[FOTOGALLERY] La multinazionale che per anni ha inquinato le acque di Reggio Calabria

fotogalleryinquinamento4di Claudio Cordova - Il team di sommozzatori, in occasione dei prelievi subacquei, ha rilevato e documentato la quasi totale assenza di specie ittiche e la flora presente nell'area interessata allo scarico risultava gravemente compromessa con la presenza visibile di organismi morti. Veniva, inoltre, notato che il versamento dei sedimenti provenienti dallo scarico nel tempo aveva contribuito alla formazione di due dune artificiali sul fondale.

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Per anni (almeno fino al 2013) avrebbero costituito un'associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale ed ad eludere i controlli delle Autorità preposte esibendo false certificazioni e dichiarazioni. Sono in tutto 14 le persone rinviate a giudizio nell'ambito dell'inchiesta portata avanti dal pubblico ministero di Reggio Calabria, Sara Amerio, e ritenute responsabili, a vario titolo, delle irregolarità e del disastro ambientale causato dallo stabilimento UOP di San Gregorio, zona sud della città. Si tratta di Antonino Amore, Antonio Artuso, Carmelo Colo, Antonio Core, Andrea Costantino, Francesco Cozzupoli, Domenico Gallizzi, Saverio Malara, Salvatore Minniti, Giuseppe Muritano, Salvatore Pisani, Paolo Quattrone, Domenico Raso e Antonino Squillaci.

L'impianto è di proprietà della U.O.P. MS S.r.l., azienda nata nel 1931 e sviluppatasi in Pennsylvania nel settore petrolifero, prima di espandersi in diversi settori. A capo della multinazionale, un soggetto britannico inizialmente coinvolto negli accertamenti di Polizia e Guardia Costiera, coordinati dal pm Amerio, e successivamente fuoriuscito dall'inchiesta, non essendo stati ravvisati elementi nei suoi confronti.

Elementi che, invece, sarebbero solidi (anche grazie all'utilizzo delle intercettazioni telefoniche) a carico di diversi soggetti, per lo più reggini.

In particolare, Muritano in qualità di direttore dello stabilimento, Pisani in qualità di responsabile della produzione, Gallizzi in qualità di responsabile alla sicurezza ed igiene ambientale, Raso in qualità di responsabile della produzione e Minniti in qualità di coordinatore di produzione. Muritano, nella sua posizione di vertice apicale dello stabilimento della UOP di Reggio Calabria, avrebbe comunicato ai vertici statunitensi della società che le attività di smaltimento avvenivano in modo lecito e regolare, cioè come da autorizzazione di legge, omettendo, invece, di riferire le condotte illecite di continuo perdurante sversamento di fanghi in mare e di conseguente inquinamento, condotte di cui era perfettamente a conoscenza per essergli sempre state riportate nel dettaglio da Raso e da Pisani, che ne ordinavano l'esecuzione agli altri presunti complici. Pisani avrebbe fornito costanti e precise direttive tecniche e indicazioni ai partecipi dell'associazione per delinquere, ovvero agli operatori chimici, circa le modalità di scarico a mare dei rifiuti del tipo fango, non filtrati; inoltre, informato dall'operatore chimico Antonio Core di un problema tecnico (in particolare il riempimento delle vasche che avrebbero causato l'interruzione della produzione) che interessava l'impianto di trattamento delle acque reflue, avrebbe dato direttive per lo scarico in fogna circa 1.800 kg di fanghi, misto a soda. Gallizzi poi, dalla sua posizione di responsabile dell'igiene ambientale della UOP MS SRL, avrebbe avallato le continue e perduranti condotte di inquinamento che venivano deliberate da Pisani, da Raso e da Minniti, e poste materialmente in essere dagli altri sodali, che a lui costantemente riferivano, in virtù del suo ruolo specifico all'interno dell'azienda; inoltre, avrebbe predisposto le autoanalisi delle acque dell'impianto e curava le autorizzazioni per lo scarico in mare dei residui non inquinanti con l'Ente preposto (ossia Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria), fornendo dei dati falsati rispetto alla realtà, in quanto privi di tutto quello smaltimento di fanghi che avveniva con modalità illecite. Raso, quale responsabile della produzione, avrebbe fornito costanti indicazioni e direttive tecniche ai partecipi dell'associazione per delinquere (ossia agli operatori) circa lo scarico a mare dei rifiuti non filtrati del tipo fango, anche in orario notturno, in condizioni di emergenza, avrebbe odrinato di bloccare le pompe di scarico di acque in mare, impedendo di fatto il prelievo di campioni per le successive analisi, suggerendo agli operatori di riferire che l'impianto era fermo e che le pompe si bloccavano in modo automatico, per cui non si sarebbe potuto procedere ai prelievi, nonché indicava loro da quale lato dell'impianto scaricare in mare, sulla base della presenza o meno delle Forze dell'Ordine, al fine di evitare l'accertamento della condotta di inquinamento. Minniti, da ultimo, come coordinatore della produzione, avrebbe dato ordini di sversare i fanghi in mare agli operatori che materialmente li eseguivano, ed essendo in costante contatto con gli altri esponenti di vertice dell'azienda e del sodalizio, avrebbe appreso dagli operai i valori emersi dalle analisi alle acque di scarico in base ai quali programmava lo scarico dei fanghi in mare nel corso della notte.

