“Matteo Messina Denaro era in Calabria”

messinadenaromatteo nuova"Era in Calabria ed è tornato". Matteo Messina Denaro avrebbe trascorso un periodo della latitanza in Calabria. Lo rivela, non sapendo di essere intercettato, uno degli arrestati nel blitz disposto dalla Dda di Palermo che ha fermato 22 tra boss e fiancheggiatori del capomafia ricercato.

Nelle intercettazioni viene anche detto che Messina Denaro, detto "u siccu", avrebbe "incontrato cristiani (persone,ndr)

Durante la conversazione i due commentano il contenuto di un pizzino in cui ci sarebbero state scritte le decisioni del latitante su alcuni temi. Il biglietto non è stato trovato dagli inquirenti che intercettavano il dialogo: Messina Denaro ha ordinato ai suoi di distruggere sempre i pizzini. Dall'inchiesta emerge che il boss continua a comunicare così con i suoi, ma nessun messaggio è stato recuperato. "Nel bigliettino è scritto lo vedi? Questo scrive cosa ha deciso quello ha detto". Dalla conversazione viene fuori che la madre di Messina Denaro si lamenta dell'assenza del figlio. "La madre di Matteo ... che lui non scrive si lamenta, lui deve scrivere .. vorrei vedere a te. Non gli interessa niente di nessuno".

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Le cronache giudiziarie e quelle dei giornali sono piene di riferimenti ai contatti fra Cosa Nostra siciliana e la 'ndrangheta calabrese, concorrenti ma spesso alleate nei loro traffici e pronte a scambiarsi favori in nome di "patti d'onore". Come quello che vide protagonista Toto Riina, il capo dei capi in persona, che avrebbe attraversato lo Stretto di Messina vestito da frate durante la sua lunga latitanza. Erano gli anni Novanta e Reggio Calabria era insanguinata dalla guerra che contrapponeva i De Stefano al cartello Serraino-Condello-Imerti. Diversi i riferimenti a quell'episodio riscontrabili in inchieste della magistratura e relazioni della commissione antimafia. A parlarne recentemente e' stato il pentito Consolato Villani, nel corso del processo "'Ndrangheta stragista" che lo vede imputato, insieme con altri, per l'omicidio di due carabinieri avvenuto nel 1994 lungo l'autostrada A/3 Salerno-Reggio Calabria. Il processo, tra l'altro, offre un ulteriore testimonianza dei rapporti fra le due mafie, perche' vede imputato anche il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano. L'agguato contro i due carabinieri, Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, sarebbe maturato nell'ambito di un progetto eversivo di cui Riina sarebbe stato protagonista anche attraverso gli attentati di Roma, Firenze e Milano compiuti in quegli anni.

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Riina fu ad Africo, in Aspromonte, come emerge da diversi rapporti della Dia, e vi sarebbe stato piu' volte. Sempre ad Africo, a conferma dei contatti fra le due sonde criminali dello Stretto, tro vo' rifugio un altro capobastone siciliano di peso, Luciano Liggio. La 'ndrangheta avrebbe fornito l'esplosivo per l'attentato contro il giudice Borsellino e, sempre per conto di Cosa Nostra, avrebbe assassinato, nei pressi di Campo Calabro, il giudice Antonino Scopelliti, sopreso dai killer il 9 agosto del 1991. Scopelliti sosteneva l'accusa davanti alla suprema corte contro i boss palermitati condannati nel primo maxiprocesso contro Cosa Nostra. L'omicidio del magistrato sarebbe stata la "contropartita" delle 'ndrine per la mediazione di Riina, intervenuto per far cessare la guerra scatenata a Reggio con l'uccisione del boss Paolo de Stefano, avvenuto nell'ottobre 1985.