di Alessia Candito - È la radiografia spietata di due locali di ndrangheta in piena attività, perfettamente inseriti nel contesto economico e politico milanese e lombardo, quella che viene fuori dall'inchiesta della Dda di Milano che ha di fatto smantellato i presidi delle ndrine a Giussano e Seregno. Lì, nel profondo hinterland milanese che già sconfina nella Brianza, avevano imposto la propria legge le trentasette persone – undici delle quali già in carcere - colpite oggi da un'ordinanza di custodia cautelare firmata dalle pm Alessandra Dolci e Cecilia Vassena, che per l'ennesima volta ha provato che la pervasiva e asfissiante presenza della ndrangheta al nord. Un'inchiesta – si legge nell'ordinanza – che "costituisce il risvolto cautelare della prosecuzione dell'indagine, in codice intesa Infinito", l'operazione scattata in coordinamento con la Dda di Reggio Calabria che nel luglio 2010 ha portato all'arresto di oltre 300 persone fra la Calabria e la Lombardia.
Un'indagine che all'epoca – quanto meno per quanto riguarda la costola milanese – aveva tratto linfa dalle indagini sull'omicidio di Carmelo Novella, il boss calabrese d'origine, ma che a Milano aveva costruito la sua fortuna e che sulla base di questa ambiva ad una maggiore indipendenza dalla casa madre calabrese. Ambizioni che la Provincia reggina – l'organo di massimo governo delle ndrine calabresi – ha deciso di stroncare sul nascere: i1 14 luglio 2008, due uomini a volto scoperto entravano nel bar "Reduci e combattenti" di San Vittore Olona e scaricavano su Nuzzo Novella una valanga di colpi.
E sarà proprio l'uomo scelto dai Gallace – dominus incontrastati di Guardavalle in Calabria – per organizzare la punizione e il "licenziamento" di Novella, a rivelare ai magistrati i segreti più attuali delle ndrine al Nord. Ex promessa del calcio italiano divenuto uomo di fiducia dei boss Andrea Ruga e Vincenzo Gallace, killer affidabile e capolocale di Giussano, Antonino Belnome nel luglio 2010 è solo uno dei 159 arrestati nell'ambito dell'operazione Infinito. Pochi mesi dopo però, a ridosso di Natale, il boss comincia a parlare, a raccontare. "Dichiarazioni - si legge nelle carte dell'inchiesta Ulisse - che hanno da un lato consentito di rielaborare una grande mole di dati già raccolti (conversazioni telefoniche ed ambientali, tabulati, esiti di servizi di osservazione) che avevano già integrato ipotesi investigative non ancora coltivate e, dall'altro, di trovare amplissimi riscontri".
È stata questa la chiave che ha permesso alla Dda milanese di decapitare le ndrine di Giussano e Seregno, locali brianzoli incistati nel cuore ricco e produttivo della Lombardia. E forse anche per questo dalla storia travagliata, segnata dal sangue fin dal 1989, quando un agguato metteva fine al regno dell'allora capo locale, Cosimo Priolo. A succedergli, gli Stagno – Cristello, famiglie tradizionali della Calabria tirrenica, cui i matrimoni che nel tempo le hanno federate, non sono bastati per evitare l'esplodere delle rivalità e dell'inevitabile conflitto. È in questo contesto che la folgorante carriera criminale di Antonio Belnome, cresciuto all'ombra del boss Rocco Cristello, prende il volo. Poco più di un anno dopo l'esplosione del conflitto a Giussano, all'allora boss emergente veniva affidato il compito di "riattivare" il locale di Giussano, dopo un temporaneo periodo di "buonordine", una sorta di gestione "di fatto" non ufficializzata e non riconosciuta dalle altre ndrine.
Una mossa decisa in Calabria e messa in atto in Lombardia, con buona pace delle velleità di Novella, all'epoca uomo di peso della ndrangheta lombarda, che non poteva vedere di buon occhio l'insediamento di un locale diretta espressione dei clan di Guardavalle con cui da tempo era ai ferri corti. A scegliere l'ex stellina del calcio – cui un incidente ha stroncato la carriera per consegnarlo alla ndrangheta - erano stati infatti i boss dell'Alto Jonio calabrese, Andrea Ruga e Vincenzo Gallace. E da capo, Belnome è stato in grado di identificare in modo dettagliato, di fronte ai magistrati, picciotti, capi e gregari della sua locale. E non solo. "Sia con riferimento alla locale di Giussano che a quella di Seregno - la cui composizione era da lui ben conosciuta proprio in ragione dello stretto rapporto esistente tra le due locali - si legge ancora nell'ordinanza – e prima ancora, tra Belnome stesso e Rocco Cristello defunto, che faceva si che i due gruppi condividessero armi, affari illeciti e partecipassero agli stessi summit". Due realtà cresciute e vissute in simbiosi, che per anni hanno messo a ferro e fuoco quella fetta di Lombardia.
