La tragedia di “Elena”, firmata dal regista calabrese Nat J. Felice, debutta a Segesta

Debutto nazionale domani sera e mercoledì 31 luglio, alle ore 19.45, nel teatro antico Segesta dell'opera "Elena" di Euripide adattamento del regista calabre-se Nat. J. Filice. Lo spettacolo è inserito nel cartellone siciliano del Calatafimi Se-gesta Festival Dionisiache 2019.
In scena Marco Silani, Benedetta Nicoletti, Mario Massaro, Andrea Puglisi, Ales-sandra Chiarello e Mirko Iaquinta. Aiuto regia Miriam Guine, musiche originali di Susanna Dibona e Salvatore Sangiovanni, realizzazione scenografica Gino Vene-ruso, costumi Essa Kuyateh, eleborazioni video Valerio Massimo Pilke.
"A risalire la stretta più arcaica del mito si fa presto a smarrirsi- speiga nelle sue note di regia Nat Filice - Perdipiù, la visione diacronica dell'uomo contemporaneo, la sua idea di sviluppo, di scienza, di progresso, di 'evoluzione', ci induce a consi-derare a priori il Mito come sintagma immaginale, articolato in componenti e ele-menti concatenati esclusivamente dalle leggi della causalità e della propedeuticità. Eppure, una visione antinomica, rispetto al setting generalistico e paternalistico della cultura attualmente dominante, è ancora possibile. Il problema fondamentale, comunque, resta il prosciugamento semantico e i restringimenti interpretativi che fanno terra bruciata attorno ai segni e ai simboli, al fine di ricondurli a significati noti e certi, già acquisiti, non pericolosi. E così, di quadro in quadro, di opera in opera, di teatro in teatro, la questione si allarga, cristallizzandosi in varie forme e costituendo una sorta di grande museo immaginale ed emozionale. Secondo questa via, il Mito ha insegnato e insegna all'uomo a pensare, a distinguere e a concepire idee complesse: come in un gioco di specchi multidimensionali. E allora perché l'Elena? Forse per abbeverarsi, una volta di più, alla filosofia e alla teologia euri-pidee in quanto capaci di insegnare o re-insegnare all'uomo contemporaneo i va-lori fondamentali della vita? No, grazie! Forse perché una tragedia che non è una tragedia può costituire una sfida stimolante per teatranti "senza nome" ansiosi di sperimentare? No, grazie! Ciò che ci interessa, invece, è l'aspetto più squisitamente teoretico della tragedia euripidea – in altre parole, non il 'messaggio', ma la cru-ciale ri-creazione del tempo. Il Tempo, appunto, è il riferimento principale della no-stra lettura, in quanto capace di regolare, sregolare, organizzare e disordinare eventi e dimensioni. L'idea non banale del Tempo, quindi, letto come organismo trans-teatrale e performante, lambisce, urta, permea e scolpisce gli apparati e le architetture previsti in questo allestimento. La scena: col suo corpo frontale, bidi-mensionale e pubblico, e quello prospettico, tridimensionale e privato, che guida lo sguardo lungo la direzione della spada di Aiace; la musica: con le sue dinamiche apparentemente monodiche, che ridistribuisce nel tempo e nello spazio i cristalli impazziti della rottura del Mito. Così Elena di Euripide si fa contemporanea, come ingrandimento di quella stessa rottura della linearità del mito che oggi ancora possiamo chiamare tragedia".

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