di Anna Zaffino – E’ ottimista, sia sul futuro di Reggio sia su quello dell’Atam, perché vede nei momenti di crisi un’opportunità di rilancio e di cambiamento. Antonino Gatto, dal settembre scorso, è amministratore unico dell’azienda che si occupa del servizio di trasporto pubblico in città. Già professore di Economia presso numerose Università, tra cui Messina e Reggio, è stato affidato a lui l’incarico di risollevare le sorti della società a intero capitale pubblico. Un’azienda sull’orlo del baratro. Il fallimento è stato, infatti, richiesto nel marzo scorso dai sostituti procuratori Stefano Musolino e Teodoro Catananti, dopo gli anni di gestione di Demetrio Arena e Vincenzo Filardo. Dall’indagine della Procura emergerebbero gravi manipolazioni e alterazioni dei bilanci, un po’come il metodo venuto fuori, secondo la Magistratura, nel “Caso Fallara” (che ha riguardato la gestione Scopelliti dei conti del Comune di Reggio).
Ma c’è un’ultima possibilità per l’Atam di evitare il default. L’estremo tentativo è quello di predisporre un piano che sappia dimostrare la propria capacità di risanarsi. Il Tribunale Fallimentare ha accolto l’istanza di concordato preventivo avanzata dall’azienda che, così, potrebbe mettersi al riparo dal crack. Ed è proprio tra pochi giorni, il 23 ottobre, che Atam dovrebbe presentare il piano e avere più certezze sul proprio futuro.
Il professor Gatto è ottimista. Anzi, va oltre ed evidenzia l’ipotesi di fare di Atam, in un futuro quanto mai prossimo, una holding che possa gestire diversi rami di attività, non solo il trasporto pubblico su gomma. Ed è ottimista anche sul futuro che attende città, chiamata alle urne tra meno di una settimana dopo il decennio del Modello Reggio, culminato, poi, in due anni di un commissariamento che ha “condannato” la città, già da tempo con l’acqua alla gola, a una situazione di stallo durata 24 mesi.
Gatto parla di liberazione. Parla della necessità di una rottura culturale che provenga non solo dalla politica, ma da un’azione sinergica e collettiva da parte di tutti. Ci vuole una comunità che “segue, che insegue e che crea”, perché, come rimarca in più passaggi, “abbiamo un grande bisogno di profeti collettivi per superare quel perverso rapporto tra padrone e schiavo” .
Professor Gatto che prospettive ci sono. E’ ottimista o pessimista sul salvataggio dell’azienda? Ci sono margini per evitare il fallimento?
Non posso che essere ottimista. Sono speranzoso al di là di tutte le evidenze. Credo cha, alla fine, se ci saranno alcune convergenze di volontà istituzionali, potremo farcela. Con fatica e nel tempo. Secondo me, siamo in grado di farcela perché la nostra idea è quella di costituire una nuova azienda che possa diventare un modello e che in futuro possa rappresentare un esempio anche per altre aziende analoghe in crisi. Vado oltre, abbiamo l’ambizione di diventare non solo un modello del trasporto pubblico locale su gomma, ma abbiamo l’ardire di pensare che con il nostro modello potremo affrontare sfide produttive anche in altri settori: nel tempo l’azienda potrebbe diventare una holding in grado di gestire diversi rami di attività, e alla fine poter essere un’occasione per incamerare nuova occupazione, nuova tecnologia e nuove professionalità al servizio della città e anche di tutta la Calabria.
A breve ci sarà il rinnovo del Consiglio comunale. Quale dovrà essere la prima azione della nuova Giunta?
La ricapitalizzazione l’azienda.
Come ha detto Dattola…
La ricapitalizzazione è una necessità, tutti devono esserne consapevoli. In questo momento, l’azienda si è mangiata il capitale sociale, vista la situazione dei suoi conti, ed è per questo che il Comune ha chiesto all’azienda di promuovere l’azione di responsabilità verso gli amministratori che ritiene siano all’origine di questa perdita del capitale sociale. Questa è la prima azione che deve essere conseguente all’altra della Regione. Devono esserci le convergenze. E soprattutto, adesso ci servirebbe un momento di respiro da parte dell’Istituzione giudiziaria: se noi riuscissimo ad avere altri 40 – 60 giorni di tempo, avremmo una maggiore opportunità per costruire un piano che sia credibile, perché molto dipende dalle risposte di una politica che in questo momento non è in grado di darle compiutamente.
