L'ispezione del 2017 sul Modello Riace: la relazione “senza irregolarità” mai consegnata a Lucano

riace-borgo-di Mariateresa Ripolo - Una relazione definita "anomala", perché «di norma si usa uno stile un po' più burocratico», ma scritta con l'intenzione di «fotografare la realtà sociale e capire concretamente cosa accadeva a Riace». A parlare del documento redatto nel 2017, dove venivano messe in evidenza perlopiù le peculiarità del "Modello Riace", è - nell'aula del Tribunale di Locri - Francesco Campolo: primo firmatario della relazione, ai tempi dirigente dell'area immigrazione alla Prefettura di Reggio Calabria, oggi viceprefetto con mansioni diverse (si occupa di raccordo con gli enti locali e di elezioni).

Sul banco dei testimoni, per la difesa, - nel processo che vede imputato l'ex sindaco di Riace e altre 28 persone accusate, a vario titolo, di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, truffa e abuso d'ufficio nella gestione dei progetti di accoglienza agli immigrati - Campolo ricostruisce in aula la visita ispettiva fatta il 26 gennaio 2017 insieme ad altri colleghi (Pasquale Crupi, Alessandra Barbaro e Maria Carmela Marazzita), che si recarono a Riace su impulso dell'ex Prefetto di Reggio Calabria, Michele Di Bari, per individuare eventuali «criticità e irregolarità nell'utilizzo da parte dei migranti delle strutture dei progetti Cas».

«In tutte le abitazioni - scrivono nella relazione gli ispettori per rispondere alla richiesta di Di Bari - incontriamo solo gente del CAS (e non dello SPRAR), senza alcuna commistione se non in un solo caso e per puro caso, per una giovane coppia». Una circostanza che Campolo e colleghi ci tengono a spiegare asserendo al fatto che «i migranti ospitati a Riace non sono detenuti, hanno la libertà di muoversi all'interno del paese» per cui «non ci sorprende, in quell'unico caso, di trovare lì quelle persone».

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Nessuna irregolarità, dunque, nelle modalità di accoglienza, per i quattro ispettori che, tuttavia, evidenziavano «la necessità imprescindibile di attuare degli opportuni ed immediati mezzi correttivi» attraverso una «azione sinergica di supporto». L'ingente numero di sbarchi nel Reggino in quel periodo e la disponibilità di Riace, quale "paese dell'accoglienza", avevano determinato un'evoluzione inaspettata del sistema comportando «difficoltà ulteriori, probabilmente non previste», tant'è che i funzionari prefettizi nelle conclusioni del documento sentono la necessità di evidenziare come Lucano avesse «sempre fornito una importante collaborazione a questa Prefettura assicurando l'ospitalità che molti altri Centri della provincia avevano prima denegato».

Un documento mai consegnato a Lucano. La relazione, a differenza di quanto era sempre avvenuto con quelle precedenti, non venne mai consegnata dalla Prefettura reggina all'ex sindaco, neanche quando quest'ultimo ne aveva più volte fatto esplicitamente richiesta. Il documento venne reso pubblico nel 2018 solo dopo una denuncia presentata alla Procura di Reggio Calabria. Una vicenda che nell'aula del Tribunale di Locri viene ripercorsa, «La richiesta - hanno precisato i funzionari prefettizi - non è arrivata ai nostri uffici, abbiamo assolto il nostro compito consegnando la relazione al Prefetto».

Le somme non corrisposte e le difficoltà economiche per i progetti di accoglienza. Nella relazione in questione veniva anche fatto riferimento alle difficoltà economiche che associazioni e migranti erano costretti ad affrontare a causa del blocco dei pagamenti da «circa un anno». Pagamenti in stand-by dal dicembre 2016 dopo una relazione negativa redatta da un'altra commissione ispettiva.

Difficoltà economiche che lo stesso Lucano aveva evidenziato ed espresso ripetutamente. In una lettera inviata al Prefetto di Reggio Calabria, nel maggio 2018, l'ex sindaco di Riace arriva a scrivere: «Siamo in presenza di una emergenza umanitaria. Una situazione che non appare più sostenibile considerata la perdurante assenza di risorse».

«C'erano donne in stato di gravidanza, neonati, famiglie in difficoltà e si continuava a mantenerli nonostante tutto», ha testimoniato in aula una ex dipendente dell'associazione "Los Migrantes". La donna, impiegata amministrativa e interprete per l'associazione operante a Riace ha raccontato delle difficoltà economiche riscontrate dal 2016 in poi e della disperazione dei migranti che si rifiutavano di lasciare i centri di accoglienza perché non avevano altri posti dove andare a vivere, «il sovrannumero degli ospiti nelle strutture era determinato da questo», ha spiegato la testimone della difesa, che ha aggiunto: «Il presidente dell'associazione si trovava spesso ad anticipare con fondi propri le spese necessarie. Più che al fattore economico si guardava al fattore umano».