di Mario Meliadò - Franco La Rupa è uno dei nomi più ricorrenti nella politica calabrese degli ultimi vent'anni. Uno dei "campioni di preferenze" più fulgidi, nel destreggiarsi tra un procedimento penale e l'altro. Ed è anche uno dei politici che meno problemi s'è fatto a ondeggiare da un posizionamento all'altro, con ampi e costanti riflessi giudiziari.
La roccaforte dell'attività politica di La Rupa è Amantea, la sua cittadina in provincia di Cosenza di cui è stato consigliere comunale, assessore e poi per lunghi anni sindaco. Il tutto, attenzione, con uno "start" da semplice dipendente della Comunità montana del Savuto. Ma la sua ascesa politico-istituzionale è a dir poco inarrestabile: nella sua Amantea, Franco La Rupa sarà primo cittadino per ben tre mandati.
Già tra la fine degli anni Novanta e l'inizio dei Duemila, gli vengono però rivolte dure accuse circa il presunto appoggio da parte delle 'ndrine e reiterati abusi nell'attribuzione degli appalti da parte del Comune di Amantea: La Rupa riesce a dribblarle tute e a uscirne "pulito".
Nei primi anni Duemila, Clemente Mastella ne intuisce le potenzialità elettorali, e viene ampiamente premiato: 9.265 preferenze nella circoscrizione provinciale di Cosenza fecero di Franco La Rupa un consigliere regionale dell'Udeur, contribuendo alla vittoria di Agazio Loiero come presidente della Giunta regionale calabrese. In brevissimo tempo, La Rupa diventa capogruppo in Consiglio regionale (gruppo Udeur-Popolari), coordinatore per la Calabria e punto di riferimento imprescindibile del partito del Campanile.
Per l'ex sindaco sono gli anni di un'ascesa politica apparentemente inarrestabile.
Passa giusto un biennio, e iniziano formalmente i guai giudiziari per La Rupa: nel luglio del 2007, nel contesto dell'operazione "Omnia" contro il potente clan Forastefano, il politico finisce sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. I "pentiti" Adamo Bruno, Domenico Falbo, Francesco Elia, Lucia Bariova (compagna di Vincenzo Forastefano), Samuele Lo Vato e soprattutto Salvatore Lione (reggente della cosca dal 2007 in avanti) lo accusano d'aver "venduto l'anima al diavolo": La Rupa viene accusato d'aver foraggiato il capobastone di Cassano Jonio Antonio Forastefano con 30mila euro (il boss ne avrebbe chiesti 80mila) per far "gonfiare le vele" al suo consenso elettorale, e al contempo d'essersi detto disponibile a ricambiare anche con finanziamenti pubblici a pioggia agli "amici" della cosca. A tal punto che, giunta notizia dell'elezione di La Rupa, il capoclan si sarebbe materializzato per brindare col politico di Amantea e alcuni amici benché Forastefano in quel momento fosse latitante.
Adamo Bruno mette a verbale, per esempio: «Antonio Forastefano mi diede l'incarico di fare volantinaggio e chiedere voti per un politico (...) La Rupa». Incarico conferito «perché lui dava dei soldi a loro. Che io per fare la campagna elettorale a me mi sono stati dati tremila euro, per attaccare quattro manifesti, insomma». Cosa non episodica, stando al collaboratore di giustizia: «Lor fino e poco tempo prima portavano uno di Destra, un certo Gentile», dice ai magistrati Bruno.
Si snocciola da qui un iter giudiziario tortuoso. Nel 2009, dopo il rinvio a giudizio, Franco La Rupa commenta severamente: «Il rinvio a giudizio è relativo a una vicenda vecchia e stravecchia. Mi stupisce, perciò, e mi meraviglia come una storia simile possa ricominciare daccapo nonostante in tutte le varie tappe giudiziarie sia emersa la mia completa estraneità ai fatti». E parla d'«accanimento, persecuzione e ingiustizia».