C’è, però, ci dice che con il Piano di Rientro la situazione si complicherebbe ancora di più…
In effetti questa è un’ulteriore difficoltà. C’è il timore che malgrado le buone intenzioni di tutti, la situazione del bilancio del Comune non consenta di fare quello che si vorrebbe. Però proprio per questo ho allertato i candidati, per cominciare a vedere fin da adesso quale possa essere l’intervento del Comune. Voglio sperare che ci possa essere anche un intervento eccezionale del Governo, una capacità di attivare fondi europei. Sia che all’azienda non venga riconosciuta la capacità di risanarsi, sia che le venga riconosciuta, da subito bisogna intravedere una possibilità e un’idea. Io immagino che il prossimo Sindaco si ritroverà nella stessa situazione in cui mi sono trovato io entrando in Atam. Per questo sarà dura. Per chiunque. Per questo è necessario che fin da ora si comincino a prevedere le difficoltà e le possibili soluzioni.
Adesso la situazione, purtroppo, è molto difficile.
Sì. Di fatto, in questo momento, l’azienda è fallita.
Ha ragione quindi la magistratura? Si è parlato di artifici, di manipolazioni, di un bilancio redatto senza tener conto dei crismi contabili. La Procura è stata chiara, ha delineato una situazione molto particolare. Come se ne esce?
La Procura ha delineato una situazione che abbiamo presente e che stiamo ulteriormente verificando. Stiamo sottoponendo a rigoroso esame il bilancio. A breve presenteremo la nostra proposta ‘veritiera’ della situazione attuale. Però, proprio i momenti di crisi possono essere i momenti di radicale rilancio e modificazione delle situazioni. Mi viene in mente la metafora dell’esodo dall’Egitto. Il popolo schiavo non immaginava di poter ambire alla liberazione, però un profeta, che ha avuto il coraggio di indicare vie nuove e inesplorate, ha portato questo popolo, piano piano, dalla schiavitù alla liberazione. Tuttavia, bisogna essere consapevoli che – e questo vale sia per l’azienda e credo possa valere anche per la città – i processi di liberazione sono lenti, non sono sempre compresi: in ogni processo di liberazione ci sono le lamentazioni, le frustrazioni, perché anche la schiavitù, in un certo senso, per molti ha il suo vantaggio, perché uscire dalla proprie sicurezze può determinare una difficoltà. Però, piano piano – e questo è il mio auspicio e obiettivo – si può passare dalle situazioni di crisi a quelle di successo, sia aziendale sia territoriale e ambientale. E lo si può fare se vi è una convergenza di sentimenti e un’ unità di intenti verso obiettivi alti che convergono verso il bene comune. Se ci liberiamo dall’adorazione dei falsi idoli, perché spesso noi indoriamo dei miti che invece alla fine sono falsi.
A chi si riferisce?
Non mi riferisco a nessuno.
Ha sempre affatto degli appelli alle istituzioni, al Comune ma anche alla Regione per la certificazione dei crediti che vantate. Che prospettive ci sono da questo punto di vista?
Al momento sto notando un’attività accelerata della Regione per venire alla soluzione dell’antico contenzioso che ha con l’Atam, ma anche con altre aziende. C’è ancora solo un’ipotesi sussurrata sul quantum la Regione possa essere in grado di dare all’Atam.
Si parlava di 11 milioni…
Si parla di cifre vicine a questa. Ricordo che tempo fa l’assessore (Luigi Fedele, ndr) ha parlato pubblicamente di 10. Voglio sperare che la situazione tragica dell’Atam possa indurre a uno sforzo ulteriore. Questa è una condizione essenziale per dare sostenibilità al piano di salvataggio che stiamo preparando con professionisti di altissimo valore. E’ come se noi, avendo l’Atam in sala operatoria, ci fossimo affidati a chirurghi e anestesisti di altissimo livello per tentare di rianimare e, poi, di portare a una vita serena l’azienda. Posso contare su professionisti con esperienza internazionale di salvataggio di imprese, di cui daremo conto a breve in una conferenza stampa. Per questo, e se riusciremo a risolvere i problemi di convergenza istituzionale, abbiamo l’ambizione di guardare con fiducia al futuro. La Regione dovrà fare la sua parte, subito dopo il Comune dovrà far fronte alla ricapitalizzazione dell’azienda. E noi come azienda dovremo fare la nostra parte, e già l’abbiamo fatta, con la riduzione del costo del lavoro e con il contratto di solidarietà che è stato sottoscritto con coraggio dai sindacati, perché anziché sentire le sirene del populismo, si sono comportati, come è loro abitudine, privilegiando il criterio della solidarietà, del ‘noi’ rispetto a quello del ‘mio’ e del ‘tuo’.
