di Alessia Tripodo – Una Regione che vanta alcuni tra i più bei borghi del Mediterraneo, spiagge affollatissime – anche ai tempi della pandemia – e accoglienza proverbiale del Mezzogiorno. La Calabria sembra, però, non riuscire a impegnarsi per accogliere i suoi figli. Borghi che d’estate si riempiono di turisti, dicevamo, e che per il resto dell’anno nascondono una verità che lascia chiare tracce: pochi vogliono restare a vivere in Calabria.
Nell’ultimo report dell’Istituto Eurispes – aprile 2021 – possiamo constatare come negli ultimi anni la Regione abbia subìto un costante decentramento dei suoi abitanti. Nel 2018 circa 14mila residenti hanno deciso di spostarsi in altre Regioni o Stati e nel 2019 la quota aumenta fino a 17mila unità. Con la crisi pandemica la tendenza è nuovamente aumentata dell’11%. Questi dati devono oltretutto essere raffrontati con un secondo inquietante numero: la decrescita delle nascite che tra il 2018 e il 2019 vede una diminuzione di circa 1000 natalità.
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Ma chi sono le persone che decidono di emigrare? E per quali esigenze?
A riempire le statistiche sono per lo più giovani in cerca di un’istruzione universitaria considerata migliore o in previsione di solide opportunità lavorative. Sono sempre meno le giovani famiglie che scelgono di permanere sul territorio; livelli di occupazione e scolarizzazione bassi formano un velenoso pesticida per lo sviluppo calabrese. Se questa evoluzione dovesse mantenere la rotta, l’Istat ha calcolato che nel 2050 la popolazione calabrese scenderebbe a 1,2 milioni per lo più composta da anziani.
Questo decentramento, però, raggruppa una serie di problematiche a catena. Meno abitanti sul territorio, nonché un minor numero di famiglie, comportano la seguente diminuzione di servizi e attività: chiudono gli asili, chiudono le scuole, gli uffici pubblici vengono spostati e così via. Insomma, si tratta di un vero e proprio cane che si morde la coda: i giovani vanno via per mancanza di possibilità e andando via le possibilità diminuiscono.
Per meglio comprendere la complessità del tema è necessario fare riferimento ad altre statistiche. Basti solo pensare che all’alto tasso di disoccupazione si aggiungono le evidenti falle del sistema che riguardano, ad esempio, la gestione dei fondi europei. In un altro report a cura di Eurispes, Maurizio Lovecchio, Direttore della sede Eurispes della Calabria, segna un approfondimento sulla gestione dei fondi FESR e FES. “La percezione della spesa dei fondi europei sul territorio è molto bassa – scrive Lovecchio – e soprattutto l’efficacia della spesa delle risorse europee sul territorio è molto scarsa”. Prendendo in riferimento il 2014, su uno stanziamento di 1.929,37 miliardi di euro, la Calabria sarebbe riuscita a non spendere circa 1.125,76 miliardi. Oltretutto, considerando gli obiettivi posti dalla Regione per la spesa dei fondi (tra cui risultavano investimenti per settori quali Promozione della Ricerca e dell’Innovazione, Sviluppo dell’Agenda digitale, Efficienza energetica, Mobilità Sostenibile, Istruzione e formazione, Tutela e Valorizzazione del Patrimonio ambientale e culturale, Inclusione sociale, Sviluppo delle reti di Mobilità Sostenibile e Promozione dell’occupazione sostenibile) possiamo facilmente affermare che nei sette anni della programmazione (2007-2014) la Regione non si è impegnata nella gestione dei fondi che, come si può notare dagli obiettivi elencati, avrebbero donato maggiori possibilità ai calabresi.
L’effetto che questa incuria ha sulla popolazione diventa preoccupante quando a farne le spese è il livello di formazione degli studenti. “La Calabria raggiunge vette di dispersione scolastica del 20,3% e, mentre negli ultimi dieci anni la situazione è in miglioramento in tutta Italia, in Calabria è peggiorata dell’1,8%” si legge sul report “Spopolamento e abbandono scolastico in Calabria” di Eurispes. Ancora più sensibili sono i dati delle studentesse: donne e giovani donne risultano avere meno opportunità lavorative e più alte probabilità di abbandono scolastico.
La mancanza di progettualità per l’incremento del benessere pubblico si riversa su un incremento della povertà e della povertà relativa. Elementi che indubitabilmente possono in parte giustificare l’abbandono scolastico. A parlarne è Save the Children che con il rapporto del 2020 si riferisce alla Calabria come la “zona rossa” della povertà educativa. Il 42,4% dei minori vive in condizioni di povertà relativa attestandosi al primo posto della classifica. E come ben sappiamo, la pandemia non è stata per nulla indulgente con i nostri ragazzi; costretti ad adattarsi alle nuove modalità proposte dalla DAD, hanno affrontato tutti gli inconvenienti del caso. Basti pensare che a marzo del 2020 circa il 12,3% dei minori non possedeva uno strumento (pc, tablet, etc) adatto per seguire le lezioni. Inoltre, l’alienamento e le difficoltà psicologiche provocate dalla didattica digitale rischiano di divenire elementi chiave per un ulteriore aumento dell’abbandono scolastico. Specialmente al Sud. Specialmente in Calabria.