“Lo Stato intervenga ora in economia senza aspettare la fine di una crisi la cui data resta ancora incerta”

di Roberto Bevacqua* - Da settimane oramai il covid 19 ha monopolizzato le prime pagine dei media di tutto il mondo. Come era prevedibile, per molti ma non per tutti, il virus dopo la Cina e l'Italia si è diffuso in tutto il pianeta attraversando confini fisici che nulla hanno potuto contro un nemico che sembra non trovare ostacoli. In realtà, come più volte ribadito, gli ostacoli, pochi, c'erano e ci sono e oggi sembrano averlo capito un po tutti. Il distanziamento sociale, le quarantene e precise regole igienico sanitarie sono le uniche armi, al momento, che sembrano dare un freno alla diffusione del virus.
I dati ad oggi dei contagi sono evidentemente sottostimati e vengono di giorno in giorno alla luce quando i sintomi di coloro che sono stati infettati si manifestano o quando le politiche di campionatura dei tamponi mettono in evidenza risultati positivi di persone anche asintomatiche.
Ciò che pare evidente è che nel nostro paese le aree di primo contagio stiano pagando un prezzo enorme in termini di vite perdute e il sacrificio straordinario di operatori sanitari costretti a lavorare in condizioni spesso eroiche che pian piano si stanno estendendo anche nel resto del Paese, oramai chiuso in un silenzio spettrale rotto solo dalle sirene delle autoambulanze o dai lampeggianti delle auto delle forze dell'ordine che garantiscono non solo il rispetto dei decreti del governo ma anche assistenza e sicurezza sul territorio.
Un quadro di impressionante contrizione ha investito la nazione con un economia bloccata e migliaia di piccole e medie industrie congelate nei loro livelli di attività ma con costi fissi che continuano a correre mentre gli ordini si sono arrestati, le entrate polverizzate e il futuro programmato oramai più che azzerato.
L'eccellente sanità del nord est si è scoperta fragile di fronte all'emergenza covid 19 pur reagendo con incredibile spirito e resistenza, la fragile sanità meridionale invece non ha bisogno di prove sulla sua inadeguatezza strutturale qualora la diffusione del virus dovesse emergere nei numeri relativi alle regioni del nord pur, siamo certi, reagendo con i suoi operatori sanitari con la stessa professionalità e spirito di abnegazione.
Ci siamo scoperti vulnerabili ma abbiamo anche scoperto da dove può arrivare la solidarietà internazionale, quale livello di protezione può garantire l'Europa di cui facciamo parte e con quale rapidità intervenga, quali gli egoismi e quali interessi eventualmente ci vengono chiesti a fronte di un emergenza che sembra ancora parlare poche lingue ma che col tempo apparirà chiaro essere una sola .
Abbiamo capito sulla nostra pelle e con colpevole ritardo cosa vuol dire competenza scientifica che spesso abbiamo disconosciuto, quali i benefici della ricerca che abbiamo accantonato in parte sotto la scure di tagli e precarietà, della meritocrazia legata alla efficienza e alla programmazione della gestione delle risorse che abbiamo mortificato non di rado privilegiando pratiche e selezioni clientelari .
Abbiamo compreso quanto la burocrazia sia nemica di un mondo globalizzato e mutante, che richiede risposte veloci a problemi fulminei, azioni tempestive per eventi critici.
Ci siamo resi conto di quanto sia importante un intelligence economica ma anche di come sia necessaria anche un intelligence sanitaria, di quanto serva che uno stato che abbia voce in capitolo sugli asset essenziali per rendere indipendente e funzionale gli interessi della nazione, e di quanto conti una sua autorevolezza sui tavoli non solo internazionali ma anche su quelli "parentali" di un Europa lipotimica, ancora troppo divisa, egoista e diffidente che invece di programmare investimenti e aiuti da piano Marshall discute confusamente e riottosamente su come impiegare i fondi del Mes mentre l'idea stessa di Europa rischia di diventare evanescente. Ecco perche andrà fatta una riflessione, oggi più che domani, che sia prodroma di un piano di azione atto a riequilibrare il sistema Italia e che sia utile al sistema economico quanto a quello sociale e infrastrutturale.
Si vis pacem, para bellum, quindi.

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Alla fine della pandemie storiche di peste gli stati si rialzarono, la scienza progredì, le società si riorganizzarono. Dopo la crisi economica e finanziaria del '29 si ristrutturarono le economie degli stati con un ruolo più incisivo nell'economia e nei settori che necessitavano di maggiore controllo o regolamentazione, si sostennero le industrie, si diedero maggiori garanzie al welfare e si rese più solido il sistema bancario con nuove regole che rafforzarono la raccolta le garanzie e l'impiego di denaro.
Terminerà anche questa emergenza covid 19 ma mai come in questo caso bisogna che lo Stato intervenga ora in economia senza aspettare la fine di una crisi la cui data resta ancora incerta.
Si vis pacem, para bellum, allora, e la guerra va intesa nel riorganizzare il sistema produttivo italiano attraverso la dotazione di fondi da impiegare all'atto della ripresa, nella sburocratizzazione delle regole che da sempre sono il tallone di Achille della nazione e che dovrà sbloccare le ingenti risorse per infrastrutture che sono già disponibili da anni ma bloccate da regole e pastoie farraginose. Urge da un piano di riequilibrio territoriale che passi per un riequilibrio infrastrutturale degli asset nazionali e meridionali in particolare, trasporti, logistica, ospedali, strade, ponti, ferrovie, enti di ricerca, e da una piano di valorizzazione vero della rete "mady in Italy" dell'agroalimentare, dalla tutela vera sui tavoli europei di tutti i prodotti italiani, da un recupero delle bellezze del bel paese lungo tutto lo stivale, dalla salvaguardia stile francese di imprese di interesse nazionale.
Serve questo e molto altro ancora ma serve ora affrontare le questioni e non quando il peggio sarà passato perché dopo sarà troppo tardi per moltissime imprese che oggi chiedono la vicinanza dello Stato, liquidità, programmi di investimento e sostegno o domani forse potrebbero non esserci più.
Abbiamo l'occasione di trasformare questa calamità nazionale che tante vite ha trascinato e continua a trascinare con sé in un occasione di futura rinascita che purtroppo non ci restituirà le persone che non ce l'hanno fatta a superare questa subdola epidemia, ma proprio in loro memoria facciamo si che l'unità nazionale che stiamo vivendo da italiani e il sacrificio che tutti stiamo sopportando abbia un senso e si trasformi, con l'impegno di ciascuno, nella difesa del futuro e di future calamità che, in un mondo sempre più globalizzato e caratterizzato da uno sfruttamento intensivo e spietato di risorse, saranno destinate a riproporsi con sempre maggiore virulenza.
Occorrono quindi scelte drastiche e uomini pragmatici per fare tutto questo. Occorre onestà intellettuale e capacità organizzative di politici responsabili che intendano lo Stato come bene primario da tutelare, è necessario allora che per proteggere la pace, la vita ordinata del Paese e il futuro dei cittadini e delle imprese, si debba preparare la guerra, ossia investire nella programmazione economica, nell'efficienza delle scelte, nella ricerca e nella competenza dei tecnici con quelle risorse che tutti ci riconoscono e forse sotto sotto ci invidiano ... la capacità di rialzarci, la volontà di ricominciare, l'innato spirito creativo e l'intelligenza di un piccolo popolo che ha reso grande il pianeta.

*Direttore Regionale Eurispes Calabria