fondamentali intercettazioni e dell'intreccio dei dati documentali, soprattutto di natura finanziaria per dimostrare la malversazione di denaro pubblico.

--banner--

Tutti i collaboratori hanno riferito che il centro di prima accoglienza era un affare gestito dalla malavita organizzata isolitana per il tramite di Sacco, dei fratelli Giordano, di Angelo Muraca e Antonio Poerio, che, tramite diversi artifizi creavano fondi neri che confluivano in una "bacinella". I collaboratori di Giustizia Giuseppe Vrenna, Domenico Bumbaca, Francesco Oliverio, Vincenzo Marino, Giuseppe Giglio e Santino Mirarchi hanno riferito che, per quanto concerneva la gestione del Centro profughi di S. Anna, la 'ndrangheta isolitana avesse operato non attraverso degli imprenditori prestati alla 'ndrangheta bensì attraverso soggetti della 'ndrangheta prestati all'imprenditoria.

Quale primo impulso ed elemento investigativo, vanno considerate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia in ordine a due imprese che sin dal 2002 hanno fornito pasti ai Centri di accoglienza in territorio di Isola Capo Rizzuto ed in special modo quelli inerenti il CPA, direttamente affidato per gli anni in considerazione dalla Prefettura: ed ossia la Mediterranea Catering, gestita dall'imprenditore Maurizio Fiorino e l'impresa di ristorazione gestita dalla famiglia Giordano e denominata "La Campagnola".

Sul punto, il collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese nel corso dell'interrogatorio reso l'8/11/2016, riferisce di conoscere un ristorante a Isola di Capo Rizzuto, denominato "La Campagnola", gestito dai fratelli Giordano. Cortese racconta di aver saputo, direttamente da Fabrizio Arena, dell'appartenenza dei fratelli Giordano alla cosca Arena. Cortese specifica inoltre che i GIORDANO – sempre citando quale propria fonte Fabrizio Arena – reimpiegavano nell'organizzazione del ristorante capitali del clan di Isola Capo Rizzuto. E di lì a poco, i Giordano gestito la fornitura dei pasti per il campo immigrati, sito nei pressi della località Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto. Ancor prima, nel 2015, il collaboratore Francesco Oliverio racconta di aver partecipato, nel 2006, ad una riunione 'ndranghetistica, avente ad oggetto la gran quantità di danaro che stava affluendo nel territorio di Isola Capo Rizzuto, per gli appalti di servizi della gestione del campo profughi di Sant'Anna, unitamente a Pino Arena "u Cicala", Fiore Gentile, Fabrizio Arena, Pasquale Arena e Paolo Lentini. Il collaboratore specifica che una delle attività interessanti la cosca era il guadagno nella fornitura dei pasti, approntata dagli Arena per il tramite di un ristorante che il dichiarante affermava nominarsi "La Campagnola". Oliverio aggiunge che i Giordano, per come gli aveva detto Pino Arena, erano appartenenti alla consorteria isolitana con la quale avevano legami parentali. In particolare, accenna a parentele intercorrenti fra i Giordano ed il ramo della famiglia denominato "Cicala" ossia con la famiglia di Nicola Arena cl. 37 storico capocosca. Nel 2016, Oliverio fornisce ulteriori indicazioni: i nominativi dei gestori della Campagnola, i quali erano stati dotati dagli isolitani che così aveva loro consentito di avviare il ristorante con il compito di accaparrarsi gli appalti relativi alle forniture dei pasti alle scuole e al campo di S. Anna. Anche il collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio, nel corso dell'interrogatorio reso il 3/5/2016, riferiva della vicinanza dei gestori del ristorante "La Campagnola" agli Arena, specificando ancora come le stanze del soprasedente Hotel (denominato sempre "Hotel La Campagnola") servissero al sodalizio Arena per nascondere latitanti.

