Truppe adoranti, catene infinite di commenti e sponsorizzazioni, così funziona la “Bestia” di Ripepi: la sua propaganda costa più della comunicazione di politici e leader nazionali

ripepisponsorizzazionidi Claudio Cordova - L'imponente scudo difensivo si è messo in moto viaggiando a marce alte sui social già nelle ore successive alle prime pubblicazioni del Dispaccio sul drammatico caso della bambina abusata dallo zio, su cui Massimo Ripepi avrebbe taciuto, intimando anche ai familiari di non denunciare (leggi qui). Un'onda lunga, lunghissima, di seguaci, che ha cercato di coprire in maniera capillare il web, rintuzzando ogni articolo, ogni commento, ogni parere che potesse solo minimamente scalfire l'aura da santone di "papà Massimo".

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Basta girare sui social.

Non c'è articolo pubblicato sulla pagina del Dispaccio, non c'è link condiviso dagli utenti, non c'è riflessione sulla terribile vicenda denunciata dal nostro giornale, sotto cui non sia partita la macchina della propaganda di PACE, la comunità di integralisti cristiani di cui Ripepi è dominus e che costituisce il suo prezioso serbatoio di voti.

Quello avvenuto sul web in questi giorni è l'emblema di quanto affermato già nei primi articoli: la capacità di Ripepi di manipolare un folto numero di credenti, disposti a tutto pur di difendere il proprio predicatore. Un vero e proprio esercito quello su cui può contare "papà Massimo", passato, grazie alle centinaia di voti garantite dai suoi accoliti, da una condizione di semisconosciuto nel panorama cittadino a quella di uomo forte di Fratelli d'Italia sul territorio calabrese e referente principale dei quadri nazionali del partito di Giorgia Meloni.

Tutto in pochi anni, quando, dopo la morte del fondatore di PACE, Ripepi prenderà le redini della comunità cristiana senza mai mollarle.

Il cliché è il medesimo: beatificazione della figura e delle opere di Ripepi, denigrazione degli oppositori, con insinuazioni su faziosità, mandanti occulti e interessi economici che animerebbero l'azione di chi "osa" mettersi contro il santone della Comunità PACE. E l'importante è essere sempre in maggioranza, almeno due contro uno: se un adepto interviene e qualcuno risponde criticando, devono arrivare subito i rinforzi per stroncare ogni oppositore.

E' l'arte della guerra comunicativa.

Negli ultimi giorni, alle redazioni dei giornali sono arrivate anche alcune mail che, raccogliendo (ironicamente) il nostro appello a raccontare cosa accada realmente all'interno di quella aggregazione di fanatici religiosi, hanno sciorinato le doti di Ripepi, la sua umanità, la sua capacità di prestare conforto a chi è in difficoltà.

Tutto con una tecnica di propaganda degna del Ministero della cultura popolare di scuola fascista. I messaggi di elogio, di beatificazione, di Ripepi, infatti, sono tutti preceduti da questa identica dicitura: "Raccolgo l'invito di qualche giornalista che esortava chiunque avesse conoscenza di quanto accade nella comunità di Ripepi a denunciare".

Ha scelto le persone più insospettabili, quelle anche più rispettabili per ruolo e per cultura. Un'avvocatessa è l'ideale. Ancor meglio una docente, che, dopo aver tratteggiato una figura celestiale di Ripepi, si definisce "di sinistra", salvo omettere di essere sposata con chi ha occupato per anni il ruolo di commissario provinciale di Fratelli d'Italia, proprio il partito che Ripepi ha preso dall'insignificanza elettorale, portandolo a cifre importanti, su scala cittadina e provinciale (leggi qui).

Nulla sarebbe accaduto senza una strategia precisa e studiata, che Ripepi porta avanti da tempo sui social.

Sul meccanismo di comunicazione social e web di Matteo Salvini e della Lega – la cosiddetta "Bestia" - si è scritto tanto, sono stati pubblicati anche dei libri. Nel suo piccolo (ma non troppo), Ripepi in questi mesi ha riproposto le stesse dinamiche della macchina propagandistica del Carroccio: adepti che riescono a essere presenti tra i contatti dei profili più seguiti in ambito cittadino, che seguono le testate locali, per bilanciare e, anzi, soverchiare ogni voce discordante rispetto all'azione del loro santone.

E tutto questo ha anche un costo, ovviamente.

Ripepi, infatti, è il politico reggino che più di tutti investe nella sponsorizzazione dei sui post e dei contenuti sui social. Il meccanismo è, sostanzialmente, questo: più paghi, più sei presente sul web, più spendi, più riesci a raggiungere anche utenti cui non arriveresti, persone che, però, possono diventare potenziali nuovi followers.

E la tua notorietà aumenta.

Ebbene, solo nell'ultimo periodo, Ripepi ha speso ben 1500 euro di sponsorizzazioni del suo profilo e dei suoi post. Più del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, più del candidato del centrodestra, Antonino Minicuci, più del candidato della sinistra radicale, Saverio Pazzano, più della "civica" Angela Marcianò, più del capogruppo di Forza Italia, Federico Milia, il più votato dell'intera città.

No, non più di ciascuno di questi politici. Più di tutti loro messi insieme. Nello stesso periodo preso in esame, infatti, Minicui è quello che ha speso di più, con 224 euro. Segue Milia con 201 euro. Appena un euro in più rispetto al sindaco Falcomatà (200 euro). Solo 100 euro ciascuno per Pazzano e Marcianò. Sono 825 euro. Assai meno rispetto ai 1500 euro spesi da Ripepi. E anche aggiungendo i 412 euro di Denis Nesci che, almeno formalmente, sarebbe un "superiore" di Ripepi, essendo commissario provinciale di Fratelli d'Italia, siamo comunque sotto i 1500 euro. Un terzo della cifra ha speso, per esempio, Roy Biasi, il sindaco di Taurianova indicato da Salvini come sui plenipotenziario in Calabria.

Sono cifre anomale per un politico locale.

Soprattutto se si raffronta agli 0 euro spesi nello stesso periodo (che, per la cronaca, copre anche il momento elettorale) da politici di rango nazionale come Wanda Ferro e Francesco Cannizzaro, ma anche il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. Persino il segretario nazionale del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, ha speso meno di Ripepi: 1417 euro.

Verrebbe da chiedere se tale cifra sia stata pagata con l'obbligatorio obolo che i seguaci di PACE devono versare per poter continuare a essere alla corte di "papà Massimo".