Però l’Usb ha proclamato numerosi scioperi, non è che loro lo abbiano accettato in toto…
La proposta è stata accettata dai sindacati tradizionali, mentre l’Usb, inseguendo la logica del ‘tu’ e del ‘mio’ e non quella del ‘noi’, dichiarandosi contraria all’accordo di solidarietà, di fatto, è favorevole all’alternativa del licenziamento dei dipendenti in esubero. Se l’azienda non avesse trovato la soluzione della riduzione momentanea del salario, l’alternativa sarebbe stata mettere in pericolo la possibilità di accedere al concordato e l’altra alternativa sarebbe stata il licenziamento dei lavoratori. Chi è contrario all’accordo deve dire chiaramente che è favorevole al rischio di fallimento dell’azienda e al licenziamento sicuro dei colleghi. Altrimenti si fa populismo.
Al momento del suo insediamento che situazione ha trovato all’interno dell’Atam? Ricordo che aveva parlato di situazione già critica. Chi sono stati i responsabili?
Ho incontrato una situazione peggiore di quella che immaginavo, e ho parlato subito del rischio di dover portare i libri in tribunale. Ricordo che uno dei primi incontri che ho avuto con il personale ho paventato questo rischio considerando la situazione dei conti che ho trovato, e che mi è stata anche confortata dalle valutazioni del collegio sindacale. Da allora, ho cercato di lavorare nell’attesa di questi colloqui che avevamo con la Regione, di queste aspettative che nutrivamo. Ho operato, concordemente con il collegio sindacale, per tenere a galla l’azienda, nell’attesa di poter dare una svolta. Nel frattempo, però, è arrivata la decisione della Procura che ha promosso l’istanza (di fallimento, ndr). L’iniziativa della Procura mi ha consentito di fare ricorso a questo istituto nuovo del concordato in bianco e, quindi, avere una specie di vuoto nel quale immaginare la possibilità di risanare l’azienda. E’ come se l’azienda fosse nata il giorno in cui siamo stati ammessi al concordato, perché questo ci ha consentito, nel frattempo, di non essere aggrediti dai debitori e di avere la possibilità di attendere le decisioni del Comune, di avere del tempo, di entrare in contatto con i debitori, di fare un piano di rientro e immaginare, da qui a sette o a dieci anni, la possibilità di un risanamento che significa pagare i debiti e la possibilità di un rilancio. Tutto molto difficile, tutto legato a un filo, ma noi abbiamo il dovere di crederci e la speranza che tutto sia possibile.
Lei è arrivato da poco. Prima ci sono state le gestioni Arena e Filardo. Qualcosa avranno sbagliato immagino…
A riguardo mi rimetterò alle valutazioni che emergeranno dalle indagini contabili e patrimoniali che nel frattempo saranno effettuate.
Il quadro è desolante rispetto a quanto detto dalla Procura.
La Procura ha agito sulla base di una prima valutazione. Io penso, per fornire ulteriore beneficio e documentazione e per dare ulteriori basi sia alla Procura sia anche a chi si deve difendere, di affidare a una società di livello internazione una valutazione, una volta per tutte, della reale consistenza del bilancio e una valutazione, documentata di quelle che posso essere poi individuate come responsabilità.
Una Procura che ha messo sotto la lente d’ingrandimento gli stipendi dei dirigenti…
Io penso che la situazione economica e finanziaria dell’azienda debba indurre tutti a grande prudenza e, quindi, a un grande senso di responsabilità anche per quanto riguarda l’equilibrio e l’equità delle retribuzioni. Come azienda abbiamo già provveduto, abbiamo limato del 10% le retribuzione dei dirigenti e non mancheremo di valutare ulteriori azioni che possano incidere in senso equo su queste retribuzioni, ove dovessero risultare del tutto incompatibili con la situazione dell’azienda.
Per ritornare alle comunali, lei aveva fatto un appello ai candidati.
Ho fatto un appello alla politica per un patto su Atam ed è stato raccolto da due in forma fisica (Dattola e Falcomatà, ndr), e da un altro con una dichiarazione (Musarella, ndr).
Cosa intendeva quando ha parlato di ‘partecipazione’ e di ‘campana di vetro’ a proposito di un nuovo modello di gestione Atam?