Con riferimento, invece, a "La Vecchia Locanda di Poerio Antonio" e circa la figura dello stesso Poerio, vi sono una serie di dichiarazioni di collaboratori, che la Dda di Catanzaro riversa nel lunghissimo provvedimento di fermo, oltre 2000 pagine e 130 capi d'imputazione. Oliverio riferisce conosciuto, a partire dal 2005, altri due ristoratori: Antonio Poerio, detto "pecora zoppa" ed Angelo Muraca, che gestivano il servizio mensa per il campo profughi e che avevano organizzato i rispettivi ristoranti reimpiegando capitali di Pasquale e Pino Arena del ramo "chitarra". Ambedue venivano indicati come dediti all'usura, che finanziavano reimpiegano i capitali acquisiti con il servizio mensa ed avvalendosi della carica di intimidazione degli Arena.. Vi è ancora il contributo di Giglio, in relazione alle vicende della gestione del campo profughi, che è di estremo rilievo: questi infatti, sebbene sia rimasto coinvolto nel processo c.d. "Aemilia", quale imprenditore a disposizione di una cosca comunque rientrante nella sfera di influenza di Nicolino Grande Aracri, si avvicina alla 'ndrangheta accostandosi alla famiglia Arena. Giglio, nel corso dell'interrogatorio reso in data 30 maggio 2016, spiega che, una volta radicatosi in Emilia, stringeva un patto scellerato con gli esponenti della cosca Arena. Il patto prevedeva che avrebbe goduto della protezione degli Arena, specie rispetto ad altre famiglie malavitose, a fronte di un rimanere "a disposizione" e quindi del consegnare danaro alla bisogna. Dopodichè, lo stesso Giglio ha riferito come, in epoca più recente, veniva attratto nella sfera di influenza di Nicolino Grande Aracri che, le indagini "Kyterion" ed "Aemilia", concorrono a dimostrare avere assunto una posizione verticistica, assurgendo a preposto di una entità ndranghetistica svolgente un ruolo di coordinamento per tutte le famiglie di ndrangheta, la cosiddetta "Provincia". Giglio, in più verbali, riferisce dell'intraneità alla cosca Arena di Antonio Poerio, che conosce con lo pseudonimo "Pecora zoppa" e che accosta al prete di Isola di Capo Rizzuto, cioè a Don Edoardo Scordio, tra i fermati. Giuseppe Giglio riconosce la foto e dimostra di conoscere molto bene Poerio, tanto da ricordarlo, ragazzo, allorchè si accompagnava ad altri giovani malavitosi isolitani: e Poerio avrebbe acquisito la gestione di un ristorante, proprio per la gestione del servizio mensa del campo profughi. Insomma, la ristorazione nel Cara di Isola Capo Rizzuto sarebbe stata cosa della cosca Arena e Giglio fornisce una accurata ricognizione dell'ascesa di Poerio quale elemento legato alle cosche isolitane, raccontando della nascita e del suo successivo sviluppo "imprenditoriale". Anche il collaboratore di giustizia Santino Mirarchi si sofferma non solo sugli aspetti criminali legati al servizio catering presso il campo profughi di isola di Capo Rizzuto, ma indica sia i Poerio come elementi intranei all'organizzazione ndranghetista isolitana. Mirarchi riferisce come Paolo Lentini provvedesse ad effettuare diverse riunioni con i – così nominati dal collaboratore - "ristoratori" del gruppo Arena, per il mezzo di veri e propri consulti "riservati" agli affiliati, in cui si decidevano anche le modalità di fornitura dei pasti, nel senso di concretamente decidere quando, ed in che misura, approvvigionare il campo e secondo quali modalità di fatturazione.

Ma, ovviamente, anche Leonardo Sacco è conosciuto dai collaboratori di giustizia come intraneo alla famiglia Arena. E' Oliverio a dichiarare come gli Arena di Isola Capo Rizzuto avessero la gestione del centro profughi S. Anna attraverso l'intercessione di un affiliato, Leonardo Sacco, apputno ("Fiore GENTILE fu molto chiaro nel dirci che la famiglia ARENA controllava il C.A.R.A. di Sant'Anna per il tramite di Leonardo SACCO"). Oliverio aggiungeva la circostanza (assolutamente riscontrata dalla semplice interrogazione dei dati INPS disponibili sull'Ente) che Leonardo Sacco, per il tramite della Misericordia, garantiva alla famiglia Arena moltissimi posti di lavoro cioè faceva lavorare le persone segnalate dagli Arena ("Io stesso ho fatto lavorare alla Misericordia molte persone"). Oliverio si sofferma ancora su Sacco e sulla sua intraneità alla cosca spiegando che Pasquale Arena gli aveva confidato che i "ristoratori" preposti alla gestione del servizio mensa del Centro "gonfiavano i costi" e, "rispetto a quanto sovrafatturato, la metà finiva al clan Arena, la restante metà a SACCO ed al prete". Non solo, il collaboratore indugia sulla "funzionalità" di tale attività illecita allorquando indica come gli Arena potevano gestire e locupletare il guadagno proprio perché "potevano contare su un personaggio che si chiama Leonardo Sacco, che io conoscevo anche con il soprannome di "gabibbo", il quale, a sua volta, era molto legato ad un prete che io non ho mai conosciuto ma del quale mi ha parlato Pasquale Arena ed il di lui fratello Pino.".