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I giudici del Tribunale di Castrovillari, però, la pensano diversamente e lo condannano a 5 anni di reclusione, ridotti a 4 in appello: ma soltanto due anni fa, nel 2016, si arriva al fatidico terzo grado di giudizio in cui la Corte di Cassazione annulla con rinvio. Franco La Rupa, cioè, dovrà essere nuovamente sottoposto a processo d'appello davanti una differente sezione della Corte d'Appello di Catanzaro.
Pochi mesi dopo, l'accusa d'aver intessuto un saldissimo patto elettorale col clan Gentile pur di garantirsi l'accesso a Palazzo Campanella. Secondo le convergenti dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, nel contesto del processo "Nepetia", Franco La Rupa si sarebbe detto pronto a ricambiare le "attenzioni" elettorali della 'ndrina amanteana con finanziamenti pubblici a pioggia (anche qui) agli accoliti dei Gentile: il 20 dicembre del 2007 anche La Rupa finisce dietro le sbarre su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro con l'accusa d'associazione mafiosa e voto di scambio, nel contesto di quello che la stampa nazionale ribattezzerà "Consiglio regionale degli indagati" (presidente d'Assemblea era all'epoca Peppe Bova).
Un peso fondamentale, sotto il profilo squisitamente delinquenziale, lo avrebbe avuto Tommaso Gentile, il capo dell'omonima consorteria mafiosa cui La Rupa avrebbe versato 83mila euro in cambio di suffragi, molti suffragi alle Regionali 2005 in cambio anche delle redini del porto di Amantea. La concessione a breve degli arresti domiciliari non attenua lo scandalo, anche perché la connection sarebbe andata oltre il semplice do ut des voti/soldi, avendo coinvolto un finanziere e un carabiniere, cui venne contestato il concorso esterno in associazione mafiosa per aver fornito alla 'ndrina informazioni riservate sulle inchieste in corso da parte della stessa Dda catanzarese.
Ma dopo lunghi anni di processi, nel febbraio 2015 La Rupa viene prosciolto anche in questo caso.
Nel frattempo, per un marpione della politica come Franco La Rupa c'è stato tutto il tempo per riposizionarsi: dopo l'esperienza di Loiero, si sa, c'è aria di vittoria del centrodestra. Ed è proprio lì, e più precisamente nelle fila dei post-lombardiani di Noi Sud, che l'esperto uomo politico pensa di posizionarsi. Stavolta la sua idea è di mandare a Palazzo Campanella il figlio Antonio, che però prenderà un "bagno" colossale: addirittura 2 voti soltanto. Sì, perché lo scorno vero non sta nel numero risicatissimo di preferenze ma nella "scomunica" politica che precede quest'epilogo: clamorosamente l'ex sindaco di Reggio Calabria e candidato Governatore di centrodestra Peppe Scopelliti "boccia" le candidature di Tommaso Signorelli (ex vicesindaco proprio di Amantea, in lizza per i Socialisti Uniti) e La Rupa jr. (che si candida nella lista di Noi Sud benché il padre abbia speso il suo suffragio decisivo per far approvare il Bilancio regionale della coalizione di centrosinistra solo un paio di settimane prima) perché in contrasto col Codice etico. E in particolare per Antonio La Rupa fa sapere che «non può essere candidato per inopportunità, viste le note vicende che hanno riguardato il padre», invitando entrambi i candidati a ritirare le loro candidatura che «non sono gradite e sono antitetiche ai princìpi che rappresento – scandisce Scopelliti – e che riguardano l'intera coalizione». Ma non accadrà; e Signorelli, se è per questo, di suffragi ne conquisterà 1.883 (comunque non utili alla sua elezione).
Da ultimo, il 21 luglio scorso la Procura della Repubblica di Paola (guidata da Pierpaolo Bruni) gli addebita il voto di scambio e la tentata estorsione in concorso col consigliere comunale amanteano Marcello Socievole: una brutta storia secondo la quale i due – tanto per cambiare – avrebbero innescato una potente spirale di voto di scambio, non disdegnando però le "maniere forti". Per esempio nei confronti di una giovane donna assunta a termine da una cooperativa attiva all'interno di una locale scuola materna: se lei e tutta la sua famiglia non avessero votato per Socievole, suonava l'accusa, la proroga del suo contratto sarebbe diventata una chimera.