Muore il pentito Fonti. Parlò della "nave dei veleni" di Cetraro

navideivelenidi Claudio Cordova - L'incipit più banale sarebbe "porta con sé molti segreti". In realtà, secondo molti, Francesco Fonti, il collaboratore di giustizia morto negli scorsi giorni, di segreti non ne aveva. A sessant'anni si è arreso a una malattia che già da qualche anno lo affliggeva. E' lui l'uomo che, verso la fine del 2009, ritorna alla ribalta, allorquando verranno "ripescate" alcune sue dichiarazioni del 2006. Fino al 1994, anno in cui decide di collaborare con la giustizia, Fonti è un affiliato alle cosche della Locride: entrato da picciotto e uscito con la "dote" di "santista" dalla famiglia Romeo di San Luca. Una volta passato dalla parte della giustizia, Fonti parla delle strutture familistiche della 'ndrangheta, della droga, delle armi. Le sue dichiarazioni sono utili, perché riscontrate, in numerosi procedimenti. Non parla invece di traffici di rifiuti radioattivi a bordo di navi. Dopo gli anni 2000, invece, inizia a scrivere e ad attribuirsi diversi presunti reati di natura ambientale: Francesco Fonti inizia a parlare di traffici di rifiuti tossici e radioattivi. Fonti tira in ballo altre tre persone: Giuseppe Scipio Marchetti, Delfino Lucieri e Franco Muto, boss di Cetraro, detto "il re del pesce". Proprio quando Fonti inizia a paventare presunti coinvolgimenti da parte della 'ndrangheta il fascicolo, prima sulla scrivania del Procuratore di Paola, Bruno Giordano, passa alla Dda di Catanzaro.

Il collaboratore si autoaccusa dell'affondamento di alcune navi contenenti scorie radioattive e quando le sue dichiarazioni, riguardanti un presunto affondamento al largo di Cetraro, vengono riportate all'attenzione dell'opinione pubblica, nel piccolo centro del Tirreno cosentino scoppia il panico. Nelle settimane in cui impazza il caso Cunsky, in cui vengono effettuate dei rilievi, anche grazie alla tenacia dell'allora assessore regionale all'ambiente, il biologo marino Silvio Greco, le vendite di pesce a Cetraro (che basa gran parte della sua economia sul mercato ittico) diminuiscono dell'80%, con diversi commercianti costretti a chiudere le proprie attività.

Le indagini resteranno aperte per diversi mesi. Poi, però, basteranno dieci pagine alla Procura della Repubblica di Catanzaro per chiudere il caso Cetraro, riguardante il presunto affondamento della nave Cunsky, carica, secondo quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia, di scorie radioattive, affondate dalla 'ndrangheta per conto di soggetti occulti, che si muoverebbero su livelli nazionali e non solo. La firma in calce alla richiesta d'archiviazione, avanzata dal Gip, è del Procuratore Capo, Vincenzo Antonio Lombardo, e dell'Aggiunto Giuseppe Borrelli.

La chiusura del caso, almeno secondo la Procura di Catanzaro, arriva, dunque a distanza di un anno e mezzo dai fatti, che si incastrano tra l'estate e l'autunno del 2009:"Giova puntualizzare – è scritto nella richiesta d'archiviazione – che il presente fascicolo non concerne il complesso delle rivelazioni di Fonti, ma unicamente quel segmento di esse costituito dall'affondamento della nave nel mare di Cetraro". Insomma, la Procura di Catanzaro non ha la presunzione di negare, in toto, il fenomeno delle "navi dei veleni", ma si, pronuncia, sulla base degli elementi valutati negli ultimi mesi, sul caso Cetraro: "Oggetto delle investigazioni – scrivono ancora Lombardo e Borrelli – non è stato il fenomeno dell'affondamento di navi contenenti rifiuti nei mari della Calabria, attribuibile alle organizzazioni mafiose calabresi, e sul quale ebbe già a svolgere investigazioni, poi archiviate, la Procura della Repubblica di Reggio Calabria, ma l'affondamento di un'unica nave (o al massimo delle tre ormeggiate nel mare di Cetraro) avvenuto, asseritamente, ad opera degli indagati".

La Procura di Catanzaro parla di tre navi, perché Fonti nel proprio memoriale, oltre a menzionare la Cunsky, cita anche altre due imbarcazioni, la Yvonne-A e la Voriais Sporadis. Secondo le indagini effettuate dai magistrati catanzaresi, le tre navi, che, peraltro, negli anni, cambiarono diverse denominazioni, avrebbero avuto un destino del tutto diverso. Sul tema Fonti, secondo i magistrati catanzaresi dimostra "la sua totale incapacità di rendere in proposito dichiarazioni caratterizzate da un minimo di credibilità e precisione".

Dopo quei mesi intensi, che scateneranno su Cetraro un'attenzione mediatica inaudita, anche con l'interessamento dell'allora ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, le indagini sulle navi dei veleni e sulle scorie radioattive (a parte quelle portate avanti, con tenacia, dal Procuratore di Paola, Bruno Giordano) cadono nel dimenticatoio.

Fonti aveva raccontato di essersi rivolto alla famiglia Muto, accompagnato da Marchetti Scipio, nel 1993 per avere un aiuto logistico al fine di affondare imbarcazioni cariche di rifiuti tossici o radioattivi affidati alla famiglia Romeo di San Luca da alcune società estere (successivamente il collaboratore, però, tirerà in ballo la famiglia Messina, proprietaria di un'altra nave "sospetta", la Rosso). Fonti racconta di aver fatto saltare in aria le navi, azionando un telecomando da un motoscafo posizionato a 300 metri dall'imbarcazione abbandonata in mezzo al mare: tutto sfruttando l'oscurità, già dal pomeriggio incombente, del mese di gennaio. In cambio dell'appoggio e dell'aiuto di Lucieri, uomo legato ai Muto, la famiglia di Cetraro avrebbe ricevuto la somma di circa duecento milioni di lire.

Tutte circostanze che, secondo la Procura di Catanzaro, sono o false o non riscontrabili e che, quindi, non possono che portare alla richiesta di archiviazione. Proprio nell'ultima delle dieci pagine redatte, i pm catanzaresi si soffermano sulla presunta presenza di tracce di radioattività nel mare di Cetraro. Le lievi tracce di Cesio 137, lo stesso elemento prodotto dall'esplosione di Chernobyl del 1986. La presenza di tale radionuclide, però, secondo l'opinione "è di sovente rilevata". Anche i metalli, rinvenuti in alcuni prodotti ittici, "non sono superiori ai limiti previsti dalla direttiva 2000/60/CE emanata dal Parlamento Europeo".

Nonostante, con il passare del tempo, la sua figura perda, radicalmente, attendibilità, Fonti continuerà a sgolarsi, secondo qualcuno per ottenere maggiori benefici nel programma di protezione.

In un'intervista al Tg1, Fonti rivelò alcuni particolari al giornalista Riccardo Giacoia: "C'era dietro un flusso di denaro inimmaginabile e non basta una finanziaria per spiegare i soldi che ci sono dietro questi traffici. Ottocento milioni di lire per un solo traffico un traffico più redditizio di quello della droga". Un traffico poco rischioso, stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia: "Nei porti c'era sempre una copertura dei servizi segreti con il guadagno della fetta di percentuale che toccava a loro".