Ultimo atto del processo a Lucano, la difesa: "Assolutamente innocente, ecco perché". Il 30 settembre la sentenza a Locri

Lucano-avvocati ppdi Mariateresa Ripolo - "Un uomo che ha messo la sua vita a disposizione della società e che è stato capace di rinunciare a candidature certe, sia al Parlamento italiano che a quello europeo". "Un uomo senza un centesimo, che rifiutava le cure mediche che gli venivano gratuitamente offerte". È il ritratto che gli avvocati difensori di Mimmo Lucano, Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, fanno dell'ex sindaco di Riace. Questa mattina, nell'aula del Tribunale di Locri, è andato in scena l'ultimo atto del processo contro di lui e altre 26 persone, prima della decisione finale che verrà presa dal collegio presieduto dal giudice Fulvio Accurso, che si riunirà in Camera di Consiglio lunedì 27 settembre. La sentenza, presumibilmente, verrà emessa nella mattinata di giovedì 30 settembre.

La Procura di Locri ha chiesto per l'ex sindaco di Riace, oggi presente in aula, una condanna a 7 anni e 11 mesi di reclusione.

"C'è una incompatibilità genetica e mentale rispetto a tutti i reati che vengono attribuiti a Lucano", ha sottolineato Daqua, che ha rilevato la presenza di una serie di dati ritenuti dalla difesa "anomali" e che andrebbero a "inficiare l'attendibilità dell'intero impianto accusatorio". Mentre per Pisapia "Lucano non ha fatto quello che ha fatto per il potere, ma perché ci credeva". Secondo l'ex sindaco di Milano ed europarlamentare - subentrato dopo la prematura scomparsa dell'avvocato Antonio Mazzone - Lucano "è assolutamente innocente, se ha fatto degli errori non incidono a livello penale per il nostro ordinamento".

Le accuse

Dall'accusa di concussione nei confronti di un commerciante di Riace a quella di aver rilasciato carte d'identità in modo gratuito e senza requisiti, fino alle somme "sospette" utilizzate per la realizzazione di Festival e concerti organizzati nel 2015 e nel 2017. La Procura attacca a 360 gradi l'operato di Lucano, anche sulle modalità di affidamento dei servizi di raccolta rifiuti a due società che secondo gli inquirenti non avevano i requisiti necessari per ottenerlo. Nel corso del dibattimento, la pubblica accusa si è avvalsa, tra le altre, della testimonianza del colonnello delle Fiamme Gialle Nicola Sportelli che ha snocciolato in aula dati e somme di denaro "sospette", quelle che secondo la Procura sono le prove di un comportamento fraudolento.

Un vero e proprio sistema per sfruttare i fondi destinati all'accoglienza per vantaggi personali, siano essi economici o politici. Così la Procura di Locri ha dipinto l'operato dell'ex sindaco Lucano e di chi ha lavorato insieme a lui nella costruzione di quello che con gli anni è diventato celebre in tutto il mondo come il "Modello Riace". Per la Procura guidata da Luigi D'Alessio e per la Guardia di Finanza, che ha svolto le indagini, gli imputati nel processo "Xenia" avrebbero messo in piedi un vero e proprio sistema criminale per utilizzare i fondi destinati ai migranti per fini diversi dall'accoglienza. Per la difesa, al contrario, Lucano e i "suoi" non avrebbero ottenuto alcun vantaggio personale o politico, tantomeno economico.

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Un processo politico?

"Noi non abbiamo mai parlato di un processo politico. A noi interessa non fare politica nel processo", ha sottolineato Daqua nel corso del suo intervento. "Non è un processo politico, però un po' di accanimento, non terapeutico, c'è", ha detto invece Pisapia.

In molti sin dall'arresto di Lucano nel 2018 - compreso l'ex sindaco - hanno parlato di un "processo agli ideali" che hanno sempre caratterizzato il sistema di accoglienza messo in piedi e portato avanti nel borgo di Riace.

"Non è un processo politico" e "non è un processo all'accoglienza", ma "si stigmatizza il mercimonio che viene fatto nel nome dell'accoglienza", aveva sottolineato il pubblico ministero Michele Permunian, nel corso della requisitoria. Anche il Procuratore di Locri, Luigi D'Alessio, in aula, aveva precisato che: "Non è stato e non sarà mai un processo agli ideali e al nobile ideale dell'accoglienza".

Per la difesa, tuttavia ci sarebbe stato un vero e proprio "accanimento" da parte della Procura, che nel corso del dibattimento aveva anche chiesto l'acquisizione di un'intervista di carattere politico rilasciata da Lucano, nella quale l'ex sindaco annunciava la sua discesa in campo alle regionali 2021 a fianco di Luigi de Magistris. Una richiesta poi rigettata dal giudice, ma che secondo il pubblico ministero provava come Lucano abbia deciso di candidarsi perché "gli hanno offerto la posizione di capolista". Una richiesta che la difesa aveva bollato come "irrilevante e tendenziosa".

"Il potere politico, una sorta di bulimia di ricerca di voti, supera i buoni propositi con cui nascono i progetti di accoglienza a Riace", "È la politica che frega Lucano": nella requisitoria del pm si è ipotizzato anche che l'ex sindaco di Riace scegliesse chi far lavorare a Riace "per avere un tornaconto politico-elettorale".

