“Ecco la verità sulla latitanza di Franco Freda a Reggio Calabria”: parla Paolo Romeo

fredafranco600di Claudio Cordova - E' una vicenda che ha segnato la sua vita, non solo giudiziaria. La latitanza del terrorista nero Franco Freda, l'uomo che entra ed esce dai misteri italiani degli "anni di piombo" da tempo immemore. Per quei fatti, l'avvocato Paolo Romeo è stato condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa, perché, nell'impostazione accusatoria, Freda sarebbe finito a Reggio Calabria per volontà della cosca De Stefano.

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Una versione che oggi, nelle lunghe dichiarazioni spontanee rese nell'ambito del procedimento "Gotha", Romeo ha negato fermamente. Parla di "particolari inediti" l'ex parlamentare nel raccontare la fuga del terrorista nero da Catanzaro a Reggio Calabria e poi in Costa Rica. In quel periodo, siamo tra il 1978 e il 1979, Freda è infatti imputato a Catanzaro, dopo che il processo per la strage di Piazza Fontana a Milano è stato spostato in Calabria. Ma nell'imminenza della sentenza, Freda decide di diventare uccel di bosco: "Freda seppe da un prete che aveva confessato il dottore Scuderi (magistrato, ndr) e che aveva raccontato alla madre di Giovanni Ventura (sodale di Freda, ndr) delle pressioni da Roma per una sentenza di condanna" racconta Romeo.

Allora la moglie del terrorista avrebbe sollecitato di giovani neofascisti romani che sarebbero giunti da Roma per prelevare Freda da Catanzaro e portarlo a Reggio Calabria: "Veniamo interpellati io e il senatore Renato Meduri: ci dissero che un camerata aveva bisogno di aiuto e a quel punto si è messo in moto un meccanismo di solidarietà".

Solidarietà tra camerati. Romeo, infatti, in quel periodo è ancora un esponente di spicco del Movimento Sociale Italiano e Renato Meduri è stato uno dei soggetti più importanti del "Boia chi molla".

Insiste Romeo: "Ci rendevamo conto di compiere una illegalità, ma bisogna capire i tempi e comprendere che noi avevamo l'idea di sottrarre Freda a una persecuzione giudiziaria e in effetti successivamente Freda sarebbe stato assolto". Per Romeo, insomma, quella fuga era "un atto politico". E così, Romeo e Meduri prelevano Freda a Gioia Tauro: "Doveva rimanere solo 15 giorni – ricorda Romeo – ma i 15 giorni diventarono mesi". Il racconto di Romeo è avvincente e, in alcun modo coinvolge la 'ndrangheta, come invece la sentenza a suo carico sancisce: "Lo facevamo goliardicamente, pensi che con Freda passeggiavamo anche sul Corso Garibaldi, lui nel frattempo aveva tinto i capelli e cresciuto i baffi. Credo di averlo presentato anche a un funzionario della Digos e una volta facemmo uno scherzo a Ciccio Franco che millantava di conoscerlo: gli dicemmo che un giornalista veneto voleva intervistarlo ed effettivamente abbiamo inscenato un'intervista, senza che Ciccio Franco riconoscesse Freda".

Ma dalla goliardia, si passa alle cose più serie. E così, con grande ritardo, la moglie di Freda organizzerebbe la fuga del consorte in Costa Rica. Sarebbe stato Paolo Martino, storico uomo di spicco della cosca De Stefano a prelevare Freda dalle mani di Paolo Romeo per organizzare l'espatrio in Francia, da dove il terrorista doveva spiccare il volo: "Ma Martino – rivela Romeo – portò Freda da Filippo Barreca". E, in effetti, divenuto collaboratore di giustizia, sarà proprio Barreca a sostenere come la latitanza reggina di Freda fosse "cosa" dei De Stefano.

Una versione che Romeo nega con veemenza.

A suo dire, quella sarebbe stata solo e soltanto una questione politica: "In tutta questa storia non c'entrano né i servizi segreti, né gli ambienti eversivi".