di Francesca Gabriele - L' abbiamo "inseguita" per alcuni giorni prima di avere l'intervista. Impegnatissima nel suo ruolo di mamma, moglie e avvocato, donna del Savuto, area a Sud di Cosenza, oggi, Anna Falcone vive a Roma, ma non ha mai dimenticato la sua terra. Firmataria tra i 140 uomini e donne di questa regione che chiedono attraverso un appello di riportare i calabresi a votare e non solo. ? "Iniziamo – ha ribadito più volte l'avvocato Falcone - a rivendicare il nostro diritto a una campagna elettorale vera e a un voto da esercitarsi in piena sicurezza".
È gratificante la gente comune che la ricorda con stima e affetto. La gente che lavora, che fa sacrifici e che in momenti così bui per la nostra regione l'hanno proposta prima come commissario alla Sanità e poi come candidato a governatore insieme ad un'altra donna del Cosentino e di Calabria, il viceprefetto, Anna Aurora Colosimo...
Ne sono grata e onorata. Ed è bello che siano proprio queste persone a fare i nomi di due donne. Anche se da lontano, continuo a lavorare per la mia regione, a prescindere dai ruoli, ma sarei felice di veder riconosciuto, anche ai calabresi, il diritto di autodeterminarsi, soprattutto sulle scelte strategiche per il futuro della propria terra.
Negli anni passati abbiamo fatto tante interviste. Lei era una delle protagoniste della scena politica in Calabria. È stata tanto contrastata all'interno del centrosinistra. Perché Anna Falcone intimoriva i padrini, i soliti, della politica regionale?
Non ho mai ambito ad essere protagonista, ma ad essere utile: per me la politica è e rimane un servizio, un mezzo e non un fine. Come lo è stata per molti della mia generazione che si sono spesi, in varie battaglie civili e politiche, con grande passione e libertà. La più pericolosa fra tutte, quella di chiedere con forza, nei partiti di allora, un radicale rinnovamento di metodi e rappresentanza: basta con i signori delle tessere, i congressi pilotati, il potere politico imposto con il ricatto sul bisogno, il voto di scambio e lo stravolgimento delle più basilari regole democratiche. Chiedevamo semplicemente che la politica, la possibilità di partecipare e di decidere, tornasse nelle mani dei cittadini. Così non è stato, neppure nel centrosinistra, che doveva essere il motore di una stagione di riforme per il Sud. Poche luci (isolate) e troppe ombre (molto ben organizzate). E, sullo sfondo, il "patto scellerato" fra classi dirigenti locali e leader nazionali: io ti lascio fare ciò che vuoi a casa tua e tu mi legittimi nelle sedi istituzionali. Ma guai a pretendere di svolgere un ruolo nazionale! Guai a far arrivare in Parlamento persone libere, competenti e con la schiena dritta che dessero voce autonoma e autorevole alle ragioni (e alle Regioni!) del Sud. In questo corto circuito il Mezzogiorno e la Calabria, già scomparsi da tempo dall'agenda politica nazionale, sono scivolati nell'invisibilità politica. Purtroppo le cose non sono andate diversamente con le rappresentanze regionali. E molti di noi che avevamo animato quella stagione di proteste e di rinascita democratica sono stati costretti ad andare via, non solo per la chiusura degli spazi politici, ma per l'impossibilità di poter lavorare e vivere dignitosamente nella nostra terra. Se ti ribelli, il primo punto su cui ti colpiscono è quello. Quanto alla Calabria, la situazione è poi precipitata con la pessima attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione, che ha definitivamente pregiudicato la possibilità, per i cittadini meridionali e calabresi, di vedersi riconosciuti i diritti più essenziali a livelli anche solo lontanamente paragonabili alle regioni del centro-nord. Gli effetti di questo scempio politico e democratico, da sempre praticato a destra, inaccettabile a Sinistra, sono diventati, con la pandemia, ancor più devastanti: i calabresi si sono trovati rinchiusi in una trappola per topi da cui era impossibile fuggire e in cui era impossibile curarsi. È il punto di rottura che alcuni continuano a non voler vedere. Per noi, cittadini comuni, è il prezzo che non possiamo, non vogliamo più pagare.
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Lei vive a Roma, ma segue attentamente la cronaca politica di questa regione. I calabresi sono sempre più lontani dai rappresentanti della politica. Alle ultime due competizioni per il rinnovo del Consiglio regionale il circa sessanta per cento degli aventi diritto è rimasto a casa. Eppure non se ne curano...