Tutto, ovviamente, con la complicità degli operatori chimici Amore, Artuso, Colo, Core, Costantino, Cozzupoli, Malara, Quattrone e Squillaci (questi nella qualità di coordinatore della manutenzione).

Nel corso dell'attività di indagine, si è avuto modo di rilevare che dal circuito/impianto di chiarificazione, ha origine una condotta che convoglia le acque reflue industriali direttamente nell'ultima vasca di raccolta da dove reflui vengono conferiti, mediante pompa sommersa, direttamene nelle acque del mare. Tale tubo/ condotta, che durante il sopralluogo scaricava delle acque dal chiarificatore verso il pozzetto terminale, bypassa il ciclo di depurazione "ordinario" cui è dotata l'azienda. Il campione di acqua prelevata è risultato, così, non conforme nei parametri previsti: Solidi sospesi Totali – Cloruri – Alluminio.

Dall'impianto di San Gregorio, dunque, sarebbe fluita una quantità immensa di liquami, che avrebbe, di fatto, "bruciato" il fondale marino, compresa la flora e la fauna subacquea. Le immagini a corredo dell'articolo mostrano un panorama quasi lunare del fondale antistante la fabbrica. E' ben visibile come il materiale biancastro sia presente in enormi quantità, e che di fatto ha modificato la morfologia del fondale marino con totale assenza di flora marina.

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Con più operazioni e attraverso l'allestimento di attrezzature e attività continuative ed organizzate, responsabili e operatori dello stabilimento avrebbero gestito abusivamente, traendo per la società un ingiusto profitto derivante dal sensibile taglio dei costi di smaltimento, ingenti quantitativi di rifiuti, in particolare fanghi. L'impianto di trattamento delle acque avrebbe dovuto smaltire quantomeno 9.000 tonnellate di rifiuti (dato di riferimento per l'anno 2012, per come indicato nella relazione dei consulenti tecnici nominati del Pubblico Ministero sulla base dei dati forniti dalla stessa azienda) ed avendo invece accertato che negli anni 2008-2009-2010 venivano smaltiti soltanto 3.000 tonnellate e nel 2011 soltanto 6.000 tonnellate, si accertava un totale di 21.000 tonnellate circa di residuati di produzione industriale che avrebbero dovuto essere avviati a smaltimento tramite ditta autorizzata e che invece sono stati sistematicamente sversati in mare con modalità illecite. Il risparmio di spesa è quindi quantificabile in euro 4.200.000,00 (ottenuta dalla moltiplicazione di 0,20 centesimi al kg, ossia 200 € a tonnellata x 21.000 tonnellate negli anni dal 2008 al 2011), oltre alle spese di trasporto pari a € 462.000,00 ( date dalla moltiplicazione di € 550,00 ogni 25 tonnellate per un totale 840 viaggi) per un totale complessivo di €4.662.000,00.