Il carcere di Reggio Calabria era un grand hotel: le accuse dei pentiti sull’ex direttrice Maria Carmela Longo

longomariacarmela2 26agodi Claudio Cordova - Negli anni della sua direzione sarebbe stata garantita ai detenuti di Alta Sicurezza la possibilità di comunicare all'interno e all'esterno dell'istituto penitenziario, di mantenere e coltivare una proficua circolazione di informazioni, di permanere per intervalli temporali più lunghi del previsto rispetto a quelli della normativa relativa agli spostamenti momentanei per la partecipazione alle udienze.

Sono gravi le contestazioni mosse dalla Dda di Reggio Calabria nei confronti dell'ex direttrice del carcere di Reggio Calabria, Maria Carmela Longo, oggi direttrice del carcere di Rebibbia a Roma, finita agli arresti domiciliari con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

Insomma, gli istituti penitenziari reggini, negli anni della reggenza Longo sarebbero stati più luoghi di vacanza, dove esponenti di spicco della 'ndrangheta avrebbero potuto continuare a mantenere i contatti associativi e a esercitare potere criminale. Gli inquirenti parlano di "una consapevole e permanente agevolazione della vita dei detenuti e dei nuclei familiari di appartenenza".

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L'inchiesta che ha portato all'arresto, condotta dal Nucleo investigativo centrale del Dap, ha svelato quella che i pm definiscono "una sistematica violazione delle norme dell'ordinamento penitenziario e delle circolari del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria". Stando alla ricostruzione dei pm della Dda, Stefano Musolino e Sabrina Fornaro, Maria Carmela Longo "concorreva al mantenimento ed al rafforzamento delle associazioni a delinquere di tipo 'ndranghetistico".

Nello specifico, Maria Carmela Longo avrebbe avallato ''le richieste dei detenuti ristretti presso la casa circondariale Panzera''. E i detenuti che, secondo le accuse, potevano contare sulla compiacenza dell'ex direttrice, erano quelli ristretti in regime di ''alta sicurezza'', dunque indagati o imputati per associazione mafiosa o comunque per reati aggravati dalle modalità mafiose. Uno di loro sarebbe stato Paolo Romeo, avvocato ed ex parlamentate, alla sbarra nel processo ''Gotha''. Romeo è considerato a capo della cupola massonica della 'ndrangheta.

Ma a beneficiare dei trattamenti di favore predisposti dalla Longo sarebbero stati anche altri elementi di spicco dell'ala militare della 'ndrangheta. Da Cosimo Alvaro, boss della cosca di Sinipoli a Domenico Bellocco, dello storico casato di Rosarno, fino a Michele Crudo, uomo forte dei Tegano di Reggio Calabria, uno dei clan più potenti di tutta la 'ndrangheta.

In particolare l'ex direttrice avrebbe avuto una predilezione per alcuni detenuti "graditi" che avevano la possibilita' di incontrare i familiari al di fuori dell'istituto penitenziario e al di fuori dei limiti previsti nella disciplina dei colloqui. La dottoressa Longo, è scritto nel capo d'imputazione, "individuava i detenuti da autorizzare all'espletamento del lavoro intramurario, nonché quelli da indicare al magistrato di sorveglianza per l'espletamento del lavoro esterno". Maria Carmela Longo, inoltre, avrebbe consentito, "la collocazione di detenuti ristretti in circuito di Alta sicurezza legati da rapporti di parentela o appartenenti allo stesso sodalizio criminoso nelle medesime celle".

A pesare sul conto della Longo, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, che proprio da quegli istituti reggini sono passati prima di "pentirsi": Mario Gennaro, Francesco Trunfio e Stefano Tito Liuzzo.

Il primo, nella sua carriera criminale, ha fatto fare soldi a palate ai Tegano con il business delle scommesse online. Arrestato nel 2015, racconta di aver potuto addirittura scegliere la cella e il compagno di detenzione, una volta tradotto in carcere. "Tramite un brigadiere" dice Gennaro, avrebbe scelto di Totò Polimeni, detto "U Troio", anch'egli affiliato di spicco dei Tegano. Stando al racconto di Gennaro e agli accertamenti degli inquirenti, la dislocazione nelle due sezioni del carcere – "Scilla" e "Cariddi" – sarebbe stata di fatto scelta da Polimeni e da altri detenuti reggini.

