E' arrivata la sentenza sui bar e ristoranti gestiti dalla 'Ndrangheta a Roma. I giudici della VII sezione penale della Capitale hanno condannato 14 imputati accusati a vario titolo di trasferimento fraudolento di beni, ed il collegio ha accolto in sostanza le richieste del pm Francesco Minisci riconoscendo la penale responsabilità per il presunto capo Vincenzo Alvaro, che dovrà scontare la pena maggiore, condannandolo a 7 anni; e per Damiano Villari, comminando per lui una pena di 4 anni e sei mesi. Ai maggiori imputati era contestata anche l'aggravante del legame mafioso. La vicenda nel suo complesso è quella che riguarda l'assetto del noto "Cafè de Paris" di via Veneto.
Sono 14 in tutto le condanne, su 24 sollecitate dalla procura, inflitte agli esponenti della cosca Alvaro accusati di aver messo le mani su decine di locali della capitale (soprattutto bar e ristoranti) e averne affidato la gestione a propri familiari o a soggetti di particolare fiducia. A questi sarebbero stati
intestati i beni pure "in assenza di disponibilità economica, di specifica competenza professionale o di regolare documentazione fiscale".
Anche la moglie di Vincenzo Alvaro, la signora Grazia Palamara, è stata condannata dai giudici della VII sezione del tribunale di Roma. La donna ha avuto 4 anni di reclusione. Il nipote del presunto capo del gruppo è stato invece assolto. I giudici hanno fatto cadere alcune accuse, per intervenuta prescrizione, per degli imputati minori.
Il pm Minisci, in sede di requisitoria, aveva spiegato che "il contesto in cui gli imputati hanno compiuto il reato era di elevata mafiosità". Rispetto alla gestione del 'Cafè de Paris viene chiamato in causa proprio Villari. Lui, un barbiere originario di Santo Stefano di Aspromonte - come aveva spiegato il pubbblico ministero - e che nella sua vita ha fatto anche il conducente di autoambulanze avrebbe preparato il terreno per l'arrivo a Roma di Alvaro "che ottenne un lavoro come aiuto cuoco in un locale intestato alla moglie di Villari".
Vincenzo Alvaro, figlio del capoclan Nicola,aveva ottenuto l'obbligo di soggiorno nella Capitale da sorvegliato speciale. Anche coloro che gli sarebbero stati vicino - sempre secondo l'accusa - sono stati condannati: Vincenzo Adami (2 anni); Francesco Almpi (2 anni e 4 mesi); Antonio Lupoi (2 anni); Giuseppe Lupoi (3 anni); Maria Concetta Palamara (2 anni).
Uno dei difensori, l'avvocato Fabrizio Gallo, ha spiegato: "Quella di oggi era una sentenza già scritta dopo che un magistrato rappresentante dell'accusa aveva pubblicato un libro sulla vicenda. Sono comunque parzialmente soddisfatto perché Nicola Ascrizi, il nipote di Vincenzo Alvaro, è stato completamente assolto".