"Lucano - ha sottolineato questa mattina Pisapia tornando sul tema - è un uomo che ha messo la sua vita a disposizione della società e che è stato capace di rinunciare a candidature certe, sia al Parlamento italiano che a quello europeo".

«La falsità e l'inattendibilità» del "supertestimone"

Secondo la difesa, le accuse contro Mimmo Lucano sono basate su "dati congetturali," non su "fatti comprovati". Pisapia e Daqua hanno parlato, inoltre, di diverse "anomalie". A partire dalla denuncia e dalla successiva deposizione in aula del "supertestimone" Francesco Ruga. L'inchiesta - come sottolineato anche dalla Procura - sarebbe partita dalla sua denuncia contro l'ex sindaco. A provocare un inaspettato colpo di scena è stato proprio il testimone chiave dell'accusa, il commerciante di Riace che aveva fatto intendere di aver ricevuto vere e proprie minacce da parte dell'ex sindaco e da Fernando Antonio Capone, presidente dell'associazione "Città Futura" per emettere false fatture, salvo poi ritrattare in aula: "Mai stato minacciato da Lucano", facendo così vacillare l'accusa più grave: quella di concussione.

"Ruga è un furbetto, non è una vittima", ha detto Pisapia, che ha aggiunto: "E poi perché non è andato dai carabinieri, ma si è rivolto direttamente alla guardia di finanza".

Le relazioni prefettizie

"Anomalie", secondo la difesa, anche sulle dinamiche che hanno accompagnato la relazione redatta da Francesco Campolo e altri tre funzionari della Prefettura di Reggio Calabria. Un documento del 2017 nel quale venivano evidenziati non solo i pregi del Modello Riace ma anche le difficoltà economiche che si stavano riscontrando a causa del blocco da parte del Ministero dell'Interno delle somme destinate ai progetti di accoglienza. Pagamenti in stand-by dal dicembre 2016 dopo una relazione particolarmente negativa redatta da un'altra commissione ispettiva guidata da Salvatore del Giglio.

Nel documento del 2017 definito "positivo" per Lucano e il Modello Riace, si evidenziava "la necessità imprescindibile di attuare degli opportuni ed immediati mezzi correttivi" attraverso una "azione sinergica di supporto". "Perché Campolo si è discostato dai criteri assegnati per fare la relazione chiesta dal prefetto?", si era chiesto Permunian, secondo il pm nelle intercettazioni emergerebbero "contatti tra Lucano e Campolo": "Ecco come si spiega quella relazione positiva". Per l'avvocato Pisapia invece "Campolo non ha sbagliato, il suo è stato un tentativo per evitare che l'esperienza di Riace finisse". La relazione, - hanno evidenziato inoltre i legali di Lucano - a differenza di quanto era sempre avvenuto con quelle precedenti, non venne mai consegnata dalla Prefettura reggina all'ex sindaco, neanche quando quest'ultimo ne aveva più volte fatto esplicitamente richiesta. Il documento venne reso pubblico solo nel 2018, dopo una denuncia presentata alla Procura di Reggio Calabria.

I "lungopermanenti"

"L'esperienza di Riace si complicò quando il numero dei rifugiati ospitati dai progetti di accoglienza iniziò a salire", hanno raccontato nel corso delle udienze alcuni testimoni della difesa. Altro punto importante nell'impianto accusatorio della Procura è la presenza dei lungopermanenti, quei migranti che restavano nei progetti di accoglienza per periodi maggiori rispetto a quanto consentito. "La Prefettura sapeva che i lungopermanenti erano lì", ha sottolineato Pisapia: "Chi poteva allontanarli? Come si può pensare che il sindaco di Riace potesse avere gli strumenti per farlo?", ha aggiunto il legale che ha ribadito come Lucano non avesse questo "potere". Ma non solo. Nel corso del dibattimento è emerso dal racconto di alcuni testimoni della difesa che "la Prefettura si rivolgeva spesso a Lucano quando c'erano migranti da ospitare". Come confermato anche da Lucano, le richiesta da parte della Prefettura di Reggio Calabria si facevano sempre più pressanti: "Mi mandavano migranti e io li accoglievo, mi chiamavano San Lucano". Nel piccolo borgo della Locride l'evoluzione inaspettata del sistema di accoglienza rese più complicata la gestione dei progetti. Secondo Elisabetta Madafferi, ex dirigente amministrativa della Provincia di Reggio Calabria, a Riace "l'accoglienza era iniziata nel 2001 e non si è mai interrotta, questo può avere comportato una sovrapposizione di numeri, ma che quei migranti fossero lì lo sapevano tutti".

Per i difensori di Lucano, che hanno contestato la ricostruzione degli inquirenti considerando "inattendibili" le intercettazioni utilizzate e che hanno chiesto ai giudici del Tribunale di Locri la sua assoluzione con formula piena, non ci sono dubbi: "Non era a capo di alcun tipo di organizzazione criminale" dedita allo sfruttamento dei fondi destinati all'accoglienza e "c'è una incompatibilità genetica e mentale rispetto a tutti i reati che gli vengono contestati".