Il pentito Brusca: “I calabresi volevano rapire uno dei figli di Berlusconi”

berlusconi forza italiadi Claudio Cordova - Erano i De Stefano e i Piromalli i referenti di Cosa Nostra in Calabria. A ripercorrere i rapporti tra la mafia e la 'ndrangheta è il pentito Giovanni Brusca, l'uomo che azionò il congegno per la strage di Capaci, citato nel processo "Gotha dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo. I De Stefano, in particolare, sarebbero stati legati a Stefano Bontade, il boss di Palermo ucciso dai Corleonesi di Totò Riina, a sua volta legato ai Piromalli di Gioia Tauro.

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Negli anni criminali, Brusca viene soprannominato "u verru" per la sua ferocia. Da uomo di fiducia di Riina sarebbe venuto a conoscenza di diverse trame sulle due sponde: "Riina intervenne in Calabria come paciere dopo la guerra di 'ndrangheta". Brusca parla anche di don Giovanni Stilo, il controverso prete di Africo, da sempre sospettato di vicinanza con la criminalità organizzata, ma non solo: "Era molto vicino ad Antonino Salamone, aveva rapporti politici e massonici e li metteva a disposizione". Brusca racconta di aver incontrato don Stilo a Roma per discutere dell'aggiustamento in Cassazione del maxiprocesso a Cosa Nostra istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Il collaboratore depone in videoconferenza al cospetto del Tribunale presieduto da Silvia Capone nel processo che vede alla sbarra la presunta componente occulta della 'ndrangheta. E parla dei rapporti con i catanesi di Nitto Santapaola, ma anche della presenza dei calabresi a Messina: "Sotto il profilo organizzativo – spiega – i calabresi erano più liberi di noi, che eravamo più rigidi. Loro avevano maggiore spazio di manovra".

Nel racconto di Brusca, quindi, ci sono anni e anni di storia criminale che, inevitabilmente, si intreccia con la storia d'Italia. Dalle stragi alla fine della seconda Repubblica con l'avvento di Forza Italia e di Silvio Berlusconi. Proprio a questo punto arriva il riferimento all'ormai noto stalliere di Arcore, quel Vittorio Mangano che sarebbe stato un uomo d'onore e anche di grande peso. Brusca spiega il perché di quella presenza nella villa di Berlusconi: "I calabresi volevano rapire il figlio di Berlusconi, quindi Bontade mise Mangano lì, come segnale".