Temo che, al contrario, qualcuno se ne rallegri: è un effetto voluto, non un accidente. Non solo i calabresi che non votano, sono i candidati, troppo spesso, a non essere rappresentativi e, quindi, "votabili". Ma se il gioco della politica politicante è sempre e solo quello di impallinare sul nascere i "talenti" e premiare gli "obbedienti" (ovvero i meno capaci e "pericolosi"), l'esito non può che essere questo. Peccato che l'astensionismo non produca di per sé effetti positivi. Anzi, soprattutto alle nostre latitudini, rischia di essere un punto di non ritorno, se non si innesca immediatamente una reazione, e non solo di protesta, ma di proposta. Abbiamo bisogno di donne e uomini liberi che abbiamo il coraggio di alzare la voce, dentro e fuori la Calabria e, nel contempo, di costruire un nuovo modello di sviluppo e nuove opportunità di vita e di lavoro per il Sud. Ma – attenzione – non uno, ma tanti, capaci di immaginare e costruire, insieme, una primavera di diritti e opportunità. Mi permetto di usare questa parola non per inutile retorica, ma con un chiaro riferimento alle prossime elezioni regionali, che o saranno spostate in primavera o saranno un imbroglio: come si fa a mandare una regione al voto in piena pandemia? Iniziamo a rivendicare il nostro diritto a una campagna elettorale vera e a un voto da esercitarsi in piena sicurezza. Oppure si dica chiaramente che l'astensione la si vuole favorire, non arginare. Ho letto dell'appello dei sindaci a Spirlì: confido ne seguano altri alle istituzioni nazionali.
Quello che più sconforta è che ancora litigano per incarichi e poltrone, nel mentre abbiamo gli ospedali da campo e nel mentre durante la pandemia si è pensato al turismo. I giovani sempre più numerosi vanno via. Da dove potrebbe ricominciare la Calabria e soprattutto con quale tipologia di candidati?
Ha messo il dito nella piaga: sono questi atteggiamenti che più di ogni altro reputo "antipolitici" e irresponsabili, proprio perché minano alla base la credibilità della politica (e non solo nei partiti) e delle istituzioni. Ma questo non è un problema solo calabrese, ma nazionale. Qui da noi è solo tutto più evidente e più drammatico. Ormai, definitivamente intollerabile. Eppure è proprio da queste situazioni che si possono innescare le reazioni di rinascita di una popolazione e di un territorio. Ma deve partire subito: nessuna regione, nessun tessuto democratico può sopravvivere alla continua emorragia di giovani e di talenti, alla costante frustrazione di chi vale, pensa, agisce, ma non si piega a cordate e gruppi di potere. È la ferita più grave che è stata inferta alle nostre famiglie, alla dignità e alla ricchezza umana della nostra regione. La prima su cui intervenire per invertire la rotta. Le idee camminano sulle gambe delle persone e il primo punto di ogni programma serio dovrebbe essere quello di mettere le donne e gli uomini di Calabria nelle condizioni di poter lavorare per la propria terra. Io credo fermamente nella possibilità di costruire anche nella nostra regione le condizioni di una rinascita sociale, politica, culturale, economica. L'occasione offerta dal Recovery fund è storica, nessuna Regione come la Calabria si presta ad essere il luogo per eccellenza di un "green new deal" a forte vocazione sociale, a partire dal rilancio degli investimenti per la riconversione energetica, il lavoro, l'inclusione sociale e la sanità pubblica. Ma bisogna stare attenti. Guai a non vigilare su quanto arriverà al Sud, su come e da chi verranno gestiti i fondi: non sono ammesse improvvisazioni, dilettantismo e opacità. Per tutti noi è una sfida esiziale monitorarne la gestione come cittadini e scegliere chi dovrà rappresentarci in questo passaggio delicatissimo. Lo è ancora di più per il centrosinistra, che non può permettersi mancare questo appuntamento storico per vecchi vizi ed egoismi personali: mai come adesso, o si cambia o si perde. Già alle scorse elezioni regionali, si è iniziato un percorso in tal senso, ma non è stato sufficiente. Non basta il candidato Presidente: senza un vero rinnovamento di liste, candidati e linea politica, volta a includere le tante energie che esprimono i territori, le esperienze civiche e i movimenti – anche oltre le attuali forze di governo – il risultato sarà quello di tradire le legittime aspettative dell'elettorato calabrese e frustrare gli sforzi che in tanti stanno facendo per costruire uno schieramento tanto unitario quanto innovativo e in discontinuità con il passato. I due elementi sono coessenziali. Inutile far finta di niente e cercare di menare il can per l'aia a suon di comunicati stampa: chi non si impegni su entrambi i punti si assumerà la responsabilità di una rottura tanto inevitabile, quanto da scongiurare ad ogni costo, finché è possibile far ragionare le parti in causa. Nessuno da solo è autosufficiente e non ci sono rendite di posizione da far valere. Anzi, io inizierei con un appello a tutte le forze politiche del centrosinistra: iniziamo a fare a meno di chi preferisce giocare a perdere, pur di mantenere le proprie posizioni di potere, piuttosto che favorire, per il bene della sua terra, il rinnovamento di volti, metodi e prospettiva che tantissimi giustamente chiedono. Iniziamo a discutere di come vincere, di come interpretare lo spirito dei tempi, di come dare ai calabresi una rappresentanza di cui fidarsi e di cui andare orgogliosi. Senza paura. Perché la paura, ormai è fuori, e a noi, sopravvivere (se ci va bene!) non basta più. È la democrazia, bellezza! E noi non vogliamo, non possiamo più farne a meno.
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