Uno spaccato confermato anche da Francesco Trunfio, per anni inserito nella potentissima cosca Piromalli di Gioia Tauro: "I primi di agosto del 2018 ci è stata data la possibilità di formare una cella con tutti i paesani, tutti della Piana, [...] tutto ciò su disposizione dell'Amministrazione". Conferme anche sulla distinzione delle due sezioni: "Il reparto Cariddi è occupato da detenuti reggini, l'abbiamo sempre chiamato 'dei riggitani' come Condello, De Stefano, ecc. (il controllo era di Michele Crudo). Il reparto Scilla, invece, era della Piana di Gioia Tauro. [...] Si sa che nel reparto Cariddi i detenuti lavoranti sono solo reggini. Per esempio, il cuoco è ovviamente reggino. Le istanze per lavorare nel reparto Cariddi se non sei detenuto reggino non le fai proprio. L'amministrazione ufficiale del carcere avalla queste regole. I detenuti reggini hanno contatti con l'amministrazione del carcere e condividono con loro le regole di gestione di cui sto parlando. E' un fatto notorio tra detenuti, tutti lo sappiamo".

Insomma, il carcere di Reggio Calabria sarebbe stato per molti un luogo di villeggiatura, per quasi tutti un micromondo in cui riproporre le medesime dinamiche criminali che attanagliano il territorio calabrese.

A riferire, in particolare, sul ruolo della direttrice Longo, è il collaboratore Liuzzo, esponente della parte imprenditoriale della cosca Rosmini e diventato pentito dopo anni di detenzione e, quindi, di conoscenza di tale sistema. Secondo il suo racconto, la Longo avrebbe avuto rapporti preferenziali con qualche detenuto e avrebbe soddisfatto le richieste (indebite, evidentemente) di qualche avvocato per il ritardo degli spostamenti da un carcere all'altro: "Il carcere di Reggio Calabria è diverso dalle altre carceri" dice Liuzzo, che nella sua carriera criminale ne ha visitati tanti. Liuzzo ricorda che la direttrice Longo avrebbe anche ricevuto favori e regalie per favorire qualche detenuto.

Liuzzo è, tra i tre collaboratori, quello che ha trascorso più tempo in regime detentivo. Per questo il suo narrato è ancora più pregno di informazioni circa la vicinanza di diverse guardie agli ambienti criminali più disparati. Attraverso queste connivenze, in carcere entrerebbe qualsiasi cosa: dalle lettere ai dolciumi, passando per gli alcolici. E la direttrice Longo avrebbe avallato questo e altri sistemi: "In un'occasione – afferma Liuzzo – dovevo essere trasferito da Reggio Calabria, ma è intervenuto l'avvocato Abate con la dottoressa Longo, non facendomi partire. Per quanto ne so, la dottoressa Longo aveva con sé una parte della Polizia Penitenziaria, mentre altri erano con il Comandante". Il sistema, infatti, cambia, con regole vere, con l'arrivo, nel 2017, del nuovo comandante, Stefano La Cava. Altri membri della Polizia Penitenziaria, invece, sarebbero stati totalmente al servizio degli 'ndranghetisti detenuti. Un tale Ciccio, secondo Liuzzo "veniva con il sacco nero e mi portava le cose, ma non solo a me, nel senso il sacco nero quello dell'immondizia che danno, quello alto così, e là dentro per esempio mi facevano le crostatine di Villa Arangea, c'era la pasticceria, nelle bottiglie dell'acqua portavano il whisky [...] facevano entrare il salmone".

Pure dinamiche di 'ndrangheta, su cui né il vertice dell'Amministrazione, né la maggior parte delle guardie avrebbe interferito. Le principali cosche – i De Stefano, i Tegano, i Libri, i Condello, i Labate – decidevano i posti di lavoro più ambiti, quali, per esempio, la cucina, o le celle più confortevoli. La (non) gestione da parte della Direttrice determinava chi fossero i detenuti a fare il bello e il cattivo tempo, in danno dei detenuti ordinari, che non avevano aderenze con la 'ndrangheta.