Io penso che dobbiamo arrivare a un modello di azienda che non sia considerata di proprietà del Comune, ma un’azienda che sia di proprietà della cittadinanza, che possa sentire questa azienda come propria e in cui essa si possa aprire anche al controllo sociale
Aveva parlato di creare un nuovo modello di gestione dell’impresa. Un modello in cui coinvolgere anche i dipendenti, come?
Anche con una compartecipazione al capitale sociale. Questo diventerà tanto più vero quanto più i cittadini e lavoratori sono disposti a investire in questa’azienda.
Reggio ha numerose questioni irrisolte. Cosa si augura dalla prossima giunta, in quale direzione dovrebbero andare le proposte per risollevare le sorti della città?
Io faccio una considerazione di metodo che riconduco anche alla metafora dell’esodo e della liberazione. Noi abbiamo bisogno di tecnica e di capacità amministrative, ma abbiamo anche grande bisogno di profeti. E, intendiamoci, il profeta non è solo un singolo, ma profeta può essere anche una comunità che decide di liberarsi. In questo senso, non vorrei caricare molto di responsabilità esclusivamente la politica perché gran parte della liberazione e dell’avvio dei processi di sviluppo e di crescita umana e sociale, deve venire dalla società stessa. Lo sviluppo e l’avvio di una stagione virtuosa per la città è un processo collettivo. Qui ci vuole chi fa una proposta, anche controcorrente, ma di alto livello, che guardi soprattutto al bene comune. E però non basta solo la politica per realizzarla, ci vuole una comunità, e quindi ci vogliono dei profeti collettivi, delle associazioni, delle imprese, tutti elementi che man mano che diventano maggioranza facilitano questo processo.
Reggio è al bivio e il 26 ottobre sceglierà la propria strada. La città può cambiare?
Ci vuole una rottura culturale che avrà tanto più successo quanto più diventerà azione collettiva. Sarebbe limitativo delegare le responsabilità esclusivamente alla politica, ci vuole questa coscienza del partecipare e del controllare. E in questa coscienza deve innescarsi anche una capacità nuova di vedere i problemi, di avere una visione larga che inserisca la città in un ambito europeo e mediterraneo, dove vi sia il prevalere della cultura, della scienza e della tecnica al servizio, però, dei valori fondanti di una comunità. Anche qui, in un momento di crisi, possiamo essere creativi, e lo dobbiamo essere, perché abbiamo il vantaggio di iniziare e di imparare da quello che gli altri hanno già fatto. La cosa peggiore sarebbe rinchiudersi nel bozzolo. Una delle cose che noto sempre è che questa città, che deve diventare Metropolitana, ha avuto sempre il mito della regginità, intendendo Reggio come circoscritta tra il Museo e Piazza Garibaldi, senza rendersi conto delle novità che ci sono nella periferia, verso il porto di Gioia Tauro, o verso la periferia Jonica, che sono serbatoi di grandi energie, oltre che di ricchezze che vanno valorizzate. Reggio si deve aprire, non può chiudersi come un’isola. Deve guardare a Messina, deve cooperare con le altre città calabresi, deve avere ambizioni alte e superare anche un certo campanilismo che può diventare patriottismo, cittadinanza, però, da condividere poi con altri. Se in un momento come questo di globalizzazione e di crisi economica, non si ha capacità di mettersi in discussione e di cooperare con altri e di affidarsi anche alla tecnologia e alle innovazioni, si resta fermi. Ci vuole questa cesura, ed è una cesura che deve venire alla politica, nella misura in cui un profeta è in grado di indicare una strada e, soprattutto, di indicare anche delle vie controcorrente. Poi ci vuole una comunità che segue, che insegue e che crea. Cosa dovremmo superare come città? Quel perverso rapporto tra padrone e schiavo, capire che al di là del padrone e dell’idolo non c’è niente e superare anche le sicurezze della schiavitù. Un tozzo di pane il padrone lo dà sempre per mantenerti in vita, mentre l’ambizione deve essere la liberazione, la creatività, il convergere, anche se con fatica, verso la libertà, verso il Mar Nero che si apre alla fine e che ti consente di passare alla Terra Promessa. Io penso che ci troviamo in una fase di gestazione. La nostra crisi io la voglio vedere come un momento in cui ci sono le sofferenze del parto, nel momento in cui si accettano queste sofferenze, però, si deve avere la consapevolezza che la ricompensa è la nascita, e quindi la gioia.