di Claudio Cordova - Ex primula nera Avanguardia Nazionale, affiliato alla 'ndrangheta e killer delle cosche calabresi radicate in Emilia Romagna, ma anche uomo in contatto con il boss siciliano Antonino Gioè, Paolo Bellini viene escusso nel processo "Ndrangheta stragista", che, davanti alla Corte d'Assise di Reggio Calabria, vede imputati Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano, uomini forti di 'ndrangheta e mafia siciliana, accusati di essere i mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo e di altri attentati sul suolo calabrese, che si sarebbero inseriti nell'attacco allo Stato sferrato dalle due organizzazioni criminali allo Stato nei primi anni '90.
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La deposizione di Bellini aggiunge un tassello al materiale raccolto in questi mesi, in quanto confermerebbe la volontà di Cosa Nostra di colpire lo Stato in alcuni dei suoi punti più rappresentativi, non solo l'Arma dei Carabinieri, ma anche monumenti di pregio e opere d'arte.
Vita avventurosa, quella di Bellini. Segnata da ombre nere come l'oscurità di alcuni dei misteri d'Italia, ma anche da scie rosse, come il sangue delle tante vittime cadute.
Bellini, oggi indagato anche per la strage alla stazione di Bologna, ripercorre la propria carriera criminale, a cominciare dal primo omicidio, quello dell'attivista di Lotta Continua, Alceste Campanile, avvenuto nel 1975. Una vita spesa non solo per i gruppi neofascisti, ma anche al servizio della 'ndrangheta e, in particolare, alla famiglia Vasapollo-Ruggero, stanziata in Emilia Romagna: anche per i clan calabresi, Bellini continuerà la propria opera di killer.
Poi, in uno dei tanti periodi di detenzione, l'incontro che cambia la vita, quello con il boss mafioso Antonino Gioè, all'interno del carcere di Sciacca. Con il boss, poi morto suicida nel 1993, Bellini instaura un rapporto stretto, confidenziale e riesce a entrare in possesso di informazioni, in parte riversate anche al Ros dei Carabinieri quando, come sostiene in aula, diventerà "un infiltrato di Cosa Nostra". Proprio da Gioè, Bellini avrebbe appreso del proposito da parte della mafia di colpire luoghi simbolo della nazione italiana: "Un giorno Gioè mi disse: cosa accadrebbe se sparisse la Torre di Pisa?" scandisce in aula Bellini. Affermazioni, quelle del mafioso, che sarebbero potute avvenire, forse, anche per lanciare un avvertimento ai pezzi dello Stato, con cui da sempre si diceva che Bellini fosse in contatto, quali i servizi segreti. L'ex Avanguardia Nazionale, infatti, non nega i propri rapporti con il Ros dei Carabinieri e racconta anche delle confidenze personali di Gioè: "Mi disse che con la massoneria di Trapani erano ben introdotti".
Ma non solo.
"Ci hanno consumati". Bellini ricorda la frase pronunciata da Gioè sul fatto che, evidentemente, Cosa Nostra sarebbe stata usata da pezzi deviati dello Stato. Secondo il racconto di Bellini vi sarebbe stata, oltre alla trattativa di cui lui si stava direttamente occupando denominata "delle opere d'arte" (quella con cui entrerà in contatto con i carabinieri), una seconda trattativa, che avrebbe visto il coinvolgimento di uomini delle istituzioni e uomini di Cosa nostra con l'inserimento di un ulteriore ambito americano grazie ai contatti di Totò Riina nel Nuovo Continente: "Gioè mi disse che c'era questa specie di triangolo, tra la mafia, gli Stati Uniti e i piani alti del governo italiano"