Dalla concessionaria auto Selagip, cui è stato imposto il pagamento di 500mila euro dopo un'escalation di minacce, attentati incendiari ecolpi di pistola contro le vetrine, al singolo patron dell'immobiliare e proprietario di un bar, obbligato a versare una tassa di 80mila euro, passando per il titolare di una sala giochi costretto a rinunciare a un credito di 70mila euro, o per imprenditori edili come , Stefano Sironi, costretto a riconoscere interessi esorbitanti sulle somme prestate dalla cosca, non c'era attività imprenditoriale a Giussano e dintorni che sfuggisse agli appetiti delle ndrine. Attività lucrose cui i due clan accompagnavano traffici di droga e di armi, tutti gestiti da uomini di comprovata fiducia. Uomini di cui Belnome ha saputo indicare senza tentennamenti crimini,nomi e volti. Comequello de i fratelli Rocco, Francesco e Umberto Cristello, divenuti dominus del locale di Seregno, o quello Ulisse Panetta, già affiliato alle ndrine di Guardavalle, trasferito in Lombardia dopo un lungo periodo di detenzione per l'omicidio del cognato, il carabiniere Ilario Marziano, delitto per il quale era stato condannato a 20 anni di prigione, e divenuto rapidamente il numero due del clan di Giussano. Per gli inquirenti, Panetta è il "segno di continuità della 'ndrangheta: già "contabile"della locale di Giussano, dopo gli arresti dell'operazione "Infinito" è divenuto "capo società". Ma soprattutto è lo zio di quel Michael Panajia, che nel gennaio 2012 diventerà il terzo grande pentito della ndrangheta milanese e confermerà in pieno le dichiarazioni di Belnome.
Personaggio assolutamente sconosciuto agli inquirenti prima che l'ex padrino di Giussano ne rivelasse il ruolo nell'omicidio Novella – era lui il secondo killer – Panajia aveva sempre cercato di tenere un basso profilo, tanto da non essere neanche lambito dall'indagine Infinito. Amante della vita ritirata, scrupolosamente attento a non frequentare quasi mai gli altri affiliati al di fuori delle periodiche riunioni di 'ndrangheta, di lui gli inquirenti sottolineano il comportamento tanto prudente da sfiorare la paranoia. " Non frequentava locali notturni (a differenza di Belnome, dei Cristello, Formica ed altri) ed era particolarmente accorto, tanto che utilizzava raramente il telefono preferendo incontrare direttamente gli altri appartenenti alla locale", annotano i pm nell'ordinanza. "Gli incontri con Belnome – si legge ancora - avvenivano quasi sempre senza preavviso e costui, quando aveva necessità di parlare con lui, lo andava a trovare all'ora di pranzo in un bar vicino al posto in cui Panajia lavorava, in quanto conosceva bene i suoi orari e le sue abitudini". Arrestato nell'aprile 2011 proprio sulla scorta delle dichiarazioni dell'ex boss di Giussano, Panajia ci mette poco più di sei mesi per iniziare a collaborare con i magistrati. E le sue rivelazioni non faranno che confermare e blindare il quadro già tracciato dal Belnome, cui era succeduto alla guida della locale. Una collaborazione che per gli inquirenti ha il sapore di una vittoria. "Il fatto che un altro imputato, dopo Antonino Belnome e Saverio Cappello, entrambi della 'locale' di Giussano, si arrenda allo Stato – ha affermato oggi il procuratore Boccassini – è il dato che ci dà più soddisfazione. Gli imputati, in questi casi, si trovano di fronte a una scelta. Le ragioni per le quali fanno questa scelta non sono importanti, il nostro dovere è affrontare con spirito laico chi decide di fare un contratto con lo Stato e, per l'ideologia della Procura milanese, ha molti doveri e pochi diritti. All'inizio – ha aggiunto il pm – non eravamo convinti della sua collaborazione, parlava di persone con cui aveva avuto rapporti di amicizie nel passato, poi le sue dichiarazioni sono state riscontrate".
Così come hanno trovato riscontro le dichiarazioni di Saverio Cappello, un altro ex affiliato alla ndrina di Giussano che, poco dopo il suo arresto, ha deciso di collaborare con i pm. Uomo della famiglia emergente lametina dei Giampà, Cappello che nel corso delle sue lunghe frequentazioni lombarde si era nel tempo legato a doppio filo agli Stagno. Una posizione che rende le sue rivelazioni ritenute preziosissime dai magistrati, cui ha permesso non solo di fare luce sullo scontro che per anni ha spezzato in due la locale di Giussano, ma anche di tessere a ritroso le fila dei rapporti che legano le ndrine lombarde con la casa madre calabrese. Una pista – a quanto trapela – ancora tutta da battere.