Le dichiarazioni di Oliverio troverebbero già una piena conferma nelle intercettazioni e per bocca dello stesso Muraca allorquando lo stesso veniva monitorato a colloquio con Antonio Frustaglia all'inizio del 2016. E' l'indagato stesso a fornire traccia di questa spartizione che vede direttamente coinvolto Sacco e Scordio allorché esclama (Muraca Angelo: no, come mi chiamano gli dico... quei quattrocentomila euro dove li hai messi? A Leonardo SACCO e al PRETE (Don Edoardo SCORDIO, ndr). Se li dovevano divedere loro. Glieli ho presi liquidi e glieli ho dati a loro. Questo glielo posso dire tranquillo".

Ancora un altro collaboratore, Vincenzo Marino, riferisce che la cosca Arena aveva la gestione del centro profughi per come aveva saputo da Paolo Lentini, il quale gli aveva confidato che il "controllo dell'appalto" era assicurato. E, ancora, anche Pino Vrenna, riferisce dell'intraneità di Sacco alla famiglia Arena per come gli aveva detto Saverio Friio: "il quale mi venne a trovare a Crotone, unitamente ad uno dei figli di Rocco Arena". Illuminanti, ancora, le dichiarazioni di Giglio, che racconta addirittura come la mente pensante dell'affare fosse non solo Leonardo Sacco ma un soggetto denominato "il prete" che il collaboratore addirittura indicava come il padre biologico di Sacco e che, dagli atti del procedimento si identifica in Don Eduardo Scordio: "Questo affare era stato proposto al Pino ed al Pasquale ARENA da parte del parroco di Isola di Capo Rizzuto. Quando c'è stata la necessità di partecipare ad una gara per organizzare i pasti, è stata preposta una persona che Pasquale Riillo mi ha indicato come Leonardo figlio del prete". Giglio specifica la propria fonte di conoscenza riferendo che "Pasquale Riillo, in relazione a questa persona, mi diceva che non era vero quanto si diceva in giro e cioè che era persona che il prete aveva cresciuto, ma diceva che era effettivamente figlio del parroco di Isola". Mirarchi, invece, riconosce, tramite la visione di un fascicolo fotografico, Sacco come affiliato al clan Arena e racconta che, nel corso di un incontro gli aveva riferito che la gestione dei migranti era un business per la "loro" organizzazione criminale. Sempre Mirarchi riferisce altresì che il denaro della cosca isolitana era stato posto nelle mani dello stesso Sacco in quanto era ritenuto un valido "broker" finanziario.

Del ruolo di don Scordio quale gerente della Misericordia secondo gli interessi della cosca Arena, riferiscono quindi diversi collaboratori. Giglio ne accosta il nome a quello di "Pecora Zoppa". Addirittura l'affare relativo alla gestione del campo profughi era stato suggerito ai fratelli Pino e Pasquale Arena proprio dal prete, che aveva fatto partecipare alla gara per la gestione del centro profughi tale Leonardo. Lo stesso Pasquale ventilava l'ipotesi che Sacco fosse addirittura figlio naturale di Don Edoardo. Vincenzo Marino riconosce in foto il prete don Edoardo Scordio, additandolo come colui il quale gestiva il campo profughi, quale intraneo alla famiglia Arena, per conto della quale addirittura custodiva stupefacente proveniente dalla cosca Aquino di Marina di Gioiosa Ionica. Mirarchi, invece avrebbe personalmente verificato l'ingerenza di don Edoardo nella gestione di Misericordia, da cui proveniva il bonifico in pagamento per i ristoratori, e la vicinanza di don Edoardo alla cosca Arena per il tramite di Paolo Lentini che, nel 2015, era il capo libero. Mirarchiun ulteriore accadimento: nell'autunno del 2015, Paolo Lentini aveva bisogno di 20 mila euro per pagare spese legali, per cui lo accompagnava da Rosario Lentini il quale, a sua volta, diceva che il danaro poteva essere fornito da don Edoardo Scordio. Immediatamente dopo, raggiungevano il sacerdote, nei pressi di alcuni campi da calcio, da lì ad un'ora, Mirarchi avrebbe visto don Edoardo consegnare a Rosario Lentini una busta contenente ventimila euro. Di particolare rilievo sono i commenti in ordine alla figura di don Edoardo che, Mirarchi, riferisce, per averli appreso da Paolo Lentini, che qualificava don Edoardo stesso come: "un uomo nostro", che controllava gli appalti per il campo profughi e che doveva rimanere assolutamente riservato. Anzi, Mirarchi ricorda che Paolo Lentini li esortava a parlare male del prete negli abitacoli delle autovetture, in modo tale da sviare eventuali indagini in corso.