Addio a Maradona: amato, odiato, imitato ma in fondo diverso da tutti

Maradona 2010di Paolo Ficara - Mano e piede. Tante giocate, una più magica dell'altra, gli sono valse il soprannome all'estremità degli arti inferiori (Pibe de Oro). Ne è bastata una per farsi affibbiare la ben più pesante, in tutti i sensi, Mano de Dios. Tanti eccessi nella vita extracampo. Solo quel gol di pugno all'Inghilterra nei quarti di finale del mondiale del 1986, poi vinto in Messico: e pensare che, proprio in quella occasione, Diego Armando Maradona fu protagonista di ben altro gesto.

No, non ci riferiamo al barrilete cosmico con cui mise natiche a terra metà avversari. Nel film "Maradona – La Mano de Dios" una delle scene più toccanti riguarda ciò che avvenne nello spogliatoio, prima del fischio d'inizio di quel leggendario match. Argentina ed Inghilterra sono reduci da uno degli ultimi veri conflitti di guerra one-to-one per le isole Falkland (Malvinas il nome argentino), arcipelago a sudest del continente sudamericano, non di molto sopra l'Antartide.

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La leggenda narra appunto di un Maradona col sangue agli occhi, incitare i compagni a vendicare le Malvinas perse in guerra quattro anni prima. E se proprio l'inglese Winston Churchill disse di noi italiani che andiamo ad una partita di calcio come fosse una guerra, e ad una guerra come fosse una partita di calcio, in quella occasione Maradona andò ben oltre questo concetto.

Dato che nessuno riuscirà mai a spiegare bene cosa ha rappresentato (e continuerà a rappresentare, ne siamo certi) Diego Armando Maradona per il suo popolo (o per il mondo intero) in termini sociali, torniamo volentieri al pallone. El Pibe de Oro sta al calcio come Leonardo da Vinci all'arte, ma soprattutto come John Lennon alla musica. Col massimo rispetto verso Pelè, lui al massimo è Elvis. Mentre Omar Sivori lo inquadriamo come un Bob Dylan, cioè la figura che diede vera ispirazione musicale ai Beatles.

Il capellone tarchiatello di Villa Fiorito ha cambiato per sempre il concetto, l'idea della giocata.

Se pensiamo alla qualità (oltre alla quantità) della produzione musicale, avvenuta durante ma soprattutto dopo il decennio dei Beatles (per carità, come già detto, pure un po' prima si erano esibiti dei geni assoluti), è facile intuire come l'intero movimento abbia beneficiato per un lungo periodo, purtroppo non fino ai giorni nostri, di determinati input. Allo stesso modo, successivamente agli anni '80 che sono stati il palcoscenico di Maradona (con i vari Platini, Van Basten e quant'altri a vestire la fondamentale parte dei Rolling Stones), ne è venuta fuori una generazione di calciatori a livello mondiale probabilmente irripetibile.

Irripetibile non lo sappiamo, ma al crepuscolo sicuramente.

Proprio il suo popolo, gli argentini, ne ha beneficiato fino ad un certo punto. La continua etichetta di nuovo Maradona ha schiacciato sotto il proprio peso alcuni calciatori sopravvalutati o discontinui, ma si rivela un macigno anche sulla schiena di Leo Messi. Uno che potrà raccontare ai nipoti di essere stato il più forte della propria generazione, ma ancora senza Coppa del Mondo in bacheca. E pensare che in carriera ha anche segnato un gol di mano, chissà se nel tentativo di imitarlo. Sfidiamo chiunque a ricordare di quale partita si tratta, senza gugolare.

Dagli anni '80 in poi, tutti i ragazzini o ai primi giorni in scuola calcio o in spiaggia con gli amici, hanno provato ad emulare le sue giocate. Gli argentini e i napoletani lo hanno venerato. In tanti lo hanno amato. Qualcuno ancora oggi lo odia profondamente, in particolare nel Regno Unito. Ma al di là di quanto sia stato amato, odiato o imitato, Diego Armando Maradona ci lascia all'età di 60 anni da icona dello sport più popolare, proprio perché il suo essere diverso da tutti lo ha reso il più popolare.

E da vero trasgressore quale è sempre stato, ha fatto riversare in strade migliaia di persone a Napoli e a Buenos Aires in barba alla pandemia. Chissà se anche stavolta, come per il gol di mano all'Inghilterra, lo ha